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Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:29

I tempi dei bimbi: un’occasione da accogliere

di Corinne Zaugg

L’arrivo di un bimbo in famiglia butta per aria schemi e organizzazioni familiari. Poco si cura, infatti, il neonato, se è giorno o se è notte per soddisfare i suoi bisogni di cibo, coccole, sonno e veglia. Per i neo-genitori, forse per la prima volta nella loro vita, si tratta di vivere non in funzione di una propria tabella di marcia ma di assecondare quella di un altro. Entrando in una dimensione temporale nuova, scandita non da appuntamenti e griglie orarie predefinite, ma da una serie di momenti più o meno lunghi e ogni giorno diversi, che si modellano sulle esigenze di questo loro piccolissimo nuovo membro della famiglia. è un passaggio molto difficile e delicato da fare proprio. Soprattutto per la mamma, che spesso fino ad un attimo prima di diventare tale, era una giovane donna dedita ad un mestiere e inserita in un contesto lavorativo e produttivo. La maternità la catapulta dopo solo nove mesi di preparazione, in una vita completamente altra da quella che ha sin qui conosciuto.

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 13:12

Sentieri incrociati tra famiglia, lavoro e festa

del card. Ennio Antonelli

La lettera di Benedetto XVI illustra brevemente anche il tema del VII Incontro Mondiale che egli stesso precedentemente aveva scelto: “La famiglia: il lavoro e la festa”. Gli elementi, che ci offre, sono preziosi per orientare la riflessione sia nelle Chiese locali durante il percorso preparatorio sia a Milano nello svolgimento dell’evento ecclesiale. Il lavoro e la festa sono da considerare non come problematiche a se stanti e in tutta la loro ampiezza, ma solo in relazione alla famiglia, in quanto influiscono fortemente sulla vita di essa. La lettera con un rapido accenno all’antropologia biblica dei primi capitoli del Genesi presenta la famiglia, il lavoro e la festa come benedizioni e doni di Dio, intimamente collegati tra loro e necessari allo sviluppo umano integrale. Come commento si può aggiungere che l’uomo, per vivere e svilupparsi, ha bisogno sia dei beni strumentali, che sono voluti in vista di qualcos’altro, sia dei beni gratuiti, che sono voluti per se stessi. Appartengono alla prima categoria il lavoro, la tecnica, il mercato, il denaro; appartengono alla seconda categoria la famiglia, l’amicizia, la solidarietà, la poesia, la musica, l’arte, la spiritualità, la festa.

Giovedì, 12 Gennaio 2012 13:48

La società si forma nella famiglia

di Tarcisio Stramare

 

«Siate figli del Padre vostro che è nei cieli… Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». «Siate figli del Padre vostro che è nei cieli… Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,45.48). L’esigenza di Gesù nei riguardi dei suoi discepoli si rivela qui estrema, corrispondente, d’altra parte, alla dignità di “figli”.
Dignità che egli con la sua Incarnazione ha conferito a tutta l’umanità. Il principio “la nobiltà obbliga” non deve forse valere nei riguardi di Dio che ci ha fatto questo dono? Ne segue che un comportamento simile a quello, pur “corretto”, dei pubblicani e dei pagani non corrisponde alla nuova situazione dei “figli del Padre celeste”.    
Ecco allora l’esigenza di una “educazione” a questa nuova realtà, attraverso quei mezzi ordinari già predisposti dalla natura, primo tra i quali, per l’uomo, la famiglia. Nell’Esortazione apostolica Redemptoris custos, Giovanni Paolo II, molto sensibile al tema della famiglia, non manca di considerare “il sostentamento e l’educazione di Gesù a Nazaret”: “La crescita di Gesù ‘in sapienza, in età e in grazia’ (Lc 2,52) avvenne nell’ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di ‘allevare’, ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella Legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre” (n.16).

