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Mercoledì, 14 Giugno 2017 13:09

Consapevole del ruolo di «capitano»

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3*/ Seguire Gesù con San Pietro

di Ottavio De Bertolis

Troviamo un bel gruppo insieme a Pietro: «Costituì dunque i dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali impose il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo, e Giuda Iscariota, che poi lo tradì” (Mc 3, 16-19). Se prendessimo questi versetti come un elenco di nomi, sarebbe riduttivo: dobbiamo cercare di grattare sotto quei nomi, per capire qualcosa che può riguardare anche noi.

Nei Vangeli troviamo piccoli dettagli che ci aiutano a fare luce su alcuni di loro, anche se non su tutti: per molti di essi in effetti sappiamo veramente poco. Di Pietro troviamo detto molto, sì da potere anche farci in qualche modo un ritratto del suo carattere: lo vediamo generoso, impulsivo, a volte anche un po’ presuntuoso, consapevole del proprio ruolo di capo, fino a contemplarlo, come vedremo, nella triste scena del rinnegamento, nello strazio del suo pianto, nel suo correre alla tomba, arrivando peraltro secondo, non il massimo per un “primo”, preceduto significativamente dal discepolo che Gesù amava. 

Con lui intanto c’è uno che rinnegherà Gesù: il rinnegamento è il gesto finale, ma, come tutti i gesti finali, è preceduto da tanti altri gesti; sappiamo che teneva la cassa, che vi attingeva, cioè rubava, e che non gli importava dei poveri, ai quali al contrario Gesù pensava: non deve essere stato facile vivere per tre anni con un personaggio simile. La Chiesa contiene veramente tutti gli animali, proprio come l’arca di Noè, quelli puri e quelli impuri, e non dobbiamo stupirci  dei Giuda che ci sono: falsi fratelli e falsi profeti, ovvero lupi in veste di agnelli ci sono sempre stati e sempre ci saranno, secondo le parole stesse del Vangelo.

Matto è Levi, il pubblicano, che troviamo in una pagina molto famosa. I pubblicani, come sapete, erano dei collaborazionisti con gli occupanti, i Romani invasori, che a loro affidavano la riscossione delle tasse. Soltanto loro conoscevano l’esatto ammontare di quanto sarebbe dovuto essere versato a Roma; poiché ne rispondevano personalmente con i loro beni personali, per evitare di rimetterci esigevano di più del dovuto, un po’ per cautelarsi contro possibili evasori che anche allora non mancavano, un po’ per farci la cresta, come si suol dire. Quindi collaborazionisti con gli invasori, con un regime empio, che calpestava il popolo santo d’Israele, praticamente ladri per professione, antipatici come lo potevano essere i collaborazionisti con i tedeschi durante l’ultima guerra, odiosi come è odioso pagare le tasse a un impero che detesti. Ho premesso questo per chiarire: come poteva uno così andare d’accordo con Simone lo Zelota? Gli zeloti erano i talebani di Israele, quelli che invocavano la guerra santa contro Roma. Ma questi due, come facevano a mangiare allo stesso tavolo? Un esempio lampante di come sia improbabile questa accozzaglia di gente.

Troviamo persone generose come Giuda Taddeo, il cui nome significa appunto “dal grande cuore”, e taccagni avidi come Giuda Iscariota; potenziali terroristi come Simone il Cananeo e venduti a Roma come Matteo; brontoloni come Giacomo e Giovanni, i figli del tuono, appunto, quelli che vediamo invocare un fuoco dal cielo per quelli che non li volevano accogliere, mentre Gesù insegnava loro a portare pazienza, che quello non era il sistema giusto. Abbiamo anche Filippo, il lento a comprendere, che si sentì dire: «da tanto tempo sono con voi e non hai ancora capito? Chi vede me vede il Padre» (Gv 14, 9). Ci sono le colonne, Pietro, Giacomo e Giovanni, e gli altri: tutti poi, senza distinzioni, scapparono, proprio quando avrebbe dovuto mostrare il meglio. Che tipi: in fondo, un po’ come noi, con i nostri alti e bassi, grandezze e miserie. Soltanto il perdono poteva tenerli uniti: quello di Gesù, e il loro perdono reciproco. E questo vale anche per noi.

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