Relazioni di alto contenuto hanno offerto un valido contributo ai partecipanti al Seminario legati da stretti vincoli di parentela nel coltivare una spiritualità giuseppina. Ha introdotto i lavori padre Guglielmo Spirito, francescano conventuale il quale ha fatto notare come e ci sia bisogno di prendere atto che siamo di fronte a un cambio antropologico, con sfide che toccano il creato, la famiglia, le relazioni a qualsiasi livello. C’è un problema di linguaggio e di recupero di una mentalità simbolica; che le nostre Famiglie religiose sono chiamate ad affrontare nuove sfide nel riscoprire come fonte di ispirazione la figura di san Giuseppe nella sua caratteristica di sposo-papà-educatore-rifugiato-operaio. Un uomo capace di abitare le sfide della nostra società e di offrire ispirazione per il nostro agire. Una primizia sul Sinodo della Famiglia è stata offerta da padre Mario Aldegani, superiore generale dei Giuseppini del Murialdo, qui in veste di padre sinodale. Il discorso sinodale, secondo padre Mario, è stato un grande atto di amore verso la famiglia, considerata una risorsa prima che un problema. Ripartire da Nazareth non vuol dire proporre un modello inimitabile, ma riconoscere la bellezza, la dignità, il valore, di ogni famiglia, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla. L’esperienza della Santa Famiglia di Nazaret ci porta a leggere la realtà della famiglia dentro il quotidiano e l’ordinario di una vita fatta di relazioni, di incontro, di lavoro, di servizio. Padre Mario ha terminato il suo intervento ricordando le parole di papa Francesco sul custodire di Giuseppe: «Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore”. Nel secondo giorno due relazioni fondamentali. La prima, dal titolo accattivante: «Dagli occhi di Maria, Giuseppe come uomo, sposo e padre» è stata offerta dalla biblista Rosanna Virgili, la quale ha voluto esprimere il “sì” di Giuseppe ad accogliere Maria in quel contesto sociale, legislativo, religioso. Giuseppe ha compiuto tutto questo alla luce di quella parola sentita nel sogno: Non temere! La biblista ha voluto anche mostrare come la figura di Giuseppe vada compresa nella corretta lettura della storia di Abramo, in Giuseppe che venduto dai fratelli diventa il salvatore della sua famiglia. Ma anche Giuseppe d’Arimatea, colui che dona il sepolcro a Gesù, ha qualcosa da insegnarci. Sogno e profezia hanno determinato la vicenda di Giuseppe come uomo di fede che sta di fronte a Dio e accetta che Dio entri nella sua vita. Padre Ernesto Della Corte, esperto biblista ha sviluppato il tema «Giuseppe “facitore” della volontà di Dio». Giuseppe è detto “giusto, retto, integro” anche perché non vuole «esporre al pubblico ludibrio, accusare pubblicamente» Maria e così pensa di rimandarla, lasciarla e ripudiarla. I termini stanno a indicare tutto il dramma di Giuseppe, che mentre si interroga su cosa fare, viene illuminato dall’angelo che spiega che cosa sta avvenendo in Maria e a quale compito Giuseppe è chiamato. Padre Ernesto ha presentato Giuseppe come modello di paternità nell’obbedire ai disegni di Dio, nell’assumersi la responsabilità nel compimento dei propri doveri e il discernimento di fronte alle scelte ci dicono che Giuseppe non è un semplice “esecutore passivo” della volontà di Dio ma “facitore”.