Quando fu nominato Patriarca a Venezia, il cardinal Roncalli scherzava dicendo: «ora mi resterebbe solo il papato, ma il prossimo papa sarà l'arcivescovo di Milano» e, alla vigilia del conclave che lo avrebbe eletto, «se ci fosse stato Montini, non avrei avuto una sola esitazione, il mio voto sarebbe stato per lui». Sarà il primo nella lista dei cardinali da lui creati il 15 dicembre 1958. Tra le ipotesi sull’allontanamento di Montini dalla Curia vaticana da parte di Pio XII, c’è anche quella di averlo inviato a Milano, la diocesi più grande e prestigiosa del mondo, consapevole che quel passaggio lo avrebbe messo sul candelabro e ne avrebbe preparato il pontificato.
Papa Francesco, come in un’ouverture musicale, ritorna costantemente sul tema della gioia dell’essere cristiani. Le tre esortazioni apostoliche del suo magistero pontificio sono intonate sulla melodia della gioia. La prima esortazione l’ha iniziata con l’Evangelii gaudium, nella seconda esortazione al gaudio si era aggiunta la letizia come fioritura dell’amore, Amoris laetitia e, ora, nella terza esortazione, ritorna la nota del gaudio con il rallegrarsi che sfocia nell’esultanza Gaudete et exsultate.
Queste note gioiose si fanno giubilo, percorrendo lo spartito musicale delle beatitudini, pagina evangelica che il poeta indiano Gandhi chiamava: «Le più alte parole del pensiero umano».
A ottobre canonizzazione di Paolo VI
di Gabriele Cantaluppi
Il fedele «oggi va al cinema, e tutto gli appare chiaro; va a teatro e avviene altrettanto; apre la radio e la televisione e tutto gli riesce comprensibile», poi «finalmente va alla messa, e di tutto quello che gli si svolge davanti non capisce niente». Basterebbero queste parole, scritte nella lettera sull’educazione liturgica della Quaresima del 1958, a quattro anni dal suo ingresso in diocesi, per avere un saggio dell’animo con cui Giovanni Battista Montini accolse l’impegno di arcivescovo di Milano. Egli riconobbe la specificità di Milano nel panorama nazionale italiano, città lanciata a folle velocità verso la modernità e lo sviluppo economico, in un momento storico difficilissimo, in cui emergevano i problemi economici della ricostruzione, l’immigrazione dal sud, il diffondersi dell’ateismo e del marxismo all’interno del mondo del lavoro.
La vedova rivela i due atteggiamenti fondamentali della Chiesa (sposa) davanti a Cristo (sposo): l’attesa nella speranza e la certezza dell’incontro. L’amore coniugale ferito dall’assenza materiale, continua purificato dal dolore e sublimato nel ricordo, preparando il rincontro. Rivive interiormente il vissuto illuminandolo di un amore eterno.
La vita coniugale è una progressiva educazione per un nuovo modo di essere, dove l’assenza temporanea segnata dal dolore lacerante della separazione cede il passo a un legame spirituale che ingloba il già vissuto in un nuovo modo di vivere; nelle relazioni, sia familiari che professionali e sociali, semina un nuovo amore la cui dolcezza e grandezza va oltre ciò che si vede e si esperimenta attraverso i sensi.
La dimensione spirituale dell’amore illumina e rende feconde le relazioni di nuovi germogli, nuove sensazioni in cui l’amore di Dio riempie i vuoti della solitudine. La vedova, in particolar modo se vive l’esperienza dell’Ordo Viduarum, vive con forza il dono della carità nel suo ambiente familiare, ricoprendo di attenzioni chi ne ha maggiormente bisogno, e riaccende la fiammella della speranza nel loro cuore. In secondo luogo si apre alle necessità del prossimo con un’azione costante di servizio e di sostegno per quanti non sono capaci, da soli, di superare le difficoltà della vita e hanno bisogno di una mano amica. La vedova si pone come presenza amica che aiuta e sostiene quanti nelle difficoltà sono a rischio. Ma dove trova la forza per una missione così esposta, lei che porta nel suo cuore le proprie fragilità? Gesù diceva a santa Caterina da Siena in una delle sue apparizioni: «Fatti capacità ed io mi farò torrente». Qui è il segreto: farsi forti della forza di Cristo.
Cosa?... Mica ho capito male. E che cos’è questo Ordo Viduarum?... e dagli poi con questo latino! Sì; mi hanno detto che in qualche nazione europea il latino, oggi, si studia più che in Italia; ma sempre di una lingua morta si tratta… anche se l’italiano, con il francese, lo spagnolo, il romancho ecc.: sono lingue neo latine. Comunque penso che non è “in”, parlare oggi dell’Ordo Viduarum. Beh! Vediamo di che si tratta...
