Le parole del Concilio Vaticano II sull’educazione dei figli da parte dei genitori - «Tocca ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e gli uomini» (Conc. Vat. II, Gravissimum educationis, 3) - sono il frutto di una lunga riflessione e sperimentazione della santità di tante nostre famiglie che con l’esempio e la saggezza biblica hanno cresciuto figli destinati da Dio, alla santità. All’inizio di quell’evento straordinario di grazia, che fu il Concilio, c’era un uomo carico di luce e di bontà, Papa Giovanni XXIII, manifestazione di vita evangelica, coltivata in famiglia da due santi genitori contadini. Non diversamente da quanto è avvenuto nella famiglia Guanella.
L’ambiente e l’habitat della famiglia ci definisce in modo determinante. Come comprendere gli eroi o i santi? Nessuna persona, uomo o donna è quello che è diventato da adulto, senza fare riferimento alle radici della sua infanzia e adolescenza. La storia di don Bosco, del Cottolengo, di don Guanella, di don Orione o di Papa Giovanni XXIII, sono il frutto dell’ origine popolare, semplice, contadina o operaia delle loro famiglie. Se penso a Giovanni XXIII, nella sua altissima dignità di Papa, si portava con sé lo sguardo dolce e forte, contadino e sapiente dei suoi santi genitori, degli zii, dei preti che avevano collaborato con sacrificio e santità alla sua formazione. Il ‘Papa buono’, lo chiamerà il popolo.
Accanto alle riforme attuate da Pio IX per il ripristino di una completa vita comune negli antichi istituti religiosi e per una più facile dimissione (con l'introduzione dei voti semplici prima di quelli solenni nel 1857), assistiamo al proliferare vivissimo delle nuove fondazioni, soprattutto femminili: 183 nel solo Ottocento in Italia! Fino ad allora la vita religiosa femminile era strettamente legata alla clausura (secondo la costituzione apostolica Circa pastoralis di Pio V del 1566). Ora invece la donna si consacra con i voti semplici, è realmente «religiosa» (anche se il riconoscimento giuridico arriverà solo nel 1900 con la costituzione apostolica Conditae a Christo, e questo salverà le nuove congregazioni dalla soppressione) e si dedica alla scuola e all'assistenza.
A Luigi Guanella, tramite la sua famiglia, giunse l’eredità solidale della sua gente. In quel tessuto sociale vi entra e vi comunica con tutto il suo essere, ne assume la situazione, ne viene segnato. Per essere compreso a fondo, sarà necessario tener conto di questa sua radicale appartenenza alla gente di montagna, alla famiglia Guanella e, più in particolare, a quella di Pa’ Lorenzo e di Mamma Maria Bianchi.
C’è consistenza in Pa' Lorenzo, robusto di fisico e di spirito, che infonde sicurezza, stabile e forte come una montagna; e dolcezza nella mamma Maria.
Don Attilio Beria ha tracciato una sintesi dell'influenza, diversa e complementare, dei due genitori: «...Luigi Guanella... trascorse infanzia e fanciullezza coltivato dalla mano rude del padre, tipica figura dell’alpigiano di quei posti, e da quella dolce della madre, una creatura di quelle che vivono sulla terra senza allontanarsi dalla loro casa, inosservate, ma che ci riempiranno di stupore quando leggeremo la storia del nostro mondo scritta da Dio. Soave quanto il padre fu severo, umile, forte di Dio, essa ha salutato sulla porta dell'uscio, e avviato per il mondo tredici figli, più d'uno dei quali, forse, degno di essere venerato come santo».
Chi incomincia ad avere i capelli brizzolati ricorda il film di Ermanno Olmi L’albero degli zoccoli. Il titolo del film nasce da un episodio di povertà. Il ragazzo, che deve fare sei chilometri al giorno per andare a scuola, un giorno torna a casa con i calzari rotti. Non ci sono soldi per un paio nuovo, allora il padre taglia un albero di pioppo per ricavarne un paio di nuovi. Il padrone della terra si accorge del furto e lo licenzia costringendolo ad emigrare in un altro paese, dove per amore viene accolto dai parenti. In quella famiglia viveva il nonno Anselmo, un anziano ingegnoso e saggio contadino. Anselmo è un anziano molto amato dai bambini ed è il continuatore della cultura popolare, fatta di proverbi e filastrocche, ingegnose astuzie che si tramandano oralmente di generazione in generazione.
