Papa Giovanni Paolo II ha insistito con decisione sull’importanza di instaurare rapporti di serena amicizia soprattutto per coloro che vivono nel celibato: «Poiché il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni dell'affettività e le pulsioni dell’istinto, i candidati al sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni interpersonali con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato da un’adeguata educazione alla vera amicizia, ad immagine dei vincoli di fraterno affetto che Cristo stesso ha vissuto nella sua esistenza» (Pastores dabo vobis, n. 44).
E anche un uomo altamente spirituale come il monaco B. Hume, diventato poi arcivescovo di Westminster e cardinale, non aveva timore di affrontare esplicitamente il problema degli affetti. Egli rivolge queste parole a coloro che stavano per essere ordinati diaconi: «Che fare se vi innamoraste? Uno dei pochi consigli che mi furono dati quando divenni monaco era: “Puoi essere sicuro che a un certo momento della tua vita incontrerai la ragazza con la quale vorresti sistemarti per sempre, e vorrai farlo”. Era un consiglio sensato. Sentirai il bisogno di intimità, avvertirai l’esigenza dell’attività sessuale che fa parte dell’essere umano. Non pensare che i problemi connessi al celibato finiranno il giorno dell’ordinazione. Al contrario, man mano che i pesi dell’incarico si moltiplicheranno, e aumenterà anche la solitudine psicologica della responsabilità, può farsi avanti la cruda realtà del celibato».
Il cardinale invitava i neodiaconi a trasformare l’innamoramento in amicizia, la cui arte «è la cosa più difficile», e di avere amici con cui potersi confidare senza vergogna, così da essere a propria volta accoglienti con chi vorrebbe parlarne, senza mostrare sorpresa o scandalizzarsi. Considerazioni molto simili giungono dall’ex generale dei Domenicani, Th. Radcliffe: «Come mai in precedenza, abbiamo bisogno dei nostri amici, confratelli e consorelle, che esercitino la loro fede per noi quando noi non ci riusciamo, perché in questo deserto possiamo incontrare il Signore della vita».
La capacità di amare rientra nel cammino di maturazione umana, inteso come un progressivo orientamento attento a riconoscere il bene dell’altro: per questo richiede equilibrio interiore, per non considerare l’altro/a come una semplice gratificazione dei propri bisogni. D’altra parte non si può amare un altro se non si è capaci di amare se stessi, di prendersi cura di sé, di ricercare e coltivare ciò che “vale la pena”, ciò che dà sapore alla vita. In questo senso si può dire che l’amico sia lo specchio del nostro modo di essere, “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” recita un proverbio, mettendo in luce una verità indiscutibile: nell’amicizia si evidenzia una fondamentale reciprocità che caratterizza ogni relazione affettiva.
L’amicizia, come ogni affetto, presenta sempre una componente di umiltà, di riconoscimento della propria non autosufficienza per vivere in pienezza: è infatti una forma di umiltà riconoscere di avere bisogno di qualcuno per vivere bene. L’amicizia può certamente essere vissuta in modo ambivalente, come tutte le realtà umane: in essa è presente la ricchezza e anche l’ambiguità dei nostri atti affidati alla libertà, e tale rischio coinvolge anche le relazioni di amicizia.
Il rimedio a queste ambiguità non consiste certamente nell’eliminare l’amicizia, così come non sarebbe possibile eliminare gli affetti per raggiungere una vita più stabile e tranquilla, ma nell’imparare a vivere l’amicizia nella sua bellezza, verità e incertezza, pur consapevoli delle sue possibili distorsioni; la freddezza, l’astio e la noncuranza, proprie di chi non ama nessuno, sono molto più lontane dall’ideale evangelico di chi è invece rimasto “bruciato” negli affetti, tradito, deluso. Amare comporta rischi certamente, ma è il rischio di essere vivi, e l’ideale della vita cristiana non è la sicurezza, ma l’amore, con la sofferenza e le incognite che questo comporta.
L’amicizia, quando è vissuta da persone che cercano il Signore, può diventare un aiuto prezioso per vivere i valori evangelici; essa quando è autentica non comporta chiusura ed isolamento nei confronti delle altre persone, ma al contrario diventa motivo di aiuto anche per altri, perché ha tra le sue caratteristica di concretizzarsi in interessi e attività comuni, e questo finisce per diventare “contagioso”, coinvolgendo sempre più altre persone.