E’ lì, infatti, che ha creato il gruppo inter-parrocchiale dei giovani che si ispiravano alla spiritualità di don Guanella; e sempre lì ha organizzato numerosi momenti di spiritualità loro rivolti proprio a quei ragazzi. Partiva da Roma periodicamente, in treno o in aereo, per venire appositamente in Polesine a seguire questi ragazzi: ècosì che molti di noi hanno potuto conoscerlo e imparare a stimarlo. Lo abbiamo intervistato più volte sia a Radio Kolbe sia sul settimanale diocesano, e in quelle occasioni abbiamo colto tutta la grandezza e la profondità di questo prete interamente dedito alla carità, dotato di una intelligenza e una apertura al mondo che non conoscevano confini e lo contraddistinguevano in modo straordinario. E’ così che lo ricordiamo: dolce e forte, appassionato della missione verso i poveri e i sofferenti, capace, anche nel periodo ultimo della sua dolorosissima malattia, di non tralasciare mai nulla della sua vita di prete e del suo impegno pastorale. Vicino a lui, nei momenti dolorosi del male, in ospedale a Roma e a Milano, ho raccolto la sua lezione sacerdotale ed è stato per me qualcosa di straordinario. Un dono, un messaggio preziosissimo, che dopo la sua morteho ascoltato riecheggiare a Mostar, nella devastata terra di Bosnia, alla Casa Sacra Famiglia, nata grande proprio grazie all’immenso amore per i poveri e alla passione per una vita di rispetto e di pace che don Giancarlo nutriva. E non è un caso, dunque, se nel cortile della casa di Mostar una fontana in pietra bianca ricordi la figura di don Giancarlo. La sua immagine è colta nell’atto di donare con una mano, mentrel'altra è poggiata su di una croce, come a indicare la fonte, l'origine vera di quel suo continuo donare. Chi lo conosceva sa che egli era costantemente preoccupato della evangelizzazione e così, con uno stile tutto suo, alla sera molte volte raggiungeva il Polesine tramite il telefono, quasi a voler conservare un dialogo costante, giorno per giorno con “i suoi ragazzi”. Li raggiungeva via telefono attraverso di me, nel Polesine, e, attraverso quelle brevi-lunghe chiamate, riusciva a comunicare loro tutto l'affetto e la forza generosa di carità che lo animavano. Come dimenticare quelle telefonate che iniziavano sempre con la stessa espressione: «Ehi, gioventù! Come stiamo?». Più volte mi chiese di accompagnarlo nei suoi lunghi viaggi in America Latina. Non potei seguirlo, ma i suoi racconti e la passione che profondeva affinché i bambini, i ragazzi, le persone di ogni età fossero amate e curate con la dignità che si deve a ogni figlio di Dio, era un messaggio che affascinava. Coraggioso nella malattia e nella vita, intraprese dei progetti che nessuno avrebbe potuto immaginare. La sua figura luminosa non l'abbiamo dimenticata. Rimane viva e presente tra noi e dentro di noi. Il don Giancarlo Pravettoni che - come ci raccontava - da bambino girava in bicicletta intorno a casa dicendo a tutti «diventerò prete, sì lo diventerò!» , resta infatti un esempio e un dono grande per tutti coloro che lo hanno conosciuto, e a noi continua a recare un prezioso incoraggiamento, specie in tempi così difficili, convulsi e attraversati da violenze e terrore.