L’importanza del lavoro nella vita sia individuale che sociale è fuori discussione. Nella vita individuale il lavoro è indispensabile per la sua crescita e il suo completo sviluppo. Il contatto quotidiano con la realtà, con le leggi della natura, con impegni precisi, affina nell’uomo l’intelligenza, ne stimola la volontà, ne sviluppa le facoltà, ne promuove il senso del dovere e richiede un molteplice e diuturno esercizio di virtù che sono sorgente di meriti civili e cristiani. In tale modo il lavoro apre l’uomo a quella promozione che lo porta al raggiungimento della sua perfezione naturale e soprannaturale.
Altre erano le responsabilità che Giuseppe stava per assumersi accanto alla Vergine Madre e al Verbo incarnato, come è ben sintetizzato nelle parole di Paolo VI:
“San Giuseppe, patrono della Chiesa, tu che accanto al Verbo incarnato lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da lui la forza di vivere e di faticare, tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: irradia ancor oggi l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio; guarda all’immensa famiglia che ti è affidata.
Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte di don Francesco Fuschini, personaggio di spicco della Romagna letteraria. Era una firma nota ai lettori del Resto del Carlino di Bologna e dell’Osservatore Romano. Chiamava i suoi scritti con fine ironia «Contro pensieri» che davano ai nervi agli anticlericali. In occasione del quarantesimo anniversario del declassamento della solennità di san Giuseppe, proprio il 19 marzo del 1977, don Francesco pubblicava questo articolo di cui riproduciamo il testo quasi integrale, in cui si intravede con ironia il fumo sulle macerie di accese e radicali ideologie.
Il numero degli italiani costretti a emigrare in altri continenti nella seconda metà dell’ottocento fu abbastanza elevato. Proprio in quel contesto temporale, san Pio X, allora vescovo di Mantova, ebbe a cuore la questione migratoria. In una domenica di agosto del 1887, nel corso di una visita pastorale a Castelbelforte, venne informato che entro pochi giorni si sarebbero trasferiti oltreoceano circa 300 parrocchiani. Rimase talmente turbato da tale notizia che volle subito far sentire il suo sostegno a coloro che a causa delle pessime condizioni di vita, soprattutto nelle campagne, erano costretti a lasciare la propria terra.
Il racconto di Luca, vivace e partecipe dell’angosciosa ricerca di Giuseppe e Maria, merita di essere meditato nella sua interezza e complessità. L’inattesa scomparsa di Gesù rappresenta infatti un imprevisto non solo per loro, ma anche per noi. Scopriremo però che l’avventura ha un lieto fine, e che comunque non si è trattato del capriccio di un fanciullo o di uno smarrimento premeditato così da creare suspense nel lettore, per quanto l’improvvisa assenza del giovane Messia abbia ugualmente suscitato una dolente sorpresa negli angosciati genitori.
Giuseppe, falegname e carpentiere per tradizione familiare, insegna il mestiere a Gesù, appena l’adolescente è in grado di manovrare i vari attrezzi. Il lavoro manuale per gli ebrei è sacro. Rabbini e sacerdoti del tempio, e gli stessi maestri della legge (detti impropriamente dottori della legge), hanno come Giuseppe i calli alle mani. Nel Qoèlet (o Ecclesiaste, come si traduceva fino a pochi anni fa il quarto dei libri didattici dell’Antico Testamento) si legge: “Accanto allo studio procurati un mestiere”.
La basilica romana di San Giovanni Bosco, situata nell’omonimo quartiere in zona Tuscolana, offre una preziosa testimonianza artistica della devozione a San Giuseppe e un pregevole racconto per immagini della vita del padre putativo di Gesù. L'edificio sacro ha una struttura a pianta rettangolare di 45 per 78 metri. Si sviluppa verticalmente per 73 metri, di cui 6, dedicati alla cripta, realizzati sotto il livello stradale. La struttura architettonica rispecchia i modelli del razionalismo del secondo dopoguerra: si sviluppa su tre navate separate da pilastri, e con transetto.
Di “scale sante” ce ne sono molte, sparse nei santuari: in genere si tratta di costruzioni inserite in contesti che invitano a rivivere, nella preghiera, le sofferenze patite dal nostro Redentore nel suo immolarsi per noi o che vantano di possedere qualche reliquia legata alla sua Passione. Ma quella che si trova nella chiesetta di San Giuseppe a Santa Fe, capitale del New Mexico negli Stati Uniti, è veramente singolare. Nel 1872 il vescovo diocesano, monsignor Jean Baptiste Lamy, accolse un gruppo di quattro Suore di Loreto, e per dare loro un luogo di culto pubblico, fece costruire una cappella. Ne affidò l’incarico alla superiora, Madre Madeleine, con la condizione che la costruzione assomigliasse alla Sainte-Chapelle di Parigi, realizzata in stile gotico.
E' un anziano reso un po’ burbero ed esitante dall’età molto avanzata, ma dalla battuta sempre salace e soprattutto profondamente umano il San Giuseppe consacrato agli onori del palcoscenico da Eduardo De Filippo nel suo “De Pretore Vincenzo”, commedia in due tempi del 1957, nella quale il grande drammaturgo si confronta con il delicato tema del sacro, e nella quale il padre putativo di Cristo recita un ruolo da assoluto protagonista. Il testo teatrale, scritto in appena una manciata di giorni, trae origine da un omonimo poemetto dedicato alla figura di un ladruncolo di strada, Vincenzo De Pretore, che nel breve arco di poche settimane vive una anomala vicenda di conversione spirituale - proprio attraverso un serrato dialogo con San Giuseppe -, quale premessa alla sua tragica fine terrena e al confronto diretto con l’Altissimo.
San Giuseppe nella storia dell’arte
di Sergio Todeschini
La studiosa Serena Simoni, affrontando l’affascinante tema dell’immagine del padre putativo di Gesù nella storia dell’arte occidentale, tratta diffusamente anche di un quadro dedicato al santo, realizzato nel 1641 dal pittore romagnolo Guido Cagnacci per la Confraternita forlivese dei falegnami di San Giuseppe. Una scelta decisamente felice, perché l’immagine del santo rappresentato dal Cagnacci si distacca dalla tradizione iconografica fino a quel momento a lui dedicata. Il pittore lo raffigura infatti come un pellegrino assorto nella contemplazione del mistero della sua straordinaria avventura quale padre putativo di Cristo. La studiosa dà una giusta lettura del Santo, definendolo «non un eroe o un nobile, ma un uomo anziano dai caratteri dichiaratamente popolani, con le braccia al petto che stringono il bastone fiorito, col viso leggermente inclinato verso l’alto e quasi incredulo della grazia divina che lo avvolge.
Tre giorni di arricchente soddisfazione nel cammino di ricerca del volto autentico di san Giuseppe nel suo compito di padre legale di Gesù e di protettore della Chiesa universale. Le congregazioni delle Suore di San Giuseppe - Federazione Italiana, degli Oblati di San Giuseppe, dei Giuseppini del Murialdo, dei Fratelli della Sacra Famiglia, hanno organizzato un seminario di preghiera e di riflessione sulla figura di San Giuseppe. Dopo l’esperienza torinese dello scorso anno, quest’anno con la tematica dei momenti angoscianti di Giuseppe e Maria alla ricerca di Gesù “smarrito” a Gerusalemme, siamo stati ospiti della parrocchia di San Giuseppe Vesuviano, comune in provincia di Napoli, dall’8 al 10 aprile 2016.
Un’immagine edificante e preziosa di S. Giuseppe ci viene presentata da Mario Rabbolini nel suo libro «Giuseppe un padre per Dio». All’inizio del trattato, del quale si colgono in questo articolo alcuni aspetti, l’autore traccia il vissuto di Giuseppe e di Maria, come la storia di una coppia che, accogliendo come figlio il Dio fatto uomo, ha realizzato il suo compito in modo impeccabile, e Gesù è stato il senso della vita di Giuseppe. Gli evangelisti riconoscono il nostro santo come il padre di Gesù, e ci attestano che nella sinagoga di Nazareth, tutta la gente, stupita dalla saggezza del ragazzo, lo identifica come il figlio di Giuseppe.
San Giuseppe e la misericordia. Un “connubio” inusuale; siamo abituati a pensare, invece, alla sua Sposa, invocata tante volte come Madre o Regina “di Misericordia” o “della Misericordia”. Eppure anche san Giuseppe ha un aspetto singolare e non secondario che lo lega alla Misericordia e lo contraddistingue infatti come “uomo misericordioso”. In questo anno giubilare sulla misericordia, Papa Francesco, nella bolla d’indizione Misericordiae Vultus ci invita a estendere la nostra preghiera ai santi che «hanno fatto della misericordia la loro missione di vita» (MV 24). Perché dunque non pensare a san Giuseppe, il più grande fra i santi, in quanto è stato sposo della Madre della Misericordia e padre terreno di Gesù Cristo, Misericordia infinita?
Lo studioso Franco Verri ha raccolto le immagini artistiche più significative e rappresentative sulla figura di San Giuseppe in Veneto durante il periodo del basso e alto medioevo; una iconografia sul santo suggerita agli artisti sia dai Vangeli che dagli scritti apocrifi. Le primi immagini esemplificative sono quelle riguardanti lo sposalizio del santo con Maria e gli episodi legati all’infanzia di Gesù. Sono testimonianze preziose risalenti al primo e secondo medioevo che si trovano sia nella basilica veneziana di San Marco, che a Padova nella Cappella Scrovegni. Gli artisti hanno rappresentato l’infanzia di Gesù seguendo la traccia narrativa dei Vangeli e in alcuni casi hanno intrecciato le vicende seguendo sia gli scritti apocrifi che i Vangeli; come appunto si può notare osservando i rilievi collocati sulle colonne in alabastro del ciborio della basilica di San Marco a Venezia. Le immagini sono in bassorilievo e le figure in posa statica seguono l’impostazione tardo bizantina e si collocano sotto archetti sorretti da semplici colonnine.