In questo cammino nei campi della speranza, che sono i nostri cimiteri, fiorisce sulle labbra una preghiera nata da un sentimento di rassegnazione: «Signore, non ci lamentiamo perché ci hai privato di queste esistenze. Ma ti ringraziamo perché ce le hai donate». Sant’Agostino ha scritto che «Coloro che ci hanno lasciato non sono degli “assenti”, sono degli “invisibili”: tengono i loro occhi pieni di luce fissi nei nostri occhi pieni di lacrime». E ancora: «Non si perdono mai coloro che amiamo, perché possiamo amarli in Colui che non si può perdere».
Molte volte queste verità le professiamo con le labbra, ma sentiamo la mutilazione del loro affetto e della loro presenza. Più abbiamo amate le persone e più sentiamo il dolore per la loro assenza. Ed è proprio in questo straziante dolore che siamo aiutati a scoprire la nostra dignità di persone con la voglia di vivere eternamente.
Quante volte ci siamo ribellati davanti a un destino di morte prematura. Quante volte sulle nostre labbra è apparso un gigantesco «perché?». Abbiamo chiesto a Dio spiegazione di queste mutilazioni degli affetti più cari.
A differenza della vita, che molte volte si riveste di una pelle di pietra, dura come una roccia, la Chiesa, con la sua maternità tenera e umana, celebra la liturgia sempre come sorgente di speranza. «Solo nella luce della festa dei santi possiamo vivere con serenità la memoria dei defunti».
San Francesco chiamava la morte “sorella”, don Guanella ha spinto il suo sguardo più lontano e ha chiamato la morte “madre”, affidando alla realtà ultima della vita il compito di modellare l’intera esistenza. Come sempre certa è la nostra mamma, così è la nostra morte: non possiamo delegare nessuno a sostituirci, dobbiamo essere noi a pagare di persona questo ultimo pedaggio.
Quest’ultima e garantita certezza in questo pellegrinare della vita ci pone di fronte al grande interrogativo del senso della cose che gestiamo. Noi credenti, parcheggiati sull’abisso del morire, dobbiamo porci davanti a Gesù, interrogarlo per cogliere nel suo messaggio la «buona notizia» sull’abisso del morire. Su questo baratro angosciante, Gesù ha gettato un ponte e ha preparato «il Sabato» finale della storia umana, quando «Dio sarà tutto in tutti e tutti in Dio, un giorno senza tramonto di una perenne festa di Dio con gli uomini e con la natura».
In questa stagione della vita terrena noi viviamo, lavoriamo, gioiamo e soffriamo sulle penultime cose, ma con la fede proiettati sulle ultime. La morte non è la fine di tutto: con la risurrezione Gesù ha dimostrato che è il proseguimento di una vita nello Spirito iniziata nel giorno del nostro concepimento, una vita che è cresciuta con noi durante gli anni e che continua nella ricerca di Dio anche al di là della morte.
C’è in ciascuno di noi un’immagine di Dio che dev’essere completata, che ancora ha bisogno di crescere, di diventare sempre più trasparente e luminosa, simile alla luce di Dio. Nelle nostre anime, dunque, c’è un germe immortale, che nel momento della morte raggiunge Dio - l’immortale. Al momento della morte l’anima dei santi viene subito accolta nella comunione con Dio e da subito godono dell’abbraccio misericordioso di Dio.
Altri fratelli e sorelle, al momento del passaggio sulla riva dell’eternità, non sono ancora pronti ad accogliere in modo completo il dono della luce e della festa perenne. Hanno ancora bisogno di crescere in quel grado di luce che riscalda le fibre raggelate dell’amore negato. Attraverso le nostre preghiere, la celebrazione della messa in suffragio e la comunione con Gesù facciamo sentire ai nostri cari scomparsi il nostro amore e la nostra vicinanza.
La preghiera di suffragio per i nostri cari defunti è un camminare insieme: noi per aiutarli a purificare il loro amore dalle scorie umane e loro per irrobustire le nostre forze, così da amare sempre di più Dio, i fratelli e le sorelle.