Sono passati dieci anni dalla scomparsa del cardinale Giuseppe Casoria, che ha lasciato semi di bene così forti nella Basilica di san Giuseppe al Trionfale, di cui era titolare, da essere ricordato ancora con commozione. A presiedere domenica 13 febbraio scorso la celebrazione eucaristica delle ore dodici è stato il segretario di Stato vaticano il cardinale Tarcisio Bertone e, con lui, a concelebrare sull’altare: il vescovo di Acerra (diocesi dove è nato il card. Casoria), mons. Salvatore Giovanni Rinaldi e l’altro vescovo (di fresca ordinazione il 6 febbraio scorso) mons. Marcello Bartolucci, segretario della Congregazione per le cause dei santi. Il card. Bertone, che ha riferito di «avere accolto con grande gioia l’invito a presiedere la celebrazione in occasione della commemorazione», ha ringraziato «di cuore il parroco e le suore missionarie di sant’Antonio Maria Claret, che hanno desiderato la mia presenza in mezzo a voi».
«Mi credi, cara Jeanne, se ti dico che ogni volta che ti scrivo sento un grande imbarazzo? Il mio cuore è pieno di te e il mio spirito si accende continuamente. Mi basta ricordare la tua figura e subito vengono a farmi compagnia pensieri divini e dolci" (Lettera di Bloy a Jeanne, 27 novembre 1889)
In tutte le lingue la parola ''amore" è tra le più citate, ma è anche tra le più inflazionate. In realtà, le contraffazioni dell'amore sono sconfinate. Si verifica per essa quanto succede al termine “Dio”. Dio è amore, come afferma Giovanni nella sua prima lettera, ma sono innumerevoli gli idoli scambiati con Dio. Tra le deformazioni dell'amore una delle più ricorrenti è quella perpetrata dall'egoismo. L'amore sarebbe soddisfazione dei sensi, considerazione degli altri come oggetto, da usare e poi accantonare, divertimento e stordimento erotico.
I libri su san Giuseppe non mancano; per Io più sono o lavori di esegesi e di devozione oppure opere di narrativa, alcune di alta qualità. Tra le pubblicazioni più moderne ricordiamo: P. Barbagli, Giuseppe nel Vangelo; J. Galot, San Giuseppe; i volumi di p. Tarcisio Stramare, Jan Dobraczynski, L’ombra del Padre. Opere - e molte altre come queste - di alto livello scientifico o letterario. Ultimamente Giovanna Ferrante, scrittrice, giornalista milanese, ha pubblicato un volume - Giuseppe, il falegname di Nazareth (Ancora 2011, pp.141, € 10.50) - nel quale teologia, devozione e poesia, si fondono e si armonizzano, così da offrire un lavoro ricco di fascino e d'interesse.
Il volume “si sviluppa su due piani: le parti in corsivo sono quelle in cui l’autrice immagina Giuseppe sul letto di morte, assistito da Gesù e da Maria. Nei capitoli che via via si susseguono, Giuseppe rivisita la tappe fondamentali della sua vita, rivive gli eventi più importanti, ravviva i ricordi delle persone, cerca di comprendere la missione che Dio gli ha assegnato" (p.10). In tal modo l'Autrice ha la possibilità di narrare la straordinaria vicenda umano-divina di S. Giuseppe, ritraendola dal vivo, grazie a tre elementi di cui ella dispone in termini eccellenti: la conoscenza del Vangelo e delle scritture del tempo, una notevole capacità evocativa e descrittiva, infine un filone poetico e fantastico che dà al tutto vivacità e colore.
Dopo la parola dell’Angelo che ha svelato a Maria il disegno di Dio su di lei, la parola di una donna le fa da eco annunziandole una beatitudine: «Beata sei tu che hai creduto alla Parola».
Il Dio della gioia investe questa creatura immacolata: il suo grembo si offre per rivestire di carne umana il suo «Figlio prediletto». Giuseppe avvertito in sogno è chiamato a svolgere il compito di autorità: imporre il nome a Gesù. Maria gli offre il corpo, Giuseppe la dinastia: «Lo chiamerai Gesù: Egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Passando presso l'Arco della Pace, a Milano, una gelida mattina d'autunno del 1908, Don Guanella sentì un vetturino che, prendendosela col suo cavallo, mandava una fila d'orrende bestemmie.
Don Luigi s'avvicinò e, pur non avendo un vero bisogno della carrozza, gli disse:
- Amico, volete portarmi, per favore in via Cagnola al numero 11?
Al vetturino non parve vero: lo fece salire e, con uno schiocco di frusta, mise in marcia il cavallo. Don Guanella considerò bene quell'uomo vestito poveramente, con una gabbana logora e un vecchio cappello: la faccia diceva chiaramente che doveva essere digiuno da un bel pezzo; la carrozza era sgangherata e il cavallo affamato come il padrone; una vecchia gualdrappa tutta buchi e toppe proteggeva dal freddo la povera bestia che a malapena tirava avanti.
Come furono a destinazione Don Guanella, sceso dalla carrozza, disse al vetturino:
- Volete approfittare per prendere un po' di ristoro? Con questo freddo e questa umidità ce n'è proprio bisogno... E anche il vostro cavallo forse gradirà un bel beverone caldo. Passate.
Il vetturino, per quanto imbarazzato, non seppe dire di no e Don Guanella tirò il campanello accanto al portone. S'affacciò una suora che rimase imbarazzata nel trovarsi davanti quel cavallo denutrito, quel vetturino baffuto e la faccia sorridente di Don Guanella che le disse:
di ristorarsi un poco. Bisognerebbe preparargli subito una bella zuppa calda, un po' di pane col formaggio e una bottiglia di vino.
Chiamò poi Andreìn Trombetta, un ospite della casa che aveva in custodia l'asina e gli disse:
- C'è qui questo mio amico che avrebbe bisogno di ristorarsi un poco. Bisognerebbe preparargli subito una bella zuppa calda, un po’ di pane col formaggio e una bottiglia di vino.
Chiamò poi Andreìn Trombetta, un ospite della casa che aveva in custodia l’asina e gli disse:
- Andreìn; prepariamo un bel secchio di beverone caldo per quel povero cavallo che ha una gran fame.
La suora e Andreìn rimasero sorpresi ma, senza replicare, andarono a fare quello che era stato loro comandato, mentre il vetturino e Don Guanella si misero intorno al fuoco parlando. Poco dopo il cavallo ebbe il suo ristoro e il padrone fu fatto sedere a tavola davanti a una bella zuppa, una ruota di formaggio e una di pane. L'appetito non mancava e sparì rapidamente la zuppa mentre il pane e il formaggio ebbero una severa lezione. Alla bottiglia fu riservata una lenta morte mentre il vetturino prendeva sempre più gusto alla conversazione e il sorriso tornava sulla sua faccia.
Finito che fu lo spuntino Don Guanella incartò le rimanenze e le dette al vetturino che si era alzato per ringraziare, di ben altro umore da quello in cui era quando aveva incontrato il suo cliente.
- Caro amico, gli disse Don Guanella, mi rendo conto che la fame è una brutta consigliera e che era proprio quella che vi diceva poco fa d'accendere tutti quei moccoli, ma fate attenzione, altrimenti insieme alla pazienza e alla salute perderete anche l'anima.
- Avete ragione, rispose il vetturino, avete proprio ragione e, credetemi, non sono quella canaglia che posso esservi sembrato. Questa vita mi ha fatto prendere una cattiva abitudine e credo proprio che dovrei far di tutto per perderla. Ve lo prometto e mille grazie di tutto.
Don Guanella l'accompagnò alla porta e lo salutò.
Salito a cassetta e ripresa la strada il vetturino incon trò una donna e si fermò a chiederle:
- Ma chi è quel prete che abita in quel portone? - Ma non lo sapete? È il nostro Don Luigi Guanella, un santo del Signore!
- Davvero, disse il vetturino, là ci sta proprio un santo del Signore.
Quando fu sicuro che i fondi per il finanziamento della prima Opera di don Guanella erano garantiti, il vescovo di Como, Monsignor. Valfré, fu ben lieto di dare il suo consenso e la sua benedizione all'inizio dell'impresa, anche se precedentemente non si era mostrato entusiasta della cosa. Tuttavia, conoscendo il suo uomo, si raccomandò che, per il momento, non si desse più luogo all'apertura di nuove Case della carità.
Certa prudenza e certa pazienza non erano caratteristiche di don Guanella, per cui, passato non molto tempo, si presentò al vescovo dicendogli candidamente:
- Eccellenza, mi perdoni se non ho dato ascolto alla sua raccomandazione, ma c'era un'occasione davvero provvidenziale e non potevo lasciarmela scappare... Quindi ho comprato un vasto fabbricato, chiamato « La Binda », che l'Eccellenza Vostra certamente conosce, ed ora ho un debito di 40.000 lire... Ma non è il caso di preoccuparsi perché certamente la Provvidenza ci aiuterà... Sono sicuro.
Il vescovo non la mandò giù: fece un sorriso amarognolo, farfugliò qualcosa e, tentennando la testa, passò ai saluti congedando il suo prete piuttosto bruscamente.
Qualche tempo dopo don Guanella si ripresentò al vescovo che immaginò che gli venisse a portare i suoi guai, derivanti dall'imprudenza commessa e si preparò a una sfuriata in piena regola.
Don Guanella con grande naturalezza disse invece:
- Eccellenza, la Provvidenza ci ha pensato: mi è stata donata una villa su un'altura sovrastante Menaggio, a specchio del centro-lago di Como, con un bellissimo chalet svizzero e più di 50.000 lire in contanti...
Il vescovo lo guardò per qualche istante a bocca aperta, disarmato e impotente, con gli occhi sgranati dalla meraviglia e non gli rimase che dire rassegnato:
- Andate pure tranquillo, don Luigi, e fate quello che avete da fare perché vedo che la Provvidenza è dalla vostra parte. A me non resta che benedirvi! Le vie di Dio non sempre passano accanto a quelle tracciate dagli uomini.