Mercoledì, 21 Dicembre 2011 13:29

I tre di Nazareth: una famiglia nella norma

di Tarcisio Stramare

La nostra immaginazione difficilmente riesce a entrare nel mistero dell’Incarna­zione. Pur credendo che Dio si è fatto veramente uomo “in tutto” simile a noi, fuorché nel  peccato, pensiamo istintivamente che qualche eccezione ci debba essere stata. La letteratura apocrifa dei primi secoli, infatti, non ha potuto fare a meno di presentare Gesù come protagonista di tanti episodi meravigliosi, che la Chiesa, tuttavia, ha istintivamente rifiutati, anche se non irriverenti, ma semplicemente perché uscivano “dalla norma” di vita dell’uomo, come Gesù ha voluto essere considerato: cittadino di un oscuro paese, Nazaret; figlio di un artigiano, Giuseppe. Anche l’iconografia alla quale siamo abituati non ha saputo resistere all’eccezione, raffigurando Gesù sempre con un’aureola luminosa, che certamente non faceva parte della sua figura. Il vangelo di Matteo puntualizza con chiarezza l’origine divina di Gesù, concepito  da Maria per opera dello Spirito Santo. Si tratta in questo caso di un evento necessariamente eccezionale, perché riguardante la “preesistenza” divina della Persona di Gesù; esso, tuttavia, non è stato affatto appariscente e conseguentemente Gesù è stato considerato “il figlio di Giuseppe”. I racconti immediatamente successivi a quello del concepimento ci mostrano subito con chiarezza la “fragilità” di questo Dio fatto uomo, che non fa nessun uso della sua potenza, ma come tutti gli altri esseri umani “fugge” dalle insidie che minacciano la sua vita.
Non vogliamo entrare qui nella teologia biblica della fuga di Gesù in Egitto, del suo ingresso nella “terra d’Israele” e della sua dimora a Nazaret, racconti di grande interesse per l’evangelista Matteo, che vede in tali episodi la realizzazione di un piano divino già contenuto nell’Antico Testamento. Fermiamo, invece, la nostra attenzione sul “comportamento” di Gesù, che si rimette totalmente alle decisioni prese dal suo padre putativo Giuseppe, chiaramente guidato dalla volontà divina, trasmessagli per il ministero di un angelo, ma “senza sconti” sulla loro esecuzione; tale comportamento evidenzia la sua fede, che lo avvicina a quella di Abramo, introduttore, costui, dell’Antica Alleanza, come Giuseppe lo è della Nuova, secondo la felice intuizione di Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica “Il Custode del Redentore” (n.32).  
Su tale comportamento, che è quello proprio del mistero dell’Incarnazione, si era soffermato già Origene (183-255), una delle più rilevanti personalità della Chiesa antica. Che necessità aveva Gesù di fuggire in Egitto, avendo Dio la possibilità di usare altri mezzi? Nessuna, ma “era necessario che colui che aveva decretato di vivere in modo umano tra gli uomini, non si esponesse inconsideratamente alla morte, ma che si lasciasse guidare dai nutrizi… Che cosa c’è di assurdo per colui che aveva assunto la natura umana, provvedere in modo umano per affrontare i pericoli? Non perché ciò non avesse potuto essere fatto in altro modo, ma perché si doveva provvedere alla salvezza di Gesù secondo un certo modo e ordine. Certamente era più che sufficiente per il bambino Gesù evitare le insidie di Erode, fuggendo in Egitto con i suoi genitori fino alla morte dell’insidiatore”. Insomma, per la difesa di Gesù, che aveva voluto vivere in modo umano, seguendo la via ordinaria, la protezione paterna doveva bastare. Ovviamente Giuseppe non poteva essere il vecchietto creato dalla fantasia degli apocrifi, necessitati conseguentemente a inventare una serie ininterrotta di miracoli per arrivare al lieto fine. Ne segue che l’invenzione del “vecchietto”, nonostante il suo lungo successo, va rigettata per la semplice ragione della sua contraddizione con la legge della “normalità”, che deve caratterizzare il mistero del’Incarnazione.
