Una vita responsabile dovrebbe essere la base del patto pedagogico. La fondazione di qualsiasi legame educativo. Il traguardo da raggiungere per ogni genitore. Altrimenti la relazione dell’adulto con il giovane può ridursi a un discorso professionale, privo di densità emotiva, povero di emozioni. In questa prospettiva la semplice lezione o spiegazione del programma da svolgere è un misero scampolo di ciò che dovremmo aspettarci dalla scuola. Un’appendice che nessuno legge. è necessario evitare ogni voce microfonica. Quello che diciamo e facciamo dev’essere il frutto della nostra vita. Soltanto così potremo essere credibili.
Il documento sinodale sulla famiglia Amoris Laetitia mette in risalto la persona di Giuseppe, coinvolgendola non solo in quanto esemplare di sposo e padre, ma anche per ricavare dalla sua figura biblica sempre attuali e preziosi suggerimenti. La sua paternità appare in contrasto col modello canonico del giudaismo dell’epoca, in cui il Vangelo di Matteo lo colloca, così come con quello vigente nella famiglia romana che l’Impero rappresentava. Occorre mettere, innanzitutto, una plausibile lente storica per capire la rivoluzione culturale che la paternità di Giuseppe introduce.
Non c’è figura biblica che non porti nel suo nome un futuro e una memoria; così accade anche per Giuseppe. La prima volta che la sua identità viene citata è nella genealogia del Vangelo di Matteo dove, alla fine di tre cicli, ognuno formato da quattordici generazioni, è scritto: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (Mt 1,16). Seppure casualmente, dato che “Giacobbe” si riferisce a un ebreo vissuto molti anni dopo la deportazione in Babilonia, la stretta vicinanza tra questo nome e quello di Giuseppe non può non condurre la mente del lettore biblico a un’altra relazione parentale di padre e figlio notissima a tutti: quella del patriarca Giacobbe e il figlio amato Giuseppe. E anche se l’evangelista Matteo non avesse voluto creare questa allusione, pure noi non possiamo evitare il paragone tra Giuseppe padre di Gesù e Giuseppe figlio di Giacobbe sprezzato dai suoi fratelli e venduto come schiavo in Egitto. Ma c’è un altro elemento ancor più convincente che lega il nostro Giuseppe alla figura del fratello di Giuda ed è l’inclinazione originale che connota ambedue: l’arte di sognare!
Per entrare nell’intimità onirica del padre di Gesù dobbiamo seguitare a leggere il testo di Matteo (cf 1,18-2, 23) poiché l’evangelista Luca, non pone alcuna nota su questi fatti essendo concentrato maggiormente su quanto accade a Maria. Secondo le parole di Matteo, Giuseppe è un sognatore assiduo che riceve in sogno la visita di un angelo. Le parole che escono dalle sue notti visionarie diventano decisive per il giorno e tutta la vita di Giuseppe e per il destino stesso di Gesù. Così era stato anche per il primo Giuseppe quando sognò di essere un covone che si ergeva sugli altri a segnalare che sarebbe stato lui a governare su tutti i suoi fratelli (cf Gen 37,5.9). A causa dei suoi sogni il figlio di Giacobbe fu perseguitato da loro, ma, alla fine, fu lui a salvare la vita a tutta la famiglia.
Simile al patriarca Giuseppe è, allora, il padre di Gesù: padre di un Salvatore che, per primo, fu salvatore del figlio! Se non ci fossero stati, infatti, quei sogni, se non fosse venuto l’angelo a indicargli la strada, se Giuseppe non avesse ascoltato la voce di Dio che gli parlava quando Erode voleva uccidere Gesù, quale sarebbe stato il destino del Figlio e di sua madre? Benedetto è il ritornello con cui il Vangelo ci racconta dei sogni di Giuseppe: “Ecco gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse…” (Mt 1, 20; 2, 13). Quattro volte si rende presente quest’angelo, quattro sogni, quattro tappe dell’uomo, dello sposo, del padre che fu Giuseppe. Nella tradizione biblica il sogno rappresenta un’esperienza preziosa e sacra; esso è considerato come il primo grande luogo di mediazione, il primo canale utilizzato da Dio per entrare in dialogo con l’umano. Il primo “linguaggio” dei profeti (cf Ger 23, 25). I sogni regaleranno a Giuseppe la grandezza di una paternità che vuol dire accoglienza e non titolo né possesso dei figli. Vuol dire innamorarsi e servire la vita che viene da Dio, proteggerne il presente e custodirne il futuro. Guardarne i contorni dorati, sognando il loro illuminarsi, crescere, dilatarsi in splendore d’amore, carezzandoli con occhi casti e cuore puro.
