UN'INVISIBILE BELLEZZA
Dopo avere premesso che tutta la Scrittura ci parla del Cuore di Cristo, poiché tutta quanta ci rivela chi Lui è, mostrando a tutti noi il suo Cuore attraverso le sue parole ed i suoi gesti, possiamo osservare che alcune pagine ci mettono davanti quasi fisicamente il suo Cuore. Vogliamo proprio incominciare a selezionarne qualcuna, per entrare più in profondità di quello di cui stiamo parlando ormai da qualche tempo in queste pagine. Non possiamo non partire dal cap. 19 del vangelo secondo san Giovanni, dal quale è tratto l’episodio notissimo della “trasfissione”: “uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19, 34).
LA ZIZZANIA E IL BUON GRANO
Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo… Il campo è il mondo, l’umanità, in cui Dio ha seminato il buon grano: ha, infatti, mandato il suo Figlio che, come seme sepolto nella terra, è morto, portando frutti di salvezza per tutti. Semi buoni sono i sacramenti che ci dànno la grazia per vivere da figli di Dio, secondo il Vangelo. Tuttavia non sempre questo avviene. Nel campo della Chiesa e della società vi sono alcuni che operano il bene, mentre altri non si impegnano, anzi commettono il male, tanto male. Al vedere spuntare la zizzania in mezzo al buon grano, i servi della parabola si stupirono molto e subito corsero dal padrone del campo proponendogli di sradicarla. E anche noi, oggi, pensiamo proprio così: «Via i malvagi, così potremo vivere tranquilli…».
In una visione volontaristica la vita è soprattutto opera dei nostri sforzi; le fragilità non possono trovare spazio, ma in questo modo non si notano più nemmeno le ricchezze e i differenti doni che costituiscono l’unicità preziosa di ciascuno. Caratteristica di questo approccio alla vita è di aver smarrito il senso della gratuità: il Signore ha cessato di essere il padrone della vigna, è diventato un collaboratore, al massimo il nostro “vicepresidente”. Per questo è bene che la crisi esploda e mandi in frantumi questo orgoglio possessivo. Il cardinale Daneels, arcivescovo di Bruxelles, confidava in proposito: «Quando torno a casa dopo una lunga giornata di lavoro, vado in cappella e prego. Dico al Signore: ‘Ecco, per oggi è finita. Adesso, siamo seri, questa diocesi è tua o mia?’ Il Signore dice: ‘Tu cosa ne pensi?’ E io rispondo: ‘Penso che sia tua’ ‘È vero, dice il Signore, è mia’. E allora dico: ‘Allora, Signore, tocca a te prendere la responsabilità della diocesi e dirigerla.
Sino a qualche tempo fa il nome più diffuso in Italia, dopo quella di Maria era il nome di Giuseppe: l'uomo del silenzio faceva riecheggiare il suo nome nei più sperduti borghi d'Italia. In questi ultimi cent'anni la società ha subito grandi trasformazioni, ha sofferto distruzioni, morti, lutti, lacrime, ha sperimentato la bomba atomica, è andata sulla luna, ha riempito il cielo di satelliti. Nel secolo scorso con un ritmo di cinquant'anni, sono saliti alla cattedra di Pietro tre pontefici che nel battesimo avevano ricevuto il nome di Giuseppe: Giuseppe Sarto, San Pio X, Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII e Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Tre uomini che hanno contribuito con uno stile pastorale diverso a rendere la Chiesa più evangelica. La scena politica, pur nella passionalità e acredine anticlericale, ha cooperato a liberare la Chiesa dalla pesantezza del potere temporale.