Giuseppe testimone della fedeltà di Dio alla nostra povera umanità
di Tarcisio Stramare
Chiamato ad essere il Custode del Redentore, « Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa » (Mt 1,24). Abbiamo in queste parole il compendio di quello che san Giuseppe è e di quanto san Giuseppe ha fatto, ossia la descrizione della figura e della missione del Custode di Gesù. La definizione gravita sul termine Redentore, ossia su Gesù il Redentore dell’uomo, tema centrale del cristianesimo e motivo dominante dell’annuncio di papa Giovanni Paolo II.
Presentando san Giuseppe nella linea della Redenzione - si ricordino le Encicliche «Redemptor hominis» e «Redemptoris Mater» -, il Pontefice intende sottolineare che compiendo «questo dovere pastorale» di offrire alla considerazione di tutta la Chiesa «alcune riflessioni su Colui al quale Dio affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi», egli non si allontana dal «Cristocentrismo», come potrebbe istintivamente pensare chiunque non avesse un’idea esatta di san Giuseppe. D’altra parte, come avrebbe potuto questo Santo superare venti secoli di storia, anzi in essa ingigantire, nonostante i «deliri» della letteratura apocrifa, la loro immeritata accoglienza e sviluppo nella predicazione, scarsamente nutrita dalla teologia, che in pratica non assegna a san Giuseppe il suo giusto posto nell’insegnamento della Cristologia, della Mariologia e della Spiritualità? Bisogna ben dire che la presenza e la funzione di san Giuseppe siano saldamente radicate nel Cristianesimo e che la lunga situazione di stasi sia solo superficiale e apparente! Occasione immediata del Documento pontificio è stata il centenario della pubblicazione dell’Epistola Enciclica «Quamquam pluries» di papa Leone XIII, ma evidentemente la plurisecolare venerazione per san Giuseppe risale al Vangelo stesso; è appunto ispirandosi ad esso che «i Padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello». Le riflessioni che l’Esortazione apostolica presenta, infatti, si fondano soprattutto sugli episodi evangelici, sobriamente illustrati dai Padri della Chiesa, sia orientale che occidentale, come Ireneo, san Giovanni Crisostomo, san Bernardo e sant’Agostino, per limitarci a quelli espressamente citati. La figura di san Giuseppe non è sfuggita né alla penetrante intelligenza di san Tommaso né al profondo sentimento di santa Teresa d’Avila, né al «sensus fidei» dell’intero popolo di Dio, che lo ha riconosciuto «Patrono della Chiesa universale», per cui si può costatare che «nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre più attento e consapevole tale testimonianza, quasi estraendo dal tesoro di questa insigne figura “cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52)». Ciò che fa di san Giuseppe una «insigne figura» è l’aver «partecipato come nessun’altra persona umana, ad eccezione di Maria, la Madre del Verbo incarnato», al mistero dell’Incarnazione. Ne deriva che nella misura in cui si percepisce il significato del mistero dell’Incarnazione, si comprende anche l’importanza della figura di san Giuseppe, che «vi partecipò insieme con Maria, coinvolto nella realtà dello stesso evento e fu depositario dello stesso amore, per cui la potenza dell’eterno Padre “ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef 1, 5)». Se la qualifica di «custode», con la quale si apre l’Esortazione apostolica «Redemptoris Custos», a prima vista sembra assegnare a san Giuseppe un ruolo quasi estrinseco, anche se non marginale, nell’ambito del disegno redentivo, in realtà le ulteriori determinazioni evidenziano una partecipazione e un coinvolgimento che «nessun’altra persona umana, ad eccezione di Maria» possono vantare: attraverso il matrimonio con Maria «san Giuseppe si avvicinò quanto mai nessun altro a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature» e, inoltre, la relazione di paternità «lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cfr. Rm 8, 28-29». La «custodia» di san Giuseppe è, dunque, intimamente connessa al mistero dell’Incarnazione, perché si esercita nell’istituzione del matrimonio e nell’esercizio della paternità, aspetti ampiamente sviluppati nell’Esortazione apostolica. Una custodia veramente singolare, con la quale non si vuole definire un’estraneità di san Giuseppe al mistero, che anzi lo coinvolge, ma si vuole sottolineare proprio in tale mistero l’assoluta sovranità dell’azione divina, alla quale l’uomo è chiamato a collaborare per pura condiscendenza, quasi più spettatore che Attore, trattandosi dell’incarnazione del Verbo, Redentore dell’uomo. L’uomo deve prestare a quest’opera divina il suo religioso servizio come risposta a una libera chiamata. Nessun protagonismo, dunque, all’infuori di quello di Gesù, che è il solo Redentore dell’uomo; ma neppure nessuna esclusione della collaborazione umana, ugualmente richiesta da Dio e da lui determinata attraverso la «vocazione». Paolo VI, trattando del connubio dell’azione divina con quella umana nella grande economia della Redenzione, rileva giustamente che « la prima, quella divina, è tutta a sé sufficiente, ma la seconda, quella umana, la nostra, sebbene di nulla capace (cfr. Gv 15, 5), non è mai dispensata da un’umile, ma condizionale e nobilitante collaborazione». San Giuseppe è entrato nella grande economia della Redenzione nel suo momento culminante, nella «pienezza del tempo», e vi è entrato rispondendo a una specifica vocazione: «chiamato ad essere il Custode del Redentore, “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1, 2».