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Mercoledì, 21 Dicembre 2016 14:34

Sentirsi italiani, cattolici e devoti di San Giuseppe, a 16000 km Featured

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La custodia delle tradizioni popolari e religiose italiane tra i nostri connazionali emigrati in Australia

di Marco Mancini

Il numero degli italiani costretti a emigrare in altri continenti nella seconda metà dell’ottocento fu abbastanza elevato. Proprio in quel contesto temporale, san Pio X, allora vescovo di Mantova, ebbe a cuore la questione migratoria. In una domenica di agosto del 1887, nel corso di una visita pastorale a Castelbelforte, venne informato che entro pochi giorni si sarebbero trasferiti oltreoceano circa 300 parrocchiani. Rimase talmente turbato da tale notizia che volle subito far sentire il suo sostegno a coloro che a causa delle pessime condizioni di vita, soprattutto nelle campagne, erano costretti a lasciare la propria terra.

Scrisse perciò una lettera pastorale, in cui invitò i parroci ad aiutare i migranti, rendendoli informati sulla geografia e i costumi delle proprie terre; avvisandoli riguardo a false promesse e illusioni con cui gli agenti di emigrazione raggiravano chi era in partenza; infine, invitandoli a portare con se il catechismo e a conservare le pratiche religiose. Quando salì sulla cattedra di Pietro, papa Sarto continuò a dare il suo sostegno agli italiani emigrati, tanto che collaborò con il vescovo di Piacenza, mons. Scalabrini al fine di creare un ufficio che si occupasse di tale questione. Alla fine del 1912, accompagnato dal superiore generale degli scalabriniani padre Gregori, con una lettera autografa di presentazione da parte di Pio X, don Guanella si recò negli Stati Uniti. Al suo ritorno conferì più volte con il Papa che, nel giro di pochi mesi, istituì all’interno della Congregazione Concistoriale un ufficio che doveva occuparsi dell’assistenza spirituale dei cattolici emigrati. E l’anno successivo, 1914, Pio X programmò anche “La giornata mondiale delle migrazioni”, richiamando i fedeli cristiani a pregare per tutti coloro che erano costretti a lasciare i propri paesi. Attualmente, alcuni cittadini di Adelaide, nel Sud dell’Australia, originari di Riese, città natale di san Pio X, hanno dato vita nel 2002 all’Associazione San Pio X, ricordando la vicinanza del papa nei confronti dei migranti e delle loro famiglie di origine.

L’Australia non era inizialmente una terra molto ambita dagli italiani. Tra la metà dell’ottocento e gli inizi del novecento era considerata come un’estensione dell’impero britannico e gli australiani consideravano da sempre Londra il loro centro del mondo. Anche se gli italiani presenti in Australia non venivano sottoposti a restrizioni normative dal governo australiano, erano considerati come “indesiderabili” ed etichettati come i “cinesi d’Europa”, perché accusati di incrementare un afflusso di manodopera a basso costo. Anche in altre terre gli italiani erano discriminati, anzi considerati sporchi, ignoranti e criminali per natura. Gran parte delle ricerche compiute sulla storia dell’emigrazione italiana in Australia, ha sempre dato maggior risalto agli insediamenti negli Stati del Queensland, Victoria e New South Wales. Poco spazio, invece, è stato riservato al Sud dell’Australia, anche se oggi in questo Stato risiede la terza percentuale più alta di immigrati che provengono dal nostro paese. La prima comunità italiana cominciò a prendere forma nel Sud Australia intorno al 1890. Fu composta in gran numero da pescatori di Molfetta che si stabilirono a Port Adelaide e a Port Pirie perché erano venuti a conoscenza dei fondali molto pescosi di queste località. Da subito la loro presenza fu malvista dagli anglo-australiani, che, invidiosi delle loro abilità nel pescare, chiesero al governo il rilascio di una licenza dietro pagamento di una tassa abbastanza elevata al fine di farli desistere dal trasferirsi in quei territori. I rapporti con gli anglo-australiani divennero più armoniosi, quando l’Italia entrò in guerra al fianco dell’Inghilterra nel primo conflitto mondiale, tanto che molti molfettesi sfilarono per le strade delle città sventolando la bandiera inglese e quella italiana. Alla fine della guerra l’emigrazione italiana aumentò di gran lunga: non solo molti molfettesi raggiunsero i loro parenti nei territori in cui quest’ultimi si erano già insediati, ma un numero molto alto di italiani raggiunse il Sud dell’Australia dalla Calabria, dal Veneto e dalla Campania.

