Facciamo dunque un balzo a Mt 19, 21-22: «Allora Pietro gli si avvicinò e disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”». è interessante osservare che questa domanda di Pietro e la risposta di Gesù si trovano incastonate tra l’invito a pregare in comune, con la promessa che il Padre esaudirà la preghiera fatta insieme «perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 21), e la così detta parabola del servo spietato, che inizia con le parole: «A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i contri con i suoi servi» (Mt 18, 23).
Gesù unisce il perdono fino a settanta volte sette con il paragone del regno dei cieli simile a un re che volle fare i conti coi suoi servi con le parole “a proposito”. Sembra nulla, ma sono parole significative. Gesù dice che, per comprendere quella cosa così sproporzionata e in un certo senso assurda che è il perdono che noi dobbiamo dare settanta volte sette, è necessario capire come è fatto il regno di Dio, che inizia appunto con un gesto altrettanto assurdo. Infatti Dio perdona diecimila talenti al primo servo che gli si presenta davanti: diecimila talenti è una somma mostruosa, potremmo dire centinaia di milioni di euro, un cifra che nessuno può mettere insieme, che sta a significare semplicemente che tra Dio e l’uomo c’è un abisso che noi non potremmo mai riempire con le nostre forze. Come sappiamo «impietositosi, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito» (Mt 18, 27). C’è un impietosirsi, una rimessione, una gratuita cessione del proprio patrimonio a un debitore insolvente: infatti condonare un debito è regalare le proprie cose. Quei diecimila talenti sono l’equivalente del settanta volte sette, cifra simbolica e sproporzionata. Di qui non solo la gratitudine per chi ti ha regalato tutti quei soldi, ma anche, siccome di fatto è come ti siano entrati in tasca, la possibilità che tu hai di condonare anche cento denari che l’altro ti deve. Cento denari: il denaro è l’equivalente di un giorno di lavoro, diciamo tre mensilità. Se hai portato a casa una botta di soldi, non sono neanche seimila euro a mandarti in crisi. La gratitudine a chi ti ha condonato tanto, ti rende possibile condonare, in una rincorsa che non avrà mai fine, come non ha mai fine il condono di Dio, il suo impietosirsi.
Matteo esprime narrando queste parole quello che Giovanni scriverà più icasticamente nella sua prima lettera, che è un capolavoro di sintesi: «Noi amiamo perché egli ci ha amato per primo» (1 Gv 4, 19). Possiamo amare, cioè perdonare, solo perché siamo stati amati, per un‘esperienza che abbiamo fatto: non si ama né si perdona per dovere, ma solo perché la gratuità che abbiamo ricevuto su di noi ci ha portato a un modo più grande di vivere, facendoci andare oltre il solito discorso del “mi conviene o non mi conviene”, o del “che vantaggio ne traggo”. In questo senso, la vita fraterna non è un rapporto a due, tra me e l’altro: se così fosse a un certo punto mi stuferei per forza, vedendo che tutto può sembrare inutile. è invece un rapporto a tre: io, l’altro e colui che ha già condonato, e continua a farlo, a tutti e due. Per perdonare devi vedere, tu e lui, entrambi, sotto il perdono di Dio. La pietà di Dio ti apre alla tua pietà; se hai gustato la compassione infinita di Dio, potrai avere tu infinita compassione.