Quando la sorgente delle domande nel cuore dell’uomo si inaridisce, si sta esaurendo anche la voglia di vivere. La festa del Natale di Gesù, pur nella cornice gioiosa della nascita di un bambino, rimane il grande interrogativo che determina il corso di un’esistenza. La nascita di Gesù ha squarciato l’orizzonte buio della nostalgia dell’eterno e ha spezzato il guscio della solitudine umana.
Al di là di tutto c’è Qualcuno che mi ama ed è venuto a tenermi compagnia. Gesù nasce in una grotta che nella simbologia antica si immaginava luogo degli istinti, delle forze oscure. Dal buio, come spazio dell’ignoranza, nasce la Luce del mondo. Da quel momento non si è più in balia del caso: Gesù diventa la sorgente della coscienza individuale nell’abbracciare con responsabilità il creato. «Il mistero della notte santa si ripete in continuazione; ogni grotta, ogni casa ha il suo bambino che nasce» benedetto dagli angeli come collaboratore di Dio per stemperare il male nel mondo.
È commovente che Dio, per imparare a respirare come ogni essere vivente, per amore abbia voluto condividere la nostra vita, diventare bambino, piccolo, tremante, bisognoso di una mamma e di un papà. Nella regione della Giudea, a Betlemme, che significa: “casa del pane”, il piccolo Gesù ha trovato il pane dell’amore, della dedizione, dell’affetto. Giuseppe all’anagrafe al bambino ha dato un nome: Gesù. Un nome che deriva da un antico verbo ebraico che significa «allargare, dilatare lo spazio vitale di una persona». Gesù salverà, quindi significa che lui allargherà, espanderà lo spazio della nostra umanità e renderà più grande la vita. Gesù, il Figlio del Creatore dell’universo, non è nato in una sontuosa reggia, ma ha scelto una grotta, il gradino più basso della scala umana; ha voluto visitare le radici più genuine dell’umanità per innestare la linfa di un riscatto. Ha scelto anche di nascere nella “casa del pane”. Il pane è l’ultima risorsa per aggrapparsi alla vita. La vedova di Serepta ha solo una manciata di farina per cuocere per lei e il figlio suo una focaccia e morire.
Il pane ha anche un valore simbolico; è il pane dell’amore, della speranza, della fiducia, della gratitudine, della condivisione. Per il bambino Gesù, fatto grande, diventerà un elemento essenziale per la sua ultima cena con i discepoli e il segno di una presenza costante per nutrire, proteggere e donare gioia di vivere. Fin dalla lontana notte dell’eternità, Dio sogna il suo sogno di condivisione e dal Natale a Betlemme lo affida alle nostre mani affinché le risorse della nostra vita fruttifichino gioia di vivere. A tutti la gioia di un buon Natale vissuto con la fragranza del pane fresco.