I frammenti, le diverse testimonianze filtrate da sensibilità eterogenee, sono diventate in questa pubblicazione di Parabole di un buon samaritano pietre diverse di un mosaico in cui appare questa immagine di straordinaria ed intensa umanità, tale da offrire quasi naturalmente la connessione della dimensione umana con il divino, del tempo con l'eternità.
I fatti non forzano mai la mano al miracolo: sono eventi umani che narrano cose del tempo viste però in un'altra dimensione: dicono che l'uomo può superare i suoi limiti di egoismo e di grettezza, può infrangere l'involucro della logica d'individualismo e d'indifferenza e, come un germe esce dalla terra, sollevarsi nella dimensione dell'amore, della carità nella luce di Cristo.
Nei suoi scritti morali, don Guanella ha più volte insistito sul buon orientamento della giornata cristiana, volendo specialmente raccomandare di riferire ogni azione a Dio. Si tratta, cioè, dell'ordinamento interiore di ogni nostra attività; ma questa presuppone una certa regolarità ed esattezza di azioni esterne.
La regolarità esterna di programmi giornalieri è attestata da un ricordo di don Guanella stesso per gli anni trascorsi a Pianello e dai ricordi d'un nipote sacerdote che, nel tempo di seminario, usava trascorrere parte delle sue vacanze estive con lo zio a Savogno.
Questo secondo documento ha più interesse del primo, non solo perché è più minuzioso nei particolari, ma perché dimostra che, per don Guanella, l'orario giornaliero non era solo un proposito o uno scritto dimenticato, ma un fatto abituale, sia pure con le non rare eccezioni imposte dal suo ministero:
«Al mattino dopo le lunghe occupazioni di chiesa, rincasato e sorseggiato un po' di caffè, apriva una o due porte che si fronteggiavano, creando così un deambulatorio, lo percorreva, a lunghi passi, mentre recitava il breviario.
Finita la preghiera, una capatina al pollaio, ai conigli, all'arnia delle api, all'orto sempre accuratissimo e remunerativo, lieto di viali dai bordi policromi per svariati, abbondanti fiori, che man mano passavano ad ornare e profumare le cappelle della Chiesa, impreziosito da numerose piante fruttifere e da ombrosi chiostri; indi al tavolo di studio; poi alla refezione meridiana affrettata; cogliendo il pretesto di una passeggiata, si soffermava a conversare con un uomo, a salutare una vecchia, a visitare un ammalato, a confortare i miserelli, finché, raggiunta una delle cappelle, da lui costruite, recitata una breve preghiera e fatta una breve pausa per riposare, si rifaceva sui suoi passi e così ritornava alla penna e ai libri, alla preghiera e alla chiesa».
Prosto, piccolo paese al piede di montagne altissime dal bel nome come Pizzo del Grillo o dal nome oscuro e minaccioso come Monte Gruf, appena fuori di Chiavenna, sulla strada di Saint Moritz, accolse don Guanella neosacerdote che veniva a celebrare la sua prima Messa il 31 maggio 1866.
Il parroco don Del Curto gli aveva fatto un posticino nella sua casa parrocchiale rimessa a nuovo con una mano di calce ( aveva speso lire 3 e 75 centesimi, come aveva segnato verso fine aprile su un vecchio libro dei conti, per questo lavoro); aveva messo fuori le cose più belle della sua Chiesa che raccoglieva lavori pregiati dell'antica Piuro sepolta da una frana, e aveva preparato materialmente e spiritualmente il suo popolo per ricevere il sacerdote novello.
Una maestra di una scuola materna aveva portato la sua classe a visitare una chiesa con le figure dei santi sulle vetrate luminose. Ritornati dalla visita, il parroco domandò ai bambini: Sapete chi sono i santi? Un bambino rispose: Sì, sono quelli che fanno passare la luce! I santi fanno passare la luce di Dio che continua ad illuminare la terra. Ora siamo qui a far festa per un nuovo santo, Luigi Guanella. Se i santi si potessero misurare a metri quadri, don Guanella sarebbe una grande finestra di luce, ma non possiamo dimenticare che tutti i cristiani con il battesimo sono stati uniti a Cristo: in questo senso tutti sono già santi, cioè consacrati. D’altra parte il dono ricevuto deve essere accolto, vissuto, fatto fruttificare.
