di Vito Viganò
Ho steso questo scritto all’ospedale, dopo una operazione al cervello. Ho pensato che era il momento più appropriato. E non solo per vedere se sapevo ancora maneggiare una matita. Da vecchio in buona salute, uno svenimento, una caduta con trauma cranico, una emorragia interna, nel giro di pochi giorni mi sono trovato incapace di tenermi dritto e di muovermi. Son cose che succedono più facilmente nella vecchiaia. E sono solo da accettare. Ho fatto l’esperienza di quanto è impegnativo.
Il vivere umano si allunga sempre di più. Si ha oggi più tempo da vivere, quasi il doppio di chi ha vissuto giusto un secolo fa. È una bella notizia, con qualche riserva. Si è allungata l’ultima fase del vivere, la vecchiaia. Vuol dire allora tempo più lungo di malanni, di funzioni menomate, di ritiro ed esclusione dalle dinamiche del vivere? Può avere qualche ragione chi reagisse a una simile prospettiva con un “No, grazie!”.
Vecchiaia: temuta, mascherata, svalutata, fatale comunque con lo strisciare inesorabile del suo imporsi. C’è una buona notizia in proposito.
E non si tratta del progetto - fantascienza? - di scienziati d’avanguardia impegnati a trovare il modo di farla sparire dall’esperienza umana. E nemmeno del programma di altri ricercatori che, con attese più realistiche, intendono scoprire i processi di invecchiamento, per sapere come prolungare la speranza di vita umana.
L’alimentazione è uno dei più importanti determinanti della salute. Una nutrizione corretta, insieme a una adeguata attività fisica e al controllo di altri fattori di rischio, come il fumo e l’alcool, ha un ruolo fondamentale nella prevenzione di numerose malattie.
I fattori che possono influire negativamente sull’alimentazione, e di conseguenza sullo stato di nutrizione in questa fase della vita, sono numerosi: solitudine, lutti, difficoltà economiche, disabilità, malattie croniche, depressione, assunzione di vari farmaci, precedenti abitudini alimentari non corrette.
Sant’Agostino ha scritto che «due cose sono necessarie in questo mondo: la vita e l’amicizia. Sono due beni donati dalla natura. Dio ha creato l’uomo perché egli esista e viva: ecco la vita. Perché l’uomo non sia solo, l’amicizia è un’esigenza della vita». In un’altra lettera Agostino rincara la dose: «Se non abbiamo amici, nessuna cosa in questo mondo appare amabile».
Accanto all’amicizia spirituale della nostra rivista, dopo qualche tempo su queste pagine ritorna a scrivere una persona che desidera aiutarci non solo a contare gli anni, ma soprattutto a far sì che la nostra vita “conti”.
Per aiutarci a far sì che la nostra vita continui ad essere un capitale di umanità da condividere, pur con qualche acciacco dovuto al trascorrere degli anni, sia vissuta in modo consapevole e partecipato, la dottoressa Flavia in questa sua rubrica mensile, ci suggerirà come lasciarci illuminare da quei frammenti di luce nascosti nelle pieghe delle nostre fragilità.
Questa rubrica non ha il compito di cancellare la sofferenza, ma con l’aiuto della scienza e con il vento dello spirito della fede ci aiuta a guardare il nostro futuro come protagonisti, a schiena dritta, con la volontà di continuare ad essere gestori, responsabili e partecipativi, della nostra esistenza.
La dottoressa Flavia Caretta, responsabile CEPSAG – Centro Ricerca Promozione e Sviluppo dell’Assistenza Geriatrica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli” di Roma, ci aiuterà a promuovere, sviluppare, potenziare tutti quei residui di benessere latenti nel nostro organismo per una migliore qualità della vita.
Don Mario Carrera, direttore
La storia dell’umanità è contrassegnata da eventi epocali, che influenzano profondamente un determinato periodo storico, ma che spesso non vengono immediatamente letti nella loro complessità. Uno di questi è sicuramente costituito dalla transizione demografica che, iniziata al principio del secolo scorso, soprattutto nelle nazioni a maggiore sviluppo industriale, ha determinato un aumento dell’aspettativa di vita: per la prima volta nella storia del mondo moltissime persone raggiungono l’età anziana. Le generazioni attuali si trovano di fronte ad un cambiamento demografico di grande rilievo: il progressivo invecchiamento della popolazione con una concomitante diminuzione della natalità cambiano lo scenario dei paesi a sviluppo avanzato, ma a breve modificheranno anche quello dei Paesi in via di sviluppo, dove il fenomeno si prevede ancora più veloce.
Anche se la perdita dell’amico non cancella il ricordo e l’intensità di ciò che si è costruito insieme, la sua scomparsa indica che l’amicizia, l’amore costituiscono anche il segno e la nostalgia di una pienezza di cui ora è possibile sperimentare soltanto un anticipo. L’amore comporta il permanere di una ferita aperta, di una sofferenza che il tempo non cancella: ma senza una tale possibilità di sofferenza non ci potrebbero tuttavia essere né amicizia né amore. La sensazione reale di solitudine di cui si parlava sopra esplode nel momento della perdita dell’amico.
Amicizia e sofferenza non si escludono, anzi misteriosamente si illuminano a vicenda, proprio a motivo della solitudine che costituisce anche l’amicizia più grande, evidenziando una barriera che niente può colmare. Una relazione matura rimanda alle reciproche solitudini, ai limiti (non solo personali ma proprie dell’essere, basti pensare alla salute, alla vita limitata per cui per forza uno morirà prima dell’altro) e alle differenze che sono date dall’unicità dell’altro. Tutto ciò costituisce l’unica maniera di vivere una relazione affettiva reale e significativa, a tutti i livelli.
La solitudine può mettere a disagio quando trova la persona distante dal suo essere più profondo, quando vive con superficialità, nella vuota chiacchiera come direbbe Heidegger, che quanto più è vuota e superficiale tanto più, stranamente si diffonde perdendosi nelle cose da fare, nelle persone da vedere, nel pettegolezzo del momento… sperando che questo possa riempire il vuoto che tormenta. La solitudine non accettata sembra essere all’origine di relazioni interpersonali possessive e di una comunicazione malata: «Sovente pare che il pettegolezzo, la condanna delle azioni altrui e gli attacchi aperti contro l’altrui modo di vivere siano più segno di dubbio nei nostri propri riguardi che frutto di convinzioni solidamente fondate» (Nouwen).
Si sta diffondendo ai giorni nostri un tipo di concezione dell’amicizia e della comunicazione in genere tesa alla totale trasparenza, che ha come motto di dire all’altro tutto, con spontaneità, “così come viene”, senza lasciare nulla di segreto; questo alla fine non aiuta la comunicazione, perché le parole più preziose e profonde nascono dal silenzio, dal segreto del cuore. Come notava Pascal: «Ho scoperto che l’infelicità degli esseri umani deriva da una cosa sola: non essere capaci di rimanere in silenzio in una stanza».