Concludevo l’ultimo nostro dialogo ricordando il primo brano del primo scritto di tutto il Nuovo Testamento, la Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, che risale certamente alla fine degli anni 40, rilevando che lì c’è già, esplicita, tuttala realtà della nostra fede: Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, la Chiesa, l’Apostolo come “episcopos”, sorvegliante della comunione e anche la vita umana nostra vivificata dalle tre virtù teologali.
Questa è la conseguenza della rivelazione e dono di Dio che si perfeziona in Gesù di Nazaret, Dio e Uomo, nel quale tutto è stato creato e tutto è salvato dal dominio del peccato e con la sua vicenda storica conclusa con la rivelazione-dono del mistero Pasquale: Passione, morte, resurrezione, Ascensione, Pentecoste, creazione nello Spirito Santo della nuova Comunità di salvezza che è la Chiesa-Mistero, Corpo Mistico di Cristo che vive attraverso la vicenda storica della istituzione Popolo di Dio tutto sacerdotale del “sacerdozio regale” di tutti i battezzati, come insegna San Pietro dall’inizio, e nel quale ci sono ministeri e carismi diversi che nel corso dei secoli hanno manifestato la grazia e la bontà di Dio unite nella sua misericordia anche ai limiti e alle miserie che vengono da noi, uomini di Battesimo e tutti i Sacramenti, quando vogliamo sostituire le nostre “vie” alle sue. Mi sono accorto che il periodo è lungo, ma si abbia la pazienza di leggerlo a poco a poco, senza precipitarsi sulla parola seguente…
Alla fine del nostro precedente incontro siamo giunti al vero “nuovo”, al vero Dio del nostro Credo cristiano e cattolico. Dio, dopo aver “in molte circostanze e in molti modi” (Ebrei 1, 1) parlato al Suo popolo si rivela definitivamente e si dona in Gesù di Nazaret, nato dal grembo di una donna del popolo, offerto fraternamente come “pane” che si spezza per tutti, acqua che sgorga dal grembo di Dio e invade la storia, servendosi anche di quei Dodici, poveri uomini peccatori che hanno formato la prima comunità di cristiani, e apre la via alla salvezza degli uomini nella storia e fino alla vita eterna. Cristo morto e risorto è tornato al Padre, ma non ci ha lasciati soli.
La Pentecoste è l’invasione dello Spirito Santo nella nostra vita. Tutta la nostra vita, se vogliamo, è guidata, sorretta, accarezzata da Dio, anche quando non lo sentiamo: Gesù era amato dal Padre anche quando sulla croce pareva che fosse dimenticato. «La speranza - dice Paolo - non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori». (Romani 5,5)
Siamo, ormai da dieci incontri (questo è l’undicesimo) alla ricerca del “volto” del Dio in cui crediamo. Il Credo infatti comincia da Lui. “Credo in Dio”. Chi è dunque il nostro Dio? Abbiamo visto via via come una religiosità naturale si afferma nella vicenda dell’umanità alla ricerca di superare i limiti di conoscenza e di potere sulla realtà della natura che accompagna, ma anche sovrasta l’umanità facendole fare l’esperienza dei suoi limiti, fino a quella del morire.
Nascono così quelle che chiamiamo “religioni naturali”, in cui l’ignoranza e l’impotenza dell’uomo generano una visione della divinità come riflesso all’opposto dei limiti sperimentati: la divinità, gli dei, sono grandi e l’uomo piccolo, sono sapienti e l’uomo ignorante, sono forti e l’uomo debole… Ecco “i miti”, che descrivono la superiorità delle divinità cui sono attribuiti gli aspetti misteriosi e sconosciuti dell’esperienza umana, ed ecco “i riti”, che dovrebbero servire, con offerte e sacrifici alle divinità, a proteggere l’uomo dai pericoli che la natura gli presenta e che egli non può dominare… La religione naturale, concepita e come inventata dagli uomini, è un antidoto a ignoranza e impotenza. In essa la divinità è opposta all’umanità, lontana, superiore, e protegge solo chi offre sottomissione e sacrifici…
è molto in sintesi, il panorama millenario delle religioni naturali, fino al politeismo antico, e alle sopravvivenze di esse nei popoli ancora primitivi e nei residui ancora vivi in società indigene di vari continenti, culto degli spiriti, dei morti come vivi, voodoo e altre infinite varietà che gli antropologi della religione continuano ad analizzare e descrivere.
