Vincenzo, analfabeta e indigente nato da padre “ignoto” - ma a suo dire comunque un “gran Signore” - viene cresciuto da un falegname di nome Giuseppe e da una servetta di nome Maria per poi finire, ancora bambino, precipitato nell’ostile paesaggio umano e sociale di una Napoli povera e mendica di inizio ‘900. L’architettura drammaturgica di Eduardo ce lo consegna mentre si prepara per una nuova giornata in strada, tra piccoli furti e altri espedienti utili a sopravvivere. Al suo fianco c’è Ninetta, umile servetta che Vincenzo non può sposare proprio a causa dell’indigenza. Siamo nei vicoli di Napoli, così pulsanti di vita e al contempo così decadenti, nei quali l’esistenza si trascina ogni giorno coi suoi secolari e immutati riti di povertà, solidarietà popolare, strenua lotta per la sopravvivenza. E’ tarda sera, e al centro campeggia un’antica statua di San Giuseppe, così consunta e diruta da rappresentare un simbolo silenzioso della miseria e dell’abbandono in cui vive la gente di quei quartieri. Ninetta e Vincenzo sono seduti su alcuni gradini, e la giovane lo implora di cambiare vita e convertirsi.
«Se non trovi un santo che ti protegge – gli dice - non ti riesce mai niente nella vita. Vai carcerato, passamm e' guai, hai capito?». «Basta una candela, un lumino, olio – soggiunge - Olio vogliono i santi». E proprio dalla genuina fede della ragazza, infarcita di devozione e credulità popolare, scaturisce la svolta. Vincenzo sceglie per sé un protettore che li riscatti dai rovesci della vita. Ma non una protezione qualunque. «Scherziamo - dice - una graduatoria tra i Santi ci deve essere (…) e se mi debbo scegliere un protettore me lo scelgo importante». Poi, avvicinandosi alla statua di San Giuseppe: «E’ simpatico, eh? E’ il padre di Gesù, faceva il falegname. E’ il marito della Madonna, è imparentato pure con San Gioacchino e Sant’Anna. Se mi faccio proteggere da lui - chiosa - tengo quasi tutto il paradiso dalla parte mia». Ormai in ginocchio, rivolge al Santo una bizzarra ma accorata preghiera. «Don Peppino – esordisce - voi mi proteggete (…) e io vi rimetto a nuovo, quest'angolo lo faccio diventare un santuario. Non voglio più rubare senza sapere a chi rubo. Che male faccio se tolgo 500 a chi tiene 1000? Se voi mi fate incontrare sulla mia strada persone come quelle che vi ho detto, io posso prendere quello che mi occorre senza scrupoli di coscienza». «Facciamo così - termina la sua preghiera - Se il primo che passa me lo hai mandato tu, io me ne accorgo: o vado in galera o accendo una candela». E la candela, in effetti, viene subito accesa, perché San Giuseppe, o piuttosto il caso, fanno transitare di lì due sprovveduti e ricchi turisti americani. La scena successiva si apre sullo stesso vicolo, letteralmente rinato a nuova vita. La statua di San Giuseppe, un tempo sporca e consunta, ha ritrovato il suo antico splendore, e domina la piazza adornata da decine di fiori, lumini e candele. De Pretore confida al tabaccaio di zona: «Oggi dormo tranquillo. La persona influente che vi dicevo, ci pensa lui». Ma questo dissacrante patto con San Giuseppe non è destinato a durare: proprio in quegli istanti passa un commesso di una banca con una borsa gonfia di denaro. Vincenzo è lesto a soffiargliela, ma il commesso gli spara, ferendolo a morte. Al culmine della tragedia, tuttavia, si inserisce prepotentemente il tono della commedia. Vincenzo, giunto ora alle porte del Paradiso, insiste con Pietro per essere ammesso. I ladri, si sa, non possono entrare, ma De Pretore scatena un tal baccano da costringere San Giuseppe a dargli udienza. Il Santo, incarnato da un comicissimo e irresistibile Eduardo, si presenta come un anziano ormai piegato dagli anni, un po’ rintronato, ma in fondo amorevole e attento alle miserie umane. Prima borbotta, ma infine accetta di farsi mediatore presso il Padre eterno. Segue l’esilarante scena in cui il ladruncolo si presenta al cospetto di Dio, seminando il panico tra cherubini, santi, arcangeli e beati, timorosi di possibili furti. Ma San Giuseppe, a questo punto, svolge una accorata e umile perorazione dinanzi al Padre eterno. Vincenzo ladro lo è stato certamente - dice - e anche carcerato. Ma la giustizia di Dio è altra rispetto a quella degli uomini. Figlio di incerto padre, povero per nascita, egli ha rubato non per cupidigia, ma per costruire una famiglia. Il Padre eterno, dal canto suo, non è incline a fare sconti. Ed è a questo punto che Giuseppe- Eduardo, con la sua verve tutta partenopea, attua un sottile artifizio. Se Vincenzo, suo devoto, dovrà restare fuori dal Paradiso, per propria dignità di Santo intercessore, dovrà anch’egli uscire dal Paradiso. E con lui, a rigor di logica, anche il resto della Sacra famiglia, con tanto di suoceri e arcangelo Gabriele. E l’artificio funziona: perché il Paradiso rischia di restare deserto, e soprattutto perché l’Altissimo ha già in cuor suo perdonato De Pretore. L’epilogo, di intensa drammaticità, ci riporta alla realtà della vita. Su un lettino d’ospedale Vincenzo sta per esalare il suo ultimo respiro, e mentre la polizia lo interroga, ha già lo sguardo rivolto al Paradiso. Su questa immagine, si chiude così un’opera capace di affrontare con pungente e delicata ironia temi eterni come la giustizia, la miseria, la fede, il rapporto con Dio. La morale che ci consegna Eduardo è semplice e assieme complessa, come tutte le verità enunciate da Cristo: gli ultimi della terra saranno i primi, la fede e la grazia seguono a volte le strade più tortuose e impensabili; e soprattutto, laddove non giunge il perdono degli uomini, giunge quello di Dio. De Pretore è in fondo un povero “Cristo” come molti altri, gettato per caso nella vita, e che della vita ha affrontato le asperità come meglio poteva. Egli ha scelto San Giuseppe come vicario di un padre che non ha conosciuto, e Giuseppe, pur riconoscendone i torti e le marachelle, ha saputo essere padre fino in fondo. Nato da un “Gran Signore” di nobile lignaggio, che tuttavia non lo ha riconosciuto ufficialmente, cresciuto da un falegname di nome Peppino (Giuseppe) e da una servetta di nome Maria, De Pretore riassume nel suo volto il volto di Gesù, come ogni povero della terra riassume nella sua carne il sembiante di Cristo. E proprio come il “buon ladrone” biblico nella lettura di Sant'Ambrogio, anche lo squattrinato Vincenzo, con la sua scanzonata arte di arrangiarsi, ha saputo, in extremis, “rubare” persino il Paradiso.