Anche il vescovo san Pietro Crisologo (380-450), teologo insigne dell’incarnazione del Verbo, dopo aver descritto con grande eloquenza e ricchezza di paragoni i pericoli e le difficoltà affrontate dalla santa Famiglia, si pone la domanda circa un opportuno intervento di Dio per evitarli o almeno limitarli. “Colui che la verginità non ha fermato nella sua nascita, al quale la ragione non si è opposta, al quale la natura non ha potuto resistere, quale potenza, quale forza, quale pericolo prevale ora per costringerlo alla fuga?... Cristo si salva con la fuga!”. Dopo una coinvolgente descrizione della fuga di Cristo, l’oratore così conclude: “Fratelli, la fuga di Cristo è un mistero, non l’effetto del timore; avvenne per la nostra liberazione, non a causa di un pericolo del Creatore; fu un effetto della potenza divina, non della fragilità umana; questa fuga non mira a evitare la morte del Creatore, ma a procurare la vita del mondo”. Insomma, bisogna tener in conto che i disegni di Dio non sono i nostri.
In una omelia del secolo VI, attribuita erroneamente a san Giovanni Crisostomo,  ritorna lo stesso problema teologico. L’oratore pone in bocca a Giuseppe la domanda all’angelo circa il motivo del comando della fuga: “Come il figlio di Dio fugge davanti all’uomo? Chi libererà dai nemici, se lui stesso teme i suoi nemici?”. Ecco la risposta: “Innanzi tutto, egli fugge per rispettare in tutto la regola dell’umana natura, che aveva assunta; nel caso particolare, perché conviene e alla natura umana e all’età infantile fuggire il potere minaccioso”. La domanda in realtà è la nostra, perché di fatto Giuseppe non fece nessuna domanda, tanto la sua obbedienza era pronta e generosa. Interessante è il commento dello stesso autore all’ordine dell’angelo: “Prendi il bambino e sua madre” (Mt 2,13.20). “Vedi che Giuseppe non era eletto per un matrimonio ordinario con Maria, ma per servirla? Nel suo viaggio in Egitto e ritorno, chi l’avrebbe aiutata in così grande necessità, se non fosse stata a lui sposata? Infatti, a prima vista, Maria nutriva il Bambino, Giuseppe custodiva. Di fatto il Bambino nutriva la madre e Giuseppe difendeva. Perciò non dice: Prendi la madre e il suo bambino, ma Prendi il bambino e sua madre, perché questo figlio non è nato per lei, ma lei è stata preparata madre per quel figlio. Né era gloria del figlio avere quella madre, ma di lei era la beatitudine di avere questo figlio”. Insomma, Maria e Giuseppe esistono e vivono solo per Gesù, che occupa il posto centrale.
Quanti utili insegnamenti ci vengono dal testo evangelico, vera scuola di vita quotidiana. Innanzi tutto, l’importanza delle istituzioni, il matrimonio in prima linea, assunto dallo stesso Figlio di Dio per la sua incarnazione e conseguentemente  prima realtà umana “santificata” dalla sua divina presenza. Inoltre, il ruolo che nel matrimonio è assegnato ai coniugi in relazione ai figli, i quali non ne sono un semplice prodotto programmabile e disponibile. Nel caso di Maria e Giuseppe, è vero, si tratta dello stesso Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità; tuttavia, per quanto ci riguarda, è parimenti vero che ogni persona umana è figlio adottivo di Dio. Infine, dobbiamo credere che la “divina Provvidenza” è sempre presente e operante, anche nei casi in cui il suo agire non è sempre comprensibile e, a volte, addirittura sconcertante.
San Giuseppe rimane un “insigne esempio” di fede e di obbedienza per tutti gli sposi e padri. Il fatto di non averne tenuto sufficientemente conto nel passato, emarginandone o addirittura ridicolizzandone la presenza e la figura, si ripercuote oggi pesantemente sull’immagine del matrimonio e dei suoi componenti, incamminati verso la mercificazione dei propri valori.

