Con la nostra mentalità di oggi siamo facili a esprimere giudizi sommari sulla figura di San Carlo Borromeo, ma non c’è niente di più falso della storia fatta per sommi capi, per luoghi comuni e per etichette. Visto più a fondo, alla luce degli eventi del suo tempo e delle sue azioni, appare un uomo di grande spessore umano e morale, che ha ancora qualcosa da dire a noi oggi, pur in una situazione assai lontana da quella in cui è vissuto lui.
Il calendario liturgico della Chiesa cattolica il 21 gennaio di cent’anni fa celebrava la “terza domenica dopo l’Epifania”: curiosamente anche quest’anno questa data è concomitante con il sabato di vigilia della medesima domenica, anche se adesso con la riforma del Vaticano II si celebra con diverso nome.
Proprio in tale data il salone teatro annesso alle opere della nostra basilica di San Giuseppe al Trionfale ha visto la partecipazione attenta di un folto gruppo di confratelli e consorelle guanelliane della Case di Roma e di alcuni laici per la commemorazione del Centenario della consacrazione episcopale di monsignor Aurelio Bacciarini, primo parroco della parrocchia, successore di don Guanella nel governo della sua Congregazione religiosa e successivamente nominato da papa Benedetto XV vescovo di Lugano.
È possibile che un padrino di prima comunione infierisca sul proprio figlioccio con torture inaudite al solo scopo di fargli abiurare la propria fede? Eppure questo è successo a un ragazzo messicano quindicenne, canonizzato da papa Francesco il 16 ottobre scorso, José Sanchez del Rio. Rinchiuso nella chiesa di san Giacomo apostolo a Sahuayo, quella stessa dove il 3 aprile 1913 aveva ricevuto il Battesimo, vide il presbiterio con il tabernacolo trasformato in pollaio per galli da combattimento dai soldati e non esitò ad uccidere quegli animali, sconvolto dalla profanazione del luogo sacro, rispondendo a chi lo minacciava: «La casa di Dio è per venire a pregare, non è un rifugio per animali». E conosceva bene le conseguenze: il martirio.
Il 14 febbraio 1917 il vescovo Bacciarini arriva in treno alla stazione Lugano e, a piedi, scende alla cattedrale accompagnato al suono festoso delle campane di tutte le chiesa della città. I suoi predecessori erano fregiati da titoli nobiliari, il nuovo pastore della diocesi arriva umile per i natali, umile per la vita sacerdotale trascorsa tra i poveri di don Guanella, umile nelle sue aspirazione, ma nobile nei sentimenti verso l’intero suo popolo del Ticino e, soprattutto, attento alle necessità della povertà dai mille volti. Giunto in cattedrale, nel primo saluto alla folla applaudente, il vescovo chiede il sostegno della preghiera e la collaborazione nelle opere di bene e in contraccambio dice: «In compenso io vi do me stesso, come Gesù nostro Signore - e poi con voce solenne pronuncia queste nobili espressioni -: Io depongo la mia povera vita sulle vostre teste, come sopra un altare, e intendo consumarla e immolarla al bene e alla salvezza di tutti». Questi sono i sentimenti che hanno attraversato senza stanchezza tutta la sua azione pastorale.
La Chiesa pellegrina nel Canton Ticino e la congregazione di don Guanella il 21 gennaio 2017 celebrano il centesimo Anniversario della consacrazione episcopale del venerabile Aurelio Bacciarini, un fiore di virtù nato nel Cantone svizzero di lingua italiana e coltivato al servizio dei poveri nella nascente congregazione dei Servi della Carità. Dopo l’esperienza feconda di parroco ad Arzo, nel Mendrisiotto, lo Spirito gli ha suggerito una strada della santità più aperta al soccorso ai poveri dove è più viva l’immagine di Gesù. Gesù popolava le Case dei poveri di un buon samaritano come don Guanella, il fascino del servizio ai poveri ha spinto la decisione di Aurelio Bacciarini a legare tutta la sua vita e il suo sforzo di raggiungere la perfezione attraverso l’Opera di don Guanella.
Via Pierino Belli 13, Alba, al centro della cittadina. Una corte, quelle di una volta, dove si affacciavano le abituazioni delle numerose famiglie circostanti. Un pozzo nero dove una di esse raccoglieva il frutto del suo lavoro, prima di andare poi a spargerlo nei campi. Mai Giovanni Coppa ha dimenticato questo umile luogo delle sue origini, anche quando le vie della Provvidenza lo hanno incaricato di delicate missioni ecclesiastiche, facendogli incontrare importanti personaggi di questa terra. Nella sua autobiografia, redatta poco tempo prima della sua morte, avvenuta il 16 maggio di quest’anno, più d’una volta conclude la cronaca di qualche incontro importante ricordando: «Dissi sempre a me stesso: ‘Non dimenticare da quale letamaio sei uscito, non dimenticare via Pierino Belli 13».
Ogni uomo è un mendicante di Dio; anche se diversi sono gli itinerari, unica è la meta: soddisfare una nostalgia profonda di Eterno. Nell’esperienza di fede dei santi sono tracciate le coordinate di Dio e lo studio della loro vita comporta la scoperta delle sue incancellabili orme nelle loro strade. Paolo VI nel giorno della beatificazione di don Luigi Guanella diceva: «Vorremmo carpire il segreto e cogliere il principio interiore di tale santità: vorremo ridurre ad un punto prospettico unitario la vicenda avventurosa, complicata e febbrile della vita prodigiosa del nuovo beato».
«Ho conosciuto una Santa». è il titolo del libro su Madre Teresa di Calcutta scritto dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, e pubblicato in questi giorni dalle Edizioni San Paolo. Nel volume il porporato racconta i suoi tanti incontri con la futura Santa e offre al lettore una serie di storie, scritti e preghiere su Madre Teresa.
Ecco, sono già trascorsi 11 anni dalla morte di don Giancarlo Pravettoni. Gli fui vicino con altri amici fraterni fino all'ultimo giorno, a Mantegazza, quando il Signore chiamò alla vita eterna il suo servo amato, dopo un lungo percorso di malattia durante il quale era stato assistito dai suoi familiari. Sul tavolo era ancora acceso il computer al quale lavorava incessantemente per completare il suo libro, la storia della sua spiritualità, del suo cuore, dal titolo "Oltre il visibile". Morì il 16 marzo 2005. La malattia aveva roso il suo corpo minuto, senza tuttavia essere riuscita a intaccare il suo sguardo luminoso, il suo cuore, il suo animo. Don Giancarlo, animato da autentico spirito guanelliano, ha speso tanta parte della sua missione di fede per il Polesine.
Il pittore Marc Chagall ha scritto: «quando sto ultimando un quadro accosto alla tela un oggetto creato da Dio: un sasso, un fiore, una fronda o la mia mano, per una specie di prova del nove. Se il dipinto non stride di fronte ad una cosa che l’uomo non può fare, è valido. Se c’è disarmonia, non è arte». Alle radici della sua profonda umiltà, al termine della sua esistenza Bacciarini non ebbe la consapevolezza che la sua vita fosse stata un capolavoro, ma se ne accorse il suo popolo.
«O santa croce del vescovo, ignorata dal mondo, e nota solo a chi assorbe l’amaro assenzio che stilla dal suo tronco, io ti abbraccio una volta ancora e t’innalzo al cielo, affinché, per la virtù della croce di Gesù, tu sii pegno di salvezza per il popolo che Dio mi ha affidato». In queste parole pronunciate all’entrata in diocesi di Lugano dal venerabile Aurelio Bacciarini vibra la passione di quest’uomo che assume il ruolo del buon pastore e prende sulle sue fragili spalle la cura del suo gregge.