Cresce fino a 70 centimetri, è coltivata, ma si trova anche spontanea. È originaria dell’Asia Orientale e in passato fu poco considerata perché realmente poco accattivante.
Più sopportata che amata è anche maltrattata: simbolo della Modestia, perché è senza nessuna pretesa, dell’Irrilevanza perché non cambia il tono dell’ambiente, dell’Indifferenza: si ambienta dovunque, della Mediocrità: non presenta particolarità interessanti.
Ha avuto uno strano destino: nei trascorsi recenti secoli si diffuse con il formarsi del ceto medio che sentì il bisogno d’ornare le case di modeste pretese con qualche pianta al modo delle dimore di prestigio. La casa borghese dell’Ottocento l’ha accolta, per l’economica manutenzione unita a una pretesa di modesto decoro, ponendola in scaloni, pianerottoli, ingressi, corridoi: presenza discreta, ma un po’ banale.
Così si è identificata con il mondo borghese offrendo economicità e decoro rimanendo come ornamento in condomini, uffici, scuole. Infatti s’ambienta in locali chiusi senza richiedere troppa luce, né umidità. Resistente, di poco prezzo e poca cura, vive senza attenzioni particolari, né troppa acqua: ama la luce, ma non i raggi diretti del sole. Sopravvive dove altre piante muoiono e si dice che possa durare fino a 100 anni. Raramente fiorisce nei luoghi chiusi e i fiori, di colore rosso cupo, stanno a diretto contatto con la terra nascosti dalle foglie.
Con il declino della borghesia e il diffondersi dello spirito antiborghese divenne il simbolo del ceto medio e il bersaglio delle polemiche: fiore della mediocrità, della vita grigia e conformista, della grettezza… La pietra tombale la pose il romanzo dello scrittore inglese George Orwell: Fiorirà l’aspidistra (Keep the aspidistra flying, 1936), nel quale la pianta viene presa come simbolo della classe borghese, resistente e adattabile a ogni situazione, conformista, quindi meschinamente attaccata alla sopravvivenza e al modesto benessere come ideale di vita.