Dopo nove mesi dalla sua elezione, papa Francesco ha raccontato ad Andrea Tornielli, giornalista de La Stampa di Torino, i suoi sentimenti sulla festa del Natale. Tornielli nel suo lungo colloquio con il papa ha spaziato sui problemi della fame del mondo, della sofferenza dei bambini e sulle tensioni internazionali. Il colloquio è stato lungo e ha posto una serie di domande con delle risposte assai illuminanti sui problemi dell’umanità, ancora oggi di viva attualità. Da quell’intervista abbiamo colto due brani che ci possono aiutare a vivere con sentimenti rinnovati il Natale del Redentore in questo anno 2017.
In quella circostanza Andrea Tornielli aveva riferito che durante il lungo colloquio «per due volte, dal volto di Francesco è sparita quella serenità che tutto il mondo ha imparato a conoscere, quando ha accennato alla sofferenza innocente dei bambini e ha parlato della tragedia della fame nel mondo». Due realtà di drammatica attualità anche oggi. Leggiamo questa eco che si fa un grido attuale.
Da quando i papi hanno incominciato a viaggiare come pastori universali al di fuori della Citta del Vaticano solo Giovanni Paolo I non ha avuto tempo per visitare Fatima, gli altri, da Paolo VI a Francesco, hanno ritenuto Fatima una sorgente di grazia. L’anno centenario delle apparizioni ha accentuato il fatto che la Madonna è scesa dal cielo a parlare ai tre pastorelli all’inizio di un secolo turbolento e tragico per far giungere un accorato messaggio all’intera umanità.
Dal tempo della creazione sino ai nostri giorni, la frase di Isaia «Le vie di Dio sono diverse da quelle degli uomini» si avvera con una metodicità cronometrica. E questo è capitato anche a Fatima: Dio investe di un messaggio di valore universale le fragili spalle di tre bambini. Erano bambini analfabeti, poveri ma ricchi di saggezza. Per questo Dio li ha investiti del compito di ambasciatori per tutti i credenti in Cristo.
Lucia, Francesco e Giacinta non hanno frequentato una specializzazione in rapporti diplomatici, ma Dio, prima delle apparizioni della Mamma di Gesù, ha mandato un angelo a insegnare l’alfabeto del linguaggio di Dio. Un alfabeto che comunicava un linguaggio del cuore: la preghiera. La preghiera è diventata la grammatica con cui i tre pastorelli ascoltavano e parlavano il linguaggio di Dio, lasciando al tempo il compito di rendere palesi anche i «segreti».
Il “segreto di Fatima” è una fotografia rapida e con un linguaggio simbolico di difficile decifrazione. È una visone rapida sulla «Chiesa dei martiri del secolo ormai trascorso. Nessun grande mistero viene svelato; il velo del futuro non viene squarciato».
Al termine della Messa, appartati per una possibile l’inclemenza del tempo, papa Francesco ha desiderato avere un incontro particolare con gli ammalati e prima di impartire loro la benedizione eucaristica, il papa si è rivolto direttamente agli ammalati riproponendo la domanda che Maria aveva fatto a Giacinta e Francesco, che poco prima, durante la santa Messa erano stati proclamati santi, quindi, modelli imitabili di santità: «Volete offrirvi a Dio?».
Eminenza, si è da poco concluso il Giubileo Straordinario della Misericordia. Come valuta questo evento, partendo proprio da qui, dalla Basilica di San Pietro in Vaticano, della quale lei è Arciprete?
Il Giubileo della Misericordia, inizialmente, è stato accolto con sorpresa perché il papa ha tenuto dentro di sé l’intuizione e l’ispirazione. E quando l’ha comunicata, evidentemente, c’è stato un momento quasi di suspense, perché nessuno aspettava questo inatteso dono. Poi, però, immediatamente c’è stata l’apertura del cuore e, direi, anche una specie di sintonia con l’intuizione del Santo Padre, perché il tema della misericordia è un tema che affascina, un tema che incoraggia.
«La Chiesa non è un’azienda. Il papa non fa l’economista e neppure il politico per questo comprende a fondo cosa significa lo sviluppo dei popoli» e la crescita integrale delle persone. La Chiesa è una “madre e maestra” che ha a cuore il progresso armonico dei suoi figli.
Sono passati 50 anni da quando Paolo VI ha lanciato al mondo l’invito a investire le prospettive politiche, sociali ed economiche sulla dignità della persona con i suoi diritti e sulla necessità che gli Stati assicurino che il progresso sia sempre al servizio della persona e non renda l’uomo schiavo dell’economia.
Il vescovo di Lourdes presentando Bernadette il 18 gennaio 1862 cita l’Apostolo Paolo: “Qual è lo strumento di cui l’Onnipotente si è servito per comunicare i suoi disegni di misericordia? è ciò che c’è di più debole nel mondo, una ragazza di 14 anni, nata da una famiglia povera”. Contemptibilia mundi elexit Deus, dice infatti san Paolo: Dio sceglie di preferenza le persone che il mondo disprezza... cioè le persone umili come Bernadette Soubirous che dice di sé: “Se la Madonna mi ha scelto è perché ero la più ignorante. Se avesse trovato una più ignorante avrebbe scelto lei”.
«Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,19). