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Sabato, 09 Dicembre 2017 13:33

La fatica umana e la potenza divina

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di Ottavio De Bertolis

Proseguiamo con la nostra lettura di Lc 5: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche, al punto che quasi affondavano».

A ben pensare, dietro il racconto si vede la centralità della parola di Gesù. Quando ebbe finito di parlare, Gesù disse: «il Signore parla per tutti, ma parla anche per uno solo», quel “tu”, che è Pietro, al quale dice: predi (tu) il largo, e calate (voi) le reti. Così Pietro, e i suoi compagni, passano dall’ascolto della parola di Gesù in un certo senso da lontano, cioè da un ascolto quasi esterno, capace certo di suscitare ammirazione ed entusiasmo, ma come rimasto nelle orecchie e, ancora non entrato nel cuore, ad un ascolto da vicino, anzi, un ascolto interiore, nel quale quel che è udito viene verificato dai fatti, cioè dall’esperienza. Gesù ha appena finito di parlare con tutta la folla lì accalcata, e inizia a parlare a Simone, e, con lui, agli altri pochi pescatori che stavano riassettando le reti, ignari di quel che sarebbe loro capitato. Possiamo fare memoria del nostro personale passaggio dall’ascolto esterno, emozionale e superficiale, all’ascolto vero, dall’ascolto della parola come rivolta a tutti all’esperienza che quella parola è detta a me.

Quella parola della quale stiamo parlando incomincia male: incomincia cioè come una parola impossibile. Simone sa bene, da pescatore esperto, che non si pesca la mattina presto: i pesci sono ritirati nei fondali e non si fanno prendere, tanto più dopo una notte rivelatasi completamente infruttuosa. Chissà, forse i brachi di pesci erano in un altro luogo, sta di fatto che quella notte non presero nulla: cose che succedono, in fondo non una tragedia, ma comunque un fatto tale da non permettere alla parola di Gesù di presentarsi con una certa plausibilità. «Ma sulla tua parola getterò le reti»: Pietro aveva già gustato quella parola, aveva visto la sua capacità di agire efficacemente, e passa così ad un’esperienza personale. Ma questa non si basa su di un segno già avvenuto, ma su di una fiducia, appunto su di una fede, al buio: il segno avverrà dopo e, come vedremo, quando avverrà a sua volta rimanderà oltre, non esaurendosi in una specie di improvvisa botta di fortuna, una specie di magia che risolve un problema immediato. Possiamo anche qui fare memoria di tutte le volte che le parole di Gesù ci sembravano letteralmente incredibili, cioè non credibili: di quando, proprio a causa di questa incredibilità, non vi abbiamo dato peso, preferendo ragionevolmente gettare le reti su parole altre, o altrui, diverse dalle sue, di quando, cioè, non ci siamo fidati di lui. è a questo punto che la fede prende il largo, oppure rimane definitivamente incagliata, abortita in una conveniente ragionevolezza, in una morale condivisibile, in una sorta di politicamente corretto del nostro modo di vivere, qualcosa cioè di buono, sensato, una specie di buona educazione che chiunque può avere. Ma questa non è più fede: è ancora la logica umana con la quale ammantiamo di soprannaturale un modo invece assolutamente naturale di vivere, agire e pensare.

L’esperienza rivela la parola di Gesù piena di frutti: le due barche, non una sola, piene di pesci. Un risultato inatteso, la sorpresa di Dio. Tutti ne sono coinvolti: di nuovo, vale la pena osservare che anche i compagni di Pietro sono partecipi, tanto è vero che vengono ad aiutare. Di nuovo, la fede non inizia da soli: siamo condotti da altri, la condividiamo con altri, la sperimentiamo con altri. Questo è il germe della Chiesa, della quale Pietro sarà pietra, roccia stabile.

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