Proseguiamo il cammino orientato a conoscere la nostra fede, fondata sul Primo e sul Nuovo Testamento ed espressa nel Credo dai tempi della Chiesa apostolica. Nella Bibbia a poco a poco, adattandosi alla capacità degli uomini, da Abramo in poi, fino a Mosé, ai Profeti, e infine agli Apostoli è arrivato l’annuncio pieno della salvezza in Gesù Cristo. Siamo giunti, la volta scorsa, a scoprire che nella rivelazione biblica antica, da Abramo appunto ai profeti l’unico modo per conoscere Dio non è guardare in alto, ma riconoscerne con i fatti la vera immagine nell’uomo fratello ascoltando la Sua voce che nelle “Dieci Parole” ha chiesto proprio questo. Dio è “conosciuto” – ci dicono i profeti, anche se la nostra sensibilità non è ancora forse abituata a capire bene la novità della loro parola – solo se è “riconosciuto” nel fratello. I Comandamenti, dal terzo in poi – lo abbiamo visto fino qui – parlano solo del nostro rapporto con gli altri uomini…
Ottavo incontro: riprendiamo il cammino per “vedere meglio”, pur con i nostri poveri occhi della mente e del cuore, la realtà del Dio rivelato nella storia ad Abramo ed alla sua discendenza, e poi definitivamente donato come Salvatore in Gesù, Dio e Figlio di Dio. La fede ci dice che Egli “si è fatto uomo”, incarnato nel grembo materno di una donna di Nazaret di nome Maria, è morto crocifisso e risorto per noi come Messia e Salvatore che uscendo dalla storia da Lui redenta ci ha donato lo Spirito Santo, creando così un Popolo definitivamente chiamato a salvezza per grazia e misericordia, quel “Popolo di Dio” che noi chiamiamo “Chiesa”.
Riprendiamo il discorso. Dopo aver cercato il senso specifico del “credere” espresso nella vera e propria “fede”, abbiamo cominciato a parlare di quella realtà che chiamiamo “Dio”, il Dio della Rivelazione ebraico cristiana che non è quello dei “miti”, inventati dalla fantasia umana come spiegazione di fenomeni naturali incomprensibili, e neppure quello dei “riti”, concepiti dal bisogno umano di protezione e forza di fronte alle necessità della vita personale e comunitaria. La fede ebraico cristiana non “spiega” la natura, il che è compito dell’intelligenza umana attraverso la conoscenza e la scienza, e neppure la “piega” ai bisogni dell’uomo, il che è compito della tecnica, che si serve della conoscenza della natura per tentare di dominarla e provvedere alle necessità concrete di uomini e popoli.
Siamo dunque, finalmente – visto il lungo cammino già fatto in precedenza – ad un punto decisivo, che però è solo il primo, e sarà seguito da molti altri: Dio si è rivelato ad Abramo, attirandolo fuori dalla sua patria di origine e facendogli iniziare una risposta alla promessa, e nella fede Abramo “ha creduto”, è partito, ha vissuto la sua avventura di patriarca del suo popolo detto appunto della promessa…
Così il racconto biblico è giunto a Mosè, cui sul monte si è rivelata la nuova “presenza” divina, che si conferma e poi lo invita a nuova opera: “Io sono con te!”, e ora tu devi liberare il mio popolo, che è anche il tuo, dalla servitù egiziana. Secoli di storia raccontati così, in poche pagine che esprimono la coscienza di una promessa e di un cammino reale vissuto da uomini come noi…
Ecco dunque che finalmente, e ancora sul monte, questo Dio nuovo, Jahvè, si presenta a Mosè e parla. Lui parla, ma Mosè non vede il suo Dio, ma lo ascolta…Questa caratteristica è fondamentale: il Dio di Israele non è un Dio che si mostra, che si fa vedere.
Riprendiamo da Abramo, il capostipite della fede ebraico-cristiana. Lui è quello che “ha creduto” ad una parola di Dio creatore ed è partito, lasciando tutto, verso una realtà ignota, forte dell’ascolto della chiamata come base e fondamento sicuro (il primo senso del “credere”, batàh) e fiducioso nello slancio fiducioso che lo spingeva in avanti (il secondo senso del credere, amàn), come abbiamo visto negli incontri precedenti.
Un passo avanti. Per “credere” occorre qualcosa su cui basarsi e di cui fidarsi, e quindi una “comunicazione”, una parola da ascoltare o l’esperienza di un evento di cui prendere atto. L’ascolto perciò, e l’esperienza fatta nella vita, sono all’origine del credere. Ecco perché alla fine del nostro secondo incontro ho ricordato un libro, “Uditori della Parola”, del teologo Karl Rahner: il nostro credere, nel senso forte che è quello della “fede”, include qualcuno che “parla”, qualcuno che “opera” e rispettivamente qualcuno che “ascolta” e qualcuno che “vede” e vive un’esperienza, un incontro di vita. Dunque: parlare, ascoltare, vedere e capire. Si tratta del mestiere dell’uomo: in questione siamo noi con la nostra vita.
Ancora sulla prima parola: “Credo”. Forse sono discorsi difficili. Chiedo scusa a chi legge, e mi sforzerò di semplificare, ma qualche pensiero serve davvero per andare avanti insieme.
Quando dico “credo” e la parola esprime ciò che è proprio la “fede”, dico insieme certezza di fondamento (“basàh” biblico) e slancio di affidamento che si spinge avanti (“amàn”) e diventa capacità di rispondere con la vita alla “Parola” che annuncia e insieme rivela la salvezza che viene da Dio e che veramente dà senso ultimo a tutta l’esistenza umana, anche se come strumento “non serve” a niente di mondano, conoscenze umane e potere sulla natura. La salvezza è ciò che dà “senso ultimo” a tutto nel tempo ed oltre il tempo, perché acconsente all’invasione di Dio stesso nella nostra esistenza e la trasforma in una “compagnia” di Padre, Figlio e Spirito Santo fino alla vita eterna…