Cinquant’anni fa, a chiusura del Concilio ecumenico Vaticano II, Paolo VI in nome dei vescovi del mondo intero, con i documenti dell’assise conciliare, elaborati in tanti mesi di lavoro, ha consegnato a tutta la Chiesa il compito di essere samaritana dell’umanità. La Chiesa «esperta in umanità» ha ascoltato i suggerimenti dello Spirito santo in sintonia con l’ascolto delle gioie e delle sofferenze dell’intera umanità. I documenti conciliari sono parole maturate sulla lunghezza d’onda di un impegno pastorale nel tentativo di fornire alla Chiesa stessa, «Madre e Maestra», strumenti validi nel dare un’anima al tempo e una scintilla divina ai cristiani impegnati a edificare quel Regno progettato da Cristo con la sua presenza tra noi realizzato con la sua Resurrezione.
A Firenze il David di Michelangelo è il simbolo riconosciuto della Bellezza, anche se ormai solo di quella estetica, collocato così com’è all’interno di un museo, fuori da qualsiasi contesto. È bello, non c’è dubbio. Ma non «parla». E pensare che era nato come simbolo religioso. Il David scolpito da Michelangelo è quello biblico, che sconfigge il gigante Golia perché ha Dio con sé. Anzi: in quel giovane che abbatte con una fionda il nemico, il suo autore vedeva il Cristo, difensore di ogni popolo, pienezza di ogni eroismo collettivo, meta di ogni positiva aspirazione individuale.
La sala Paolo VI era gremita della grande famiglia guanelliana che ha portato in Vaticano il colore del viso delle popolazioni del mondo, per dimostrare che il colore della pelle di Dio è il tepore di una carezza di amore. Erano oltre di settemila persone a gremire l’aula Nervi ad attendere una parola d’incoraggiamento da parte del Pontefice. A nome dell’intera famiglia guanelliana, madre Serena, superiora delle suore guanelliane, ha salutato papa Francesco esprimendo sentimenti di costante attenzione al mistero del papa che con Guanella riteneva «stella polare» nel suo pellegrinare nelle strade dei poveri.