Comprendere il momento della Liturgia della Parola significa immergersi nel dialogo dell’Amore, perché non può essere un monologo. La comunicazione solitaria è da palcoscenico di teatro. Qui, il luogo è la comunità ecclesiale che attende la voce del suo Signore per bere alla Sorgente l’acqua limpida e mai inquinata della verità assoluta che rivela solo Amore. Sono i minuti dedicati all’incontro cuore a cuore con il Dio innamorato che si toglie tutti i veli e si fa conoscere alle sue creature.
E se la Celebrazione eucaristica è la fonte e il culmine della vita della Chiesa (Lumen Gentium), è proprio qui, con la Parola, che avviene la prima fondamentale comunicazione tra Dio e l’uomo. è il Signore che prende l’iniziativa perché, da una… eternità, sente il grido dell’uomo, ascolta i suoi perché, conosce i segreti intrighi della storia e delle storie e vuole rispondere per aprire gli orizzonti della speranza che l’uomo, da solo, non riesce a trovare. Ecco perché, nello srotolarsi della storia, Dio ha suscitato degli uomini che hanno letto con il cuore di Dio gli avvenimenti e li hanno scritti, nel suo santo nome, per dare le… “dritte” giuste, “le chiavi divine” di lettura della vita umana, personale e storica. Così il Signore Onnipotente ha scritto la sua lettera d’amore senza fine ai suoi figli che non dovrebbero mai stancarsi di leggerla.
La Celebrazione Eucaristica è la massima preghiera che la comunità cristiana può offrire al Padre per mezzo di Gesù e con l’opera dello Spirito Santo. Ci sono due momenti, durante la Santa Messa, nei quali il sacerdote dice esplicitamente la parola preghiamo: dopo il Gloria e dopo la Comunione. Nella Liturgia originaria questo preghiamo è chiamato Colletta, parola che significa, dal latino, “fare una raccolta”.Noi la usiamo, nel linguaggio comune per indicare una raccolta di denaro per qualche necessità particolare. Qui sta ad indicare che il celebrante, in quel momento, raccoglie la preghiera di ciascuno e di tutti nella comunità, e, a nome di tutti, offre questo… Mazzo di preghiere”, come fiori, al Padre. è quindi una preghiera importantissima perché è tutta la comunità che viene rappresentata dal sacerdote e si presenta unita davanti al suo Signore. è una preghiera grande che conclude con il testo, a volte troppo scontato per le nostre orecchie, ma profondissimo: accogli la nostra invocazione per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. E allora la preghiera diventa forte e irresistibile sul cuore del Padre perché detta a Lui, raccomandata da Colui che è il nostro Signore (perché ha dato la vita per noi e si fa nostro garante!).
Sull’umile grotta-casa di Bethlehem scende, nella Santa Notte, il canto divino del Coro e dell’Orchestra celeste: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini”. Rimbalzato per secoli, nelle orecchie e nei cuori, questo breve inno accende sempre, davanti agli occhi, l’immagine viva dell’uomo-Dio diventato carne e tenerezza toccabile.
è diventato un inno eucaristico perché, anche nel pane e nel vino, si tocca e si abbraccia Cristo in ogni istante della storia, fino alla fine del tempo, con infinito amore. In questo momento della celebrazione, soprattutto nella domenica e nelle feste, è il canto del “Grazie a Te, Signore, che, dall’alto dei cieli, compi meraviglie di pace totale, cioè di salvezza, in mezzo a tutti gli uomini”. è anche la preghiera più bella e più giusta, ma forse anche un po’ dimenticata da parte di noi figli nei riguardi della Trinità, dal cui amore infinito tutto e tutti noi proveniamo. Gesù disse grazie al lebbroso che lo ringraziava, perché vi leggeva un frammento di riconoscenza dei dieci lebbrosi guariti.