«Il santo è colui che aderisce a Dio nella fede e nell’amore, percorrendo un’esistenza giusta». E’ una definizione dove ogni persona santa si sente descritta, poiché il santo è un riflesso della luce divina nella sua persona, un’energia che muove la volontà e dà sostanza evangelica al suo agire.
Nella preghiera del «Padre nostro», quando chiediamo a Dio di santificare il Suo nome chiediamo a Dio di svelare il mistero della Sua presenza luminosa nella vita delle persone attraverso la Sua volontà come strada garantita di benessere. L’apostolo Pietro nella sua prima lettera scrive al popolo di Dio: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato». Il sigillo della santità è impresso come garanzia di un’esistenza innestata nella stessa vita divina.
Luigi Guanella nacque a Fraciscio di Campodolcino, in Valle Spluga, il 19 dicembre 1842. Divenne prete della diocesi di Como nel 1866, in momenti politicamente difficili ed economicamente drammatici per la vita sociale del nostro Paese. Dopo alcune esperienze, fallite per l'incomprensione dei contemporanei, nel 1886 Don Luigi Guanella iniziò a Como la sua prima grande opera al servizio dei poveri. Scelse di servire i più miseri e abbandonati, privi di qualsiasi assistenza. Predilesse le categorie dei vecchi, degli handicappati e dei ragazzi abbandonati. Lentamente da quella prima opera lievitarono altre istituzioni in diverse regioni italiane, nella Svizzera e poi negli USA.
Don Guanella fondò anche due congregazioni religiose: le Figlie di S. Maria della Provvidenza e i Servi della Carità, che continuano a offrire in ogni parte del mondo la solidarietà e ad aiutare chi soffre. Don Guanella è stato un uomo che ha fatto la carità, ma si può dire anche che la carità di Dio ha fatto lui e lo ha reso padre dei diseredati. Egli è riuscito a stare con loro con spirito di vera povertà evangelica.
Ciudad Guzmàn, una graziosa cittadina di circa centomila abitanti, situata a millecinquecento metri di altezza a sud-ovest della Capitale messicana, ha ospitato dal 29 settembre al 6 ottobre di quest’anno i partecipanti all’XI Simposio Internazionale su San Giuseppe.
La settimana di studi è stata organizzata dalla Congregazione dei Missionari di San Giuseppe, in collaborazione con la diocesi, avvalendosi anche del contributo del Centro di Documentazione su San Giuseppe di Città del Messico.
Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? è il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? è l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e popolari? No. è la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. è un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art .
Il venerabile Giuseppe Quadrio
Chissà se le femministe nostrane sottoscriverebbero l’asserto che “l’amore della donna determina sempre il modo di amare dell’uomo”. A formularlo è stato un sacerdote salesiano, morto poco più che quarantenne in concetto di santità, nella metà del secolo scorso, don Giuseppe Quadrio. Lo aveva capito fin da fanciullo quando, a soli dieci anni, si era affidato a quella che sarebbe stata l’unica donna della sua vita, la Madonna, emettendo nelle sue mani il voto di verginità perpetua.
In un mondo orfano di padri, sembra opportuno ritrovare nell’esperienza di San Giuseppe il suo ruolo di padre accanto a Gesù. Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica sul «Custode del redentore» scriveva: «Giuseppe è padre: non è la sua paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è “apparente”, o soltanto “sostitutiva”, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna della famiglia».
Paolo VI nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, proprio a Nazareth, indicava la Santa Famiglia come «scuola», com palestra dove si impara, in pienezza, il mestiere di vivere la vita cristiana: scuola di santità, scuola di preghiera, scuola di serenità nelle relazioni, scuola di reciproche obbedienze e di eloquente silenzio.