Nel mese di ottobre, oltre alla recita del santo Rosario, sembra che la liturgia abbia il compito di ricordarci i copiosi e saporosi frutti della santità, offerti dall’esempio dei santi ricordati nel calendario liturgico in questo mese. Il mese di ottobre commemora il genio femminile con due sante «dottoresse», esperte in dottrina e santità: santa Teresa di Lisieux, il 1° ottobre, e santa Teresa d’Avila, il 15 ottobre. Entrambe le sante hanno vissuto una spiritualità assai ispirata dall’esempio di san Giuseppe. La prima, che desiderava «essere come il cuore per la Chiesa», nell’aiuola della santità, è un fiore delicato, fragile e gentile. Per il suo sapiente itinerario nella santità, durante la XII Giornata della gioventù del 1997 a Parigi, Giovanni Paolo II la propose ai giovani come modello di una santità possibile. Il 18 ottobre la Chiesa canonizzerà anche il papà e la mamma di santa Teresina. La seconda, santa Teresa d’Avila, sia per carattere come per spirito d’intraprendenza, completa le caratteristiche della santità di santa Teresina.
Nella storia di ogni anima «ci sono molti passaggi nascosti e corridoi tortuosi», ma anche vette inesplorate che offrono l’ebbrezza e una soave nostalgia di un passato gioioso da far tornare e riscoprire le orme cancellate dal vento e dalla sabbia. Ci sono tante circostanze inebrianti capaci di deviare da un sentiero ritenuto appagante e sicuro. A volte, circostanze burrascose, appuntamenti perduti, stanchezze paralizzanti, hanno fatto smarrire lo splendore di ideali pur coltivati con tanta passione. Su Luoghi dell’Infinito, un mensile di Arte e Cultura, pubblicato come allegato al quotidiano Avvenire, Oreste Forno, alpinista e giornalista, ha raccontato la sua esperienza di riscoperta della fede grazie all’incontro con le bellezze della natura delle Alpi, soprattutto con lo sguardo ammagliato dalle vette lombarde, che sono state lo scenario della vita di don Guanella.
La fede non solo ispira la fantasia dell’artista, ma lavora e plasma la sua stessa vita. Questa considerazione è evidente nelle opere artistiche di Michelangelo e, in particolare, nelle tre "Pietà" che egli ha scolpito. All’età di ventiquattro anni ha scolpito la “Pietà”, quella più nota, la “Pietà” per eccellenza che ammiriamo nella basilica di san Pietro a Roma. È un inno all’amore di una giovane madre che perde un figlio in modo drammatico. Un inno alla fede e alla rassegnazione. Con il passare degli anni il dramma del morire bussa alla vena artistica dell’artista fiorentino e la morte prende il volto nella “Pietà”. Le sculture delle tre “Pietà” nella vita dell’artista hanno un itinerario quasi privato. A ventiquattro anni scolpisce una bellezza sontuosa, pur nel dramma della morte del Figlio di Dio. Le ultime due “pietà”, quella del Museo del duomo di Firenze e quella del Castello Sforzesco di Milano, sono lo specchio del suo stato d’animo di fronte alla morte. “L’incompiuta”, a Firenze, nella fisionomia di Nicodemo che sorregge il Cristo ci dona il suo autoritratto, il suo volto. La “Pietà” di Milano, nominata abitualmente “Pietà Rondanini”, è l'ultima opera di Michelangelo. Ad essa il Maestro dedicò gli ultimi pensieri e anche le ultime ore di vita.