Nell’itinerario di “rivisitazione” dei documenti del Concilio Vaticano II non può mancare un’attenzione particolare alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo. Tra tutti i documenti conciliari forse questo poteva essere considerato meno interessante per chi aveva abbracciato la vita monastica claustrale, la quale è, per sua natura, vocazione di “separazione dal mondo”. Ma già alla lettura del Proemio ci si poteva convincere che non era affatto così. Personalmente, lo sentii subito molto consono al mio modo di intendere e vivere la mia vocazione, che era andata maturando proprio nei difficili anni della guerra e dell’immediato periodo post-bellico, quindi a contatto con la più atroce e insensata violenza, a contatto con il dolore umano, nell’esperienza dell’impotenza a lenire tanta sofferenza e a fasciare le ferite di tanti cuori…
Varie sono le difficoltà che rendono più difficile all’uomo di oggi coltivare la Parola per esserne interiormente abitato e fortificato. Innanzitutto il clima di dispersione dell’attuale cultura delle immagini e delle comunicazioni, dove le parole si moltiplicano e si svuotano di senso, e inoltre un diffuso attivismo con sovraccarico di impegni, per cui il tempo non ha più il suo ritmo, le sue feste; ne consegue uno stato permanente di stanchezza, di stress che genera una incapacità, quasi una insofferenza, a fermarsi per dedicarsi gratuitamente alla preghiera e alla lectio divina, ossia allo stare regolarmente a colloquio, a cuore a cuore, con Gesù, per crescere in quella conoscenza che è amore. Infatti, la Parola di Dio non trasforma l’uomo se non scende nel suo cuore e non vi dimora, proprio come avvenne in Maria nel mistero dell’Incarnazione e come Gesù stesso diceva agli apostoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Preghiera e missione gemellati nell’azione. Accanto a San Francesco Saverio, non a caso è stata proclamata compatrona delle missioni Santa Teresa di Gesù Bambino, la quale mai si allontanò dalla Francia, ma consumò la sua breve vita entro le mura del Carmelo di Lisieux.
«I Padri conciliari… sentendo profondamente il dovere di diffondere dappertutto il regno di Dio, rivolgono un saluto affettuosissimo a tutti i messaggeri del Vangelo, a coloro specialmente che soffrono persecuzioni per il nome di Cristo, e si associano alle loro sofferenze. Sono anch’essi infiammati da quello stesso amore, di cui ardeva Cristo per gli uomini. Consapevoli che è Dio a far sì che venga il suo regno sulla terra, insieme con tutti i fedeli essi pregano perché, mediante l'intercessione della Vergine Maria, degli apostoli, le nazioni siano quanto prima condotte alla conoscenza della verità (cfr. 1 Tm 2,4) e la gloria di Dio, che rifulge sul volto di Cristo Gesù, cominci a brillare in tutti gli uomini per l'azione dello Spirito Santo (2 Cor 4,6)».
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i documenti conciliari trattando i vari ambiti della Chiesa, mettono in chiara evidenza la caratteristica comunionale della vita cristiana. In forza del battesimo, la persona – che già a livello semplicemente naturale esiste solo se è in relazione vitale con gli altri – entra a far parte di una nuova famiglia di ordine soprannaturale. Elemento costitutivo della famiglia dei figli di Dio –– è la comune vocazione alla santità. In quanto cristiani, dunque, abbiamo tutti davanti un’unica mèta, un fine meraviglioso, che dovrebbe ogni giorno dare slancio alla nostra vita: l’anelito alla piena comunione con Dio, attraverso la progressiva conformazione a Cristo, il Figlio che si è fatto uomo, nostro Fratello, per mostrarci il Volto del Padre e condurci a Lui.
La mia ormai lunga esperienza di formatrice e di guida spirituale nella vita monastica mi conferma sempre più che veramente soltanto l’Amore fa crescere la persona umana e fa fiorire le anime nella santità, anche quando esse sembrano fili d’erba avvizziti, senza potenzialità di riprendersi. L’educazione è un miracolo dell’amore, dello Spirito Santo che agisce con tutti i suoi doni di grazia.
Caro e amabile san Giuseppe, come sempre, nel nostro appuntamento mensile con questa rivista che porta il tuo nome, vogliamo attingere una riflessione, uno sprazzo di contemplazione alla luce del tuo esempio; vogliamo entrare e preparare il nostro animo in un clima per una tranquilla lettura che si trasforma in preghiera.
All’indomani della sua elezione, papa Francesco ha celebrato l’Eucaristia con tutti i cardinali. Durante l'omelia, dopo aver denunciato la tentazione che fu di San Pietro di seguire Gesù con criteri della logica umana, ha terminato dicendo: «Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore. Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia - ha continuato papa Francesco -, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare alla presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti».
In più di un secolo (dal 1907, con alcuni periodi di interruzione) i cattolici italiani hanno mostrato, in questi appuntamenti che vedono raccolti i delegati scelti in tutte le diocesi italiane (quest’anno sono oltre 1300), tutta la loro premura e il contributo effettivo da loro portato alla società italiana: una collaborazione imprescindibile, che ha fatto da trama e da fondamento alla nostra società. E la famiglia? C’entra, eccome, perché il bene della famiglia semplicemente combacia con quello comune, perché la salute della società coincide con quella della famiglia.
La disgregazione della propria famiglia è spesso vissuta come l’esperienza personale in assoluto più dolorosa e lacerante. Eppure, la rappresentazione del dramma della separazione subisce una distorsione: da un lato è banalizzata e mercificata, dall’altro ne vengono amplificati gli aspetti dolorosi, in una visione senza speranza. Il disorientamento e lo scoraggiamento possono cogliere la persona separata, alimentando la sensazione di un’ingiusta esclusione nella comunità dei cristiani.
I parroci lo sanno molto bene: in tempo di esami e di interrogazioni il consumo di lumini in chiesa aumenta esponenzialmente e non è difficili incontrare tra i banchi della chiesa ragazzi che non si vedevano dai tempi della Prima Comunione. Bisogna ammettere infatti che la preghiera “perché mi vada bene il compito in classe” o “perché mio nipote sia promosso” sono tra le più gettonate. E, obiettivamente, al di là dell’affetto che dimostrano verso i nipoti, per cui si desidera sempre il meglio, tra le più insensate.
Forse ai tempi in cui si credeva al potere magico di certi gesti, luoghi o parole, si poteva anche pensare di portare Dio dalla nostra parte, di sperare in un Suo favore, di comprarLo con qualche offerta o sacrificio. Ma il cristianesimo ha spazzato via tutto questo e la croce di Gesù ha rivelato un volto di Dio completamente diverso, un Dio che non si compra ma che si offre, che non risolve magicamente i problemi ma se li carica sulle sue spalle. Non dobbiamo dunque aver paura di ricordare ai ragazzi (e a noi stessi!) che a scuola si è promossi solo se si studia e che interrogazioni e compiti in classe vanno bene solo se si lavora con passione e disciplina; scorciatoie pseudo religiose non esistono!