Due giorni dopo ci fu un matrimonio a Cana, una città della Galilea. C'era anche la madre di Gesù, e Gesù fu invitato alle nozze con i suoi discepoli. A un certo punto mancò il vino. Allora la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino» (Gv 2, 1-3)
Il vino. Credo che sia una delle realtà più vicine ai nostri ricordi, alla nostra vita; senza vino non si mangia, almeno dove non siamo ancora – diciamo così – definitivamente rovinati da certa modernità tutta tecnica e artificiale, anche nel mangiare e nel bere. Ricordo che quando ero bambino il vino compariva a tavola soltanto una volta la settimana, la nostra lunga tavola in cui eravamo seduti tutti insieme con papà e mamma, e quella volta alla settimana che compariva ce n'era un «goccettino» per uno, ed era un segno della festa.
Può capitare qualche volta anche a noi di incontrare qualcuno che ci guarda in faccia appena e ci parla come se ci conoscesse da sempre. Ci accorgiamo di essere di fronte a lui come un libro aperto. Ecco. Qualcosa del genere dev'essere capitato quel giorno a Natanaele: si è accostato a questo figlio del falegname di Nazaret, falegname anche lui, ma con un senso di diffidenza, perché Nazaret era un paese che non godeva buona fama. Doveva essere un paese - chissà? - abbastanza anonimo e di gente poco istruita, o altro... «Può essere che il Messia venga da lì?». Meglio diffidare.
Questo il titolo del Messaggio dei Vescovi per la 42° Giornata per la Vita, prossimo 2 febbraio 2020. «Osiamo sperare che la Giornata per la vita divenga sempre più un’occasione per spalancare le porte a nuove forme di fraternità solidale», queste le parole del direttore Fr. Marco Vianelli con cui invita gli Uffici diocesani di pastorale familiare, le diocesi e le Associazioni ad animare la Giornata 2020.
Papa Francesco, incontrando i partecipanti all’incontro del Segretariato per la giustizia sociale e l’ecologia appartenenti alla Compagnia di Gesù, ha iniziato il suo discorso partendo dalla povertà della capanna di Betlemme: «Ogni anno la liturgia ci invita a contemplare Dio nel candore di un bambino escluso, che veniva tra la sua gente, ma non fu accolto». Questa contemplazione attiva di Dio, del Dio escluso, ci aiuta a scoprire la bellezza di ogni persona emarginata.
di Carlo Lapucci
La fonte ha due simboli fondamentali. L’acqua che sgorga frusciando o tracima silenziosa dalla terra è immagine della vita che esce dal buio dell’indistinto, affiora alla luce del mondo, saluta e canta la grandezza di Dio e scende per il suo viaggio verso l’infinito. Nel suo apparire, disseta, vivifica, ristora, virtù fondamentale dell’acqua e il suo segno è il getto perenne.
Scrive di Tiberio lo storico Svetonio (Tiberii vita LXIX): «Aveva un'eccessiva paura dei tuoni e, quando il cielo era scuro, non rinunciò mai a portare la corona d'alloro, poiché si dice che questa pianta non sia mai colpita dalla folgore».
Il sacro monte è un itinerario di devozione realizzato di solito sulle pendici d’un rilievo con un itinerario che sale dalla base alla cima dove di solito si trova un santuario o una semplice chiesa.