«Per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati». Lo tradurrei così: “Per vivere con dignità e gioia la vita coniugale e la vita di famiglia, riconosciamo i nostri sbagli quotidiani e i nostri errori di vita”. Veramente questo momento della celebrazione eucaristica è dirompente: non è sbagliato chi sbaglia, ma chi non riconosce i propri errori e fragilità. Come Adamo ed Eva ci andiamo a nascondere e ci copriamo con una foglia di fico che lascia scoperto quasi tutto. Significa che cerchiamo di coprire con bugie e scuse i nostri sbagli, che poi, molte volte alla fine, vengono scoperti. Bisogna conoscere la bellezza e il valore del riconoscere i propri peccati: “Se tu ti accusi Dio ti scusa, se tu ti scusi Dio ti accusa”, dice S. Francesco d’Assisi. Così ci invita a fare il Sacerdote in un breve momento di silenzio: almeno a ripercorrere con sincerità l’ultimo periodo di vita e metterlo davanti al sole di Dio con estrema verità, per avere il suo abbraccio di perdono che, se siamo sinceramente pentiti, avviene dal cielo in un attimo purificatore e rigenerante. In famiglia sono infiniti, molti più che nella S. Messa, i momenti nei quali bisogna riconoscere i propri errori. “Chi non vuole perdonare è meglio che non si sposi e non metta al mondo dei figli”, mi diceva una mamma matura.
E' nel mio sogno per chi con cordiale interesse ha partecipato alla canonizzazione di don Guanella, quest’anno nel firmamento della notte di Natale che trovi accesa una nuova stella. Accanto alla cometa per il viaggio dei Magi è apparsa la stella della carità che traccia il sentiero per ritrovare Gesù nel volto dei poveri. Don Guanella è nato a Fraciscio il 19 dicembre, sette giorni prima di Natale. Era una notte carica di neve e, in quel candore di gelo pungente, Dio ha acceso un nuovo fuoco per riscaldare il cuore del mondo. In quella notte, nella cornice dei monti, nel silenzio più profondo, un’altra mamma, di nome Maria, ha donato un batuffolo di carne come un concentrato di energia vitale per riempire di amore la solitudine di tanti cuori.A Betlemme il silenzio fu rotto dal canto di uno stuolo di angeli che lodavano l’Eterno Padre dicendo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama». Betlemme, «la casa del pane» diventa la madia della speranza dei poveri.
Recita un proverbio orientale: «Chi si mette in mostra da sé non verrà mai in luce; chi si approva da sé non verrà mai considerato; chi si vanta da sé non avrà mai valore e chi si gloria da sé non sarà glorificato». Don Guanella lo sapeva e per tutta la sua vita ha ripetuto: «è Dio che fa», io sono come argilla nelle mani dell’artista, sono i colori spalmati su una tavolozza, solo Dio è l’artista che compie opere meravigliose. La canonizzazione di don Guanella è un inno all’umiltà: la parola umiltà deriva da humus – terra e la terra è diventata il palcoscenico del passaggio di luce di don Guanella accanto alle persone bisognose.
Don Luigi è vissuto lontano dalle ribalte degli uomini, nel silenzio ha onorato i poveri, per questo il coro dei poveri il 23 ottobre 2011, attraverso la voce del Papa, gli ha reso gli onori, chiamandolo «padre dei feriti nella vita». Il rito della canonizzazione contempla che il postulatore ringrazi il Santo Padre per il dono alla Chiesa universale del nuovo santo; in quella circostanza salendo i gradini del sagrato di Piazza San Pietro, sentivo sulle spalle il peso delle mille povertà, ma anche il vento della gratitudine che spingeva i miei passi verso il successore di Pietro. Le prime parole furono di ringraziamento: «Santità, in nome dei poveri, Le porto la gioia e la gratitudine degli umili per aver glorificato un profeta della carità, un amico dei poveri e un modello di santità». Il Santo Padre con un sorriso di compiacenza mi ha ripetuto: «Voi fate tanto bene, voi fate tanto bene; continuate a servire i poveri con amore».
Il 23 ottobre si è coronato un sogno di tutti i discepoli di don Guanella e, attraverso il magistero solenne del Papa, è stato presentato alla Chiesa universale un nuovo campione della fede, un modello di amore per il prossimo, un uomo carico di speranza, come pure grande intercessore per il popolo di Dio pellegrinante nei sentieri del disagio fisico e morale. I miei superiori da oltre vent’anni mi avevano assegnato il compito di postulatore delle cause dei santi della famiglia guanelliana. Il mio ruolo di postulatore è consistito nel raccogliere l’eredità dei miei predecessori che avevano portato alla beatificazione sia di don Guanella come di suor Chiara Bosatta. In questo campo hanno lavorato con assiduità e competenza don Carlo De Ambroggi; alla sua morte gli è subentrato don Ezio Cova, che ha saputo unire il ruolo di postulatore a quello di indimenticato e stimato direttore della Pia Unione del Transito di San Giuseppe.
In questi vent’anni, due sono stati i percorsi di lavoro che mi hanno impegnato: la causa di mons. Aurelio Bacciarini e, dall’inizio del nuovo millennio, il miracolo attribuito a don Guanella, verificatosi negli USA.
La causa di mons. Bacciarini ha richiesto parecchio lavoro. Dopo la morte di don Carlo De Ambroggi, la causa era rimasta ferma senza risposte ad alcune domande che il Promotore della fede aveva presentato alla postulazione. Risposto in modo positivo a tutte le obiezioni della Congregazione dei santi, un presunto miracolo, attribuito all’intercessore di mons. Bacciarini, ha fatto aprire un processo presso la curia diocesana di Lugano. Il processo ha avuto un iter completo e approvato anche dalla Congregazione dei santi, ma alla consulta dei medici, la guarigione, pur straordinaria, sulla scorta della letteratura medica era scientificamente spiegabile sia per le cure prestate come per le medicine somministrate.
In modo parallelo è proseguito pure all’esame delle virtù eroiche di mons. Aurelio Bacciarini con risultato positivo. Il Santo Padre, Benedetto XVI, ha firmato il decreto di eroicità delle virtù di Bacciarini, proclamando la sua venerabilità.
Siamo famiglia di santi, a noi è affidato l’energia di un carisma necessario al nostro prossimo, affinché avverta la carezza di Dio negli affanni della vita, ma soprattutto perché si faccia testimonianza viva di una presenza divina che supera le energie umane. La testimonianza di carità è una pagina viva di vangelo che anche gli analfabeti sanno leggere e, ogni giorno, a noi compete chiedere a Dio la forza di continuare a scrivere queste pagine di solidarietà che hanno reso grande don Guanella.
Carissimi fratelli e sorelle!
All’indomani della Canonizzazione di Don Luigi Guanella, ci ritroviamo con gioia nella Basilica di San Pietro per elevare a Dio il nostro rendimento di grazie. In questa Eucaristia noi prolunghiamo la lode di ieri e anticipiamo quella delle generazioni che verranno, e che troveranno nel calendario liturgico della Chiesa, alla data odierna, il nome di San Luigi Guanella. Saluto con affetto i membri degli Istituti fondati dal nuovo Santo: le Figlie di Santa Maria della Provvidenza, i Servi della Carità e i Cooperatori Guanelliani. Saluto con riconoscenza le Autorità civili presenti e tutti voi, cari fedeli![…]
Davvero intense e indimenticabili sono le ore che sta vivendo la Famiglia guanelliana sparsa nel mondo, in oltre 20 nazioni, all’interno del gaudio che è di tutta la Chiesa, sulla terra e nel Cielo. Per la seconda volta, nella sua storia millenaria, la Basilica Vaticana ha sentito risuonare solennemente il nome di Luigi Guanella, presentando al nostro sguardo l’avventura singolare che ha condotto un semplice montanaro alla gloria di Dio. Così si intitola uno dei libri da lui scritti: Il montanaro. Con pagine di sapore autobiografico, egli vi traccia la linea di tutta la sua vita, il filo rosso della sua vocazione sacerdotale, fino a sentirlo esclamare: «Sono felice con Dio». Un’inondazione aveva colpito la Valtellina ed egli, rimasto sconvolto per le condizioni di necessità e precarietà cui dovette far fronte la sua gente, voleva porgere conforto e fare in modo che non se ne perdesse la memoria. E così fu sempre: interiormente interpellato dal dolore altrui, che si trattasse del colera a Napoli, o della guerra, del terremoto di Messina o di Avezzano, del vecchio abbandonato e del disabile, dei fanciulli orfani o di gente povera defraudata dei propri diritti, dei preti ammalati o con una storia triste… Ogni situazione diventa per don Luigi momento buono per aiutare il fratello a ritrovare nella fragilità della natura umana la tenerezza di Dio che «osserva l'uomo con sospiri di amore […] e se ne prende cura come se non avesse che a provvedere a lui solo». Ogni persona umana può dire: io sono «l'unico pensiero» di Dio. Verità che consola ogni cuore e principio vitale che ha ispirato a San Luigi Guanella il ministero dolcissimo della carità e ogni sua e nostra opera di bene. […]
