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L’opera ben riuscita del nostro direttore don Mario Carrera su un cristiano impegnato

di Antonio Lovascio

Giorgio La Pira non era uno svagato sognatore, ma un “moltiplicatore” di Fede autentica, un testimone concreto della carità (come San Luigi Guanella), pronto a far giungere il suo grido di pace dove si innescavano i conflitti. Un siciliano innamorato di Firenze, “terrazza aperta sul mondo”: «I suoi tetti – diceva - formano un “tutto” armoniosamente unito... Città celeste e città terrestr». Impressionato dalla misura dell’uomo che vi si riflette (è la cifra dell’Umanesimo). Gli serviva a spiegare il rapporto finito-infinito, divino-umano.

La Pira però sapeva che nella città del suo tempo c’erano esperienze di frattura dettate dall’individualismo che attenta al vivere insieme e ancor più oggi porta paura e chiusure, nonostante la Chiesa di Papa Francesco predichi reciprocità di accoglienza. Il Professore era insomma “Un profeta credibile della speranza cristiana”, come con un’indovinata sintesi ce lo presenta don Mario Carrera nel libro edito dalla Pia Unione di San Giuseppe, con la prefazione di Andrea Fagioli. Don Mario ha conosciuto La Pira da vicino, nei suoi fecondi anni fiorentini, prima che il “sindaco santo” ritornasse per alcuni mesi in Parlamento, dopo essersi immerso a lungo in una dimensione spirituale, ascetica; in una “contemplazione solidale” che gli consentiva di mettere a frutto tra i giovani gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e del suo grande Maestro, Papa Montini. Continuando ad essere – come lo definì San Giovanni Paolo II – “una figura esemplare di laico cristiano impegnato nel sociale e in politica, fedele al Magistero della Chiesa, con un senso della laicità autentica” . Il “saggio” di don Carrera ci offre tanti spunti per vivere intensamente questo Giubileo della Misericordia.

La misericordia di Papa Bergoglio non si pone confini, vuole abbracciare tutti: perle preziose agli occhi e al cuore di Dio, soprattutto quando sono poveri. Sono convinzioni che guidavano La Pira da sindaco: «Il nostro principio – affermava nel 1951, in uno dei suoi primi discorsi davanti al Consiglio comunale – è che a nessuno, a Firenze, devono mancare le cose più necessarie come il pane, il tetto, l’abito, la medicina». L’attenzione alle povertà materiali era per lui il fondamento per consentire - soddisfatti i bisogni più elementari - “l’espansione integrale della persona, rispondendo a un bisogno ancor più profondo: «Dare allo spirito dell’uomo quiete, poesia, bellezza»