Martedì, 29 Novembre 2011 14:42

Cammino formativo alla luce della Bibbia

di Tarcisio Stramare

La Bibbia inizia il racconto della storia della salvezza con Dio “creatore”. Le cose vengono all’esistenza in  risposta alla sua parola, divenendo l’immagine “visibile” di quanto egli progetta e vuole, processo che culmina e si conclude nell’uomo: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27). La descrizione dettagliata della formazione dei “due” – l’uomo maschio e femmina - vuole sottolineare insieme l’“unità” nella “diversità” (Gen 2,18-24).
Una riflessione “sapienziale” sul racconto della creazione, tenuto conto di tutta la storia sacra e dello sviluppo teologico, ci porta a scoprire il significato profondo delle cose, risalendo dal visibile “creato” alla sua sorgente, ossia all’invisibile “Creatore”, “amante della vita”, come leggiamo nel libro della Sapienza:
“Tu, infatti, ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualche cosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente verso tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita” (11, 24ss.).

 

di Luciano Mediolani

La comunione coniugale costituisce il fondamento sul quale si viene edificando la più ampia comunione della famiglia, dei genitori e dei figli, dei fratelli e delle sorelle tra loro, dei parenti e di altri familiari.
Tale comunione si radica nei legami naturali della carne e del sangue, e si sviluppa trovando il suo perfezionamento propriamente umano nell’instaurarsi e nel maturare dei legami ancora più profondi e ricchi dello spirito: l’amore, che anima i rapporti interpersonali dei diversi membri della famiglia, costituisce la forza interiore che plasma e vivifica la comunione e la comunità familiare.
La famiglia cristiana è poi chiamata a fare l’esperienza di una nuova e originale comunione, che conferma e perfeziona quella naturale e umana. In realtà, la grazia di Gesù Cristo, «il Primogenito tra molti fratelli», è per sua natura e interiore dinamismo una «grazia di fraternità», come la chiama san Tommaso d’Aquino.

di Luigi Crimella

Un sito internet potenziato e rinnovato da parte del Pontificio Consiglio per la famiglia (www.familia.va), un secondo sito internet specifico per l'appuntamento mondiale di Milano (www.family2012.com), la diffusione a stampa e on-line di un volume di un centinaio di pagine ("La famiglia: il lavoro e la festa") con le catechesi preparatorie in sette lingue da utilizzare in tutto il mondo, oltre a innumerevoli iniziative pubblicitarie e di sponsorizzazione a livello nazionale e internazionale: sono questi gli "ingredienti" del cammino preparatorio illustrati il 24 maggio in Vaticano, in vista del VII incontro mondiale delle famiglie in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012.

di Angelo Forti

La Chiesa «universale» scommette il futuro sulla chiesa «domestica», la famiglia nata dal sacramento del matrimonio, come sorgente perenne di forza e grazia divina. Il VII Incontro mondiale delle Famiglie, si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012. La prima tappa di questo lungo itinerario di preparazione  parte proprio da Nazareth, la culla della prima famiglia cristiana.  Quella famiglia è diventata una scuola di umanità, di fede, di relazioni, di lavoro e di festa.A Nazareth da sempre si è respirato un clima di «famiglia, di lavoro e di festa», tre temi che si intrecceranno in una danza di gioia e di itinerari di vita.
In questi mesi di preparazione avremo il compito di sostare nel cuore di questa esemplare famigliola. I nostri occhi diventeranno curiosi, avidi di luce per cogliere nei sentimenti di questa «trinità terrena», quei semi di speranza per far lievitare la nostra vita familiare con la stessa linfa che ha alimentato la loro esistenza.

Giovedì, 16 Giugno 2011 14:54

Don Guanellla: «mia sorella Caterina»

di Franca Vendramin

Caterina nasce a Fraciscio di Campodolcino (Sondrio) il 25 marzo 1841. Il giorno dopo viene battezzata: Maria Caterina Anna. è l’ottava della numerosa famiglia (13 figli) di Lorenzo Guanella e di Maria Bianchi; nell’anno successivo nascerà Luigi, il futuro san Luigi Guanella.
Fin dall’infanzia Caterina è legata al fratello da profondo affetto: condivide con lui sogni, progetti, ideali di bene. Il gioco che i due fanciulli amano fare insieme, “la minestra dei poveri”, diventerà realtà nella loro futura missione.
Fino ai 27 anni Caterina  rimane a Fraciscio, poi segue don Luigi nella Parrocchia di Savogno (Sondrio) dal 1868 al 1875. Lo affianca nel suo ministero infaticabile: insegna nella scuola elementare, si occupa della catechesi, dell’assistenza agli anziani e agli infermi. Caterina, considerata dai parrocchiani un “angelo di buon esempio”, gode di un “alto credito di virtù”; sostiene don Luigi anche nelle difficoltà e nelle incomprensioni, con la preghiera e il sacrificio.

 

di Enrico Ghezzi

L’occasione della canonizzazione di don Luigi Guanella, ci spinge, piacevolmente, a chiederci: che cos’è la ‘santità’? Una risposta semplice e immediata, che possiamo spiegare anche ai nostri bambini, può essere: ‘santi’ sono coloro che ‘seguono’ Gesù, perché hanno ‘ascoltato’ la sua parola.  Infatti le comunità dei primi cristiani, secondo l’uso in S. Paolo, erano chiamati santi: «A tutti quello che sono a Roma, amati da Dio e santi  per chiamata» (Rm 1,7; At 9,13-15; 1Cor 1,2; Ef 1,1). Qui, nel NT come già nell’At con la chiamata di Abramo nel quale sono ‘benedette tutte le nazioni’, la santità è preceduta dalla ‘chiamata’ alla sequela di Gesù: i primi cristiani venivano così indicati perché, attraverso il ‘battesimo’, che è la chiamata alla fede, i cristiani erano stati ‘illuminati e santificati dallo Spirito Santo’.

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