La passione di San Luigi Guanella era quella per il “mezzo passo in più”, per il piccolo miglioramento, per il lento aprirsi dei poveri alla fiducia e alla speranza: il suo popolo non era certo di quelli che potessero procurare molta gloria a chi se ne prendeva cura. Né spesso egli poteva aspettarsi grandi miglioramenti: poco, a volte pochissimo poteva sperare da certe vite ormai in declino; ma egli sapeva che la vita al tramonto ha dei colori di una bellezza rara come l’autunno spesso è la più colorata delle stagioni, o il sole che «sul tramonto è più bello», come amava dire. San Luigi sapeva rinunciare al suo piatto quando qualcuno era senza cibo, o al suo letto quando qualcuno non sapeva dove coricarsi; e questo ha lasciato in eredità a tutti voi, suoi figli e figlie di ieri, di oggi e di domani. Chiaro il suo testamento: non fate torto alla carità e alla provvidenza «non mettete all'ultimo posto di casa chi deve stare al primo, il più povero, la persona più abbietta e abbandonata». Quindi un forte richiamo all'impegno affinché nessuno sia lasciato indietro nella vita.
Mentre guardiamo a questo cielo che tutti i santi hanno trapiantato sulla terra, il mio pensiero, in quanto salesiano, va al legame «duraturo nel tempo» di amicizia e d'intesa profonda tra don Guanella e don Bosco, «l'uno accanto all'altro», in molti così li hanno da sempre pensati. E i salesiani si uniscono alla voce di chi nel momento della morte di don Guanella scrisse: «il nome di questo uomo[…] passa glorioso alla storia come quello di un nuovo apostolo della carità, e noi ci dichiariamo orgogliosi di averlo avuto nell'elenco dei nostri confratelli».
Insieme alla famiglia guanelliana radunata dai quattro continenti vogliamo pregarlo:
San Luigi Guanella, servo di coloro che spesso sono dimenticati e lasciati indietro nella vita, ricordaci che servire è una grazia, e indicaci sempre il Sacramento della Carità, dove Dio si fa vicino perché anche noi ci facciamo prossimi ai fratelli, nella gioia. Aiutaci a «vivere di fede come Maria» e ottienici di celebrare e testimoniare con il cuore e le opere una fede viva e sincera nel Signore Gesù. Amen!
La testimonianza umana e spirituale di san Luigi Guanella è per tutta la Chiesa un particolare dono di grazia. Durante la sua esistenza terrena egli ha vissuto con coraggio e determinazione il Vangelo della Carità, il “grande comandamento” che anche oggi la Parola di Dio ci ha richiamato. Grazie alla profonda e continua unione con Cristo, nella contemplazione del suo amore, Don Guanella, guidato dalla Provvidenza divina, è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli. L’amore di Dio animava in lui il desiderio del bene per le persone che gli erano affidate, nella concretezza del vivere quotidiano. Premurosa attenzione poneva al cammino di ognuno, rispettandone i tempi di crescita e coltivando nel cuore la speranza che ogni essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio, gustando la gioia di essere amato da Lui - Padre di tutti -, può trarre e donare agli altri il meglio di sé. Vogliamo oggi lodare e ringraziare il Signore perché in san Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità. Nella sua testimonianza, così carica di umanità e di attenzione agli ultimi, riconosciamo un segno luminoso della presenza e dell’azione benefica di Dio: il Dio - come è risuonato nella prima Lettura - che difende il forestiero, la vedova, l’orfano, il povero che deve dare a pegno il proprio mantello, la sola coperta che ha per coprirsi di notte (cfr Es 22,20-26). Questo nuovo Santo della carità sia per tutti, in particolare per i membri delle Congregazioni da lui fondate, modello di profonda e feconda sintesi tra contemplazione e azione, così come egli stesso l’ha vissuta e messa in atto. Tutta la sua vicenda umana e spirituale la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: “in caritate Christi”. è l’amore di Cristo che illumina la vita di ogni uomo, rivelando come nel dono di sé all’altro non si perde nulla, ma si realizza pienamente la nostra vera felicità. San Luigi Guanella ci ottenga di crescere nell’amicizia con il Signore per essere nel nostro tempo portatori della pienezza dell’amore di Dio, per promuovere la vita in ogni sua manifestazione e condizione, e far sì che la società umana diventi sempre più la famiglia dei figli di Dio.
Quando Mosè alzava le mani a Dio, Israele diventava più forte…», dice il libro dell’Esodo e il popolo dei pellegrini alla ricerca del volto di Cristo riflesso nel volto luminoso di don Guanella, hanno alzato le mani verso Dio e il popolo di Dio presente in Roma per la canonizzazione e quello sparso nel mondo è diventato più forte per la «Veglia di preghiera» che il popolo guanelliano ha vissuto nella stupenda e solenne basilica di San Paolo fuori le mura.
Nel pomeriggio di sabato 22 ottobre la piazza di San Paolo si è illuminata di quasi quattromila berretti bianchi e di sciarpe gialle con l’effige di don Guanella e alle ore 16.30 «gente di ogni lingua e da ogni tribù» ha iniziato una preghiera corale per disporre gli animi a ricevere i doni della grazia divina nella grande e solenne cerimonia della glorificazione del giorno seguente. Attorno alla veglia è stata costruita una cornice, uno spazio per illuminare la vita del nostro Fondatore e cogliere i cardini sui quali l’azione caritativa si è mossa.
Attori professionisti e spettacolari immagini hanno condotto per mano i partecipanti tra i filari della «vigna del Signore» nella quale don Guanella ha lavorato con intensità per produrre il vino della gioia di vivere. E subito i filari sono stati invasi dal canto di giubilo di vendemmiatori. Da subito i membri dell’assemblea si sono sentiti tra i filari di una vigna piantata dalla stessa mano di Dio come pure tralci di un’unica vite, tralci, «amati, scelti e inviati» nel mondo a portare la gioia di sentirsi amati e quindi chiamati a costituire la grande famiglia di figli benedetti dal Padre.
«Il canto - ha scritto un premio Nobel della letteratura – è la scala di Giacobbe che gli angeli hanno dimenticato sulla terra». La sera del 22 ottobre, nel cortile dell’oratorio San Giuseppe al Trionfale, quella scala ha fatto volteggiare le ali degli angeli che hanno portato verso il cielo il canto, la lode, le benemerenze di don Guanella e hanno fatto discendere dal cielo la nostalgia della santità e la voglia d’imitazione di quella profezia di carità che ha costituito l’anima dell’azione caritativa di don Guanella. Sul palco, ricco di luci e di effetti, si sono avvicendati alcuni innamorati del carisma guanelliano e, come in una rinnovata pentecoste, hanno espresso i loro sentimenti nelle diverse lingue popolate dalla luce e dall’armonia della carità coltivata e vissuta in quattro continenti.
Accanto a don Giosy Cento, autore del canto ufficiale della canonizzazione, si sono esibiti alcuni confratelli guanelliani, provenienti dai diversi paesi. Il canto a don Guanella di Giosy Cento ha aperto l’orizzonte internazionale con il ritornello cantato in diverse lingue. Giovani cantautori italiani hanno anch’essi inneggiato a don Guanella con melodie e parole meritevoli di attenzione. Il numeroso pubblico coinvolto nelle motivazioni dei canti ha applaudito con entusiasmo ed è tornato chi a casa e chi in albergo con gioiosi sentimenti consapevoli di aver scalato in armonia la scala che conduce a Dio. Uno dei castighi con cui un santo vescovo ammoniva i suoi fedeli era questa espressione: «Cari fratelli, se commettiamo ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica». E senza musica si è costretti a vivere in un frastuono fastidioso e senza gioia.