La gran parte dei nuovi arrivati trovò lavoro nelle fonderie a Port Pirie, mentre altri vennero impiegati come portuali a Port Adelaide. Purtroppo le condizioni a cui vennero sottoposti erano talmente ostili che molti iniziarono ad ammalarsi. Chi non era iscritto ai sindacati era discriminato e in alcuni casi anche picchiato e offeso. Con l’avvento del fascismo in Italia, gli emigrati italiani iniziarono ad avere maggiore considerazione perché agli anglo-australiani non dispiaceva il sistema politico fascista, basato sull’ordine e soprattutto sull’antibolscevismo. Le cose peggiorarono quando l’Italia firmò il “Patto d’Acciaio” con la Germania nel 1939. I servizi di sicurezza australiani cominciarono a monitorare la vita degli italiani preparando un apposito fascicolo in cui venivano segnalate tutte le attività “illegali”.

In verità molte persone vennero arrestate, perché accusate di essere fasciste solo per il fatto di essere italiane. Nel novembre del 2011, il parlamento del Sud Australia ha approvato una mozione riconoscendo tale ingiustizia nei confronti degli italiani in Australia durante la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra, inoltre, fu proprio il governo australiano, bisognoso di manodopera, a rivolgersi all’Italia per favorire l’emigrazione dei nostri connazionali in questa terra. Dal 1930 al 1970, infatti, il numero degli italiani in Australia passò da 29 756 a 289 476. Nel Sud Australia la comunità italiana venne incrementata dalla presenza dei friulani e dei siciliani che andarono così ad aggiungersi ai veneti, ai calabresi, ai pugliesi e ai campani che già li avevano preceduti. Il cattolicesimo in questi territori venne diffuso da alcuni sacerdoti passionisti italiani che si trasferirono ad Adelaide: Maurizio Lancioni di Lucca e Luigi Pesciaroli di Viterbo. Grazie alla comunità passionista, nel tempo, infatti, si è diffuso il culto verso san Gabriele dell’Addolorata, al quale molti giovani chiedono di intercedere. Molto attivi furono e sono ancora oggi i monaci benedettini, che nel 1846 fondarono la comunità monastica di New Norcia, situata a 132 km a nord di Perth, grazie al desiderio dei padri Rosendo Salvado e Josè Serra di voler evangelizzare gli aborigeni dell’Australia occidentale.

In seguito, l’abate Fulgentius Torres, fece costruire degli edifici molto eleganti in stile europeo. Per l’occasione vennero chiamati degli artigiani e artisti del nostro continente. Tali edifici non solo erano destinati al culto ma anche all’istruzione primaria degli aborigeni e a quella secondaria dei coloni. Ancora oggi i monaci sono impegnati nello studio e nella salvaguardia della lingua Nyoongar, ormai parlata da pochissime persone. Tra le tradizioni religiose, non può non essere citata quella relativa al Camino di Salvado, in onore del monaco spagnolo. Tale pellegrinaggio consiste in un percorso che parte dalla chiesa di St. Joseph, nel quartiere di Subiaco, fino a Perth. Il ritorno a New Norcia è previsto una settimana dopo. Diverse chiese sono state dedicate a san Giuseppe, vista la devozione allo sposo della Beata Vergine Maria che molti italiani giunti in Australia hanno importato nel nuovo paese.

Attualmente, anche la Santa Crociata in Onore di San Giuseppe, mezzo di informazione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe, fondata da san Luigi Guanella con il gradimento di san Pio X, arriva in oltre 300 famiglie iscritte. Secondo recenti proiezioni demografiche, nei prossimi decenni la popolazione australiana subirà un notevole cambiamento a seguito dell’indice di invecchiamento dei suoi abitanti. Questo ha cominciato a dar vita a una involuzione anche delle tradizioni popolari importate dagli emigrati più anziani. L’uso dell’italiano nelle famiglie italo-australiane sarebbe, infatti, in diminuzione. L’auspicio è rendere sempre vivi nella memoria dei più giovani australiani, che hanno origini italiane, gli usi e le tradizioni tipiche del nostro paese, ma soprattutto di non dimenticare il contributo che la comunità italiana ha avuto nello sviluppo dell’Australia, anche subendo vessazioni e sacrifici.

Questo potrebbe essere anche un monito per coloro che nel nostro paese ancora utilizzano contegni fortemente discriminatori nei confronti dei migranti che arrivano in Italia a causa di condizioni sociali invivibili. Per questo si sta battendo da tempo anche il Santo Padre Francesco, ricordando sempre a chi si definisce cristiano, che anche Gesù e la sua famiglia possono essere annoverati nella categoria dei migranti, perché per mettersi al riparo da un grave pericolo dovettero emigrare in Egitto. Fu proprio Giuseppe, infatti, che alla stessa stregua di quei padri che oggi per salvaguardare l’incolumità delle proprie famiglie da condizioni di vita disumane o dalla violenza altrui, «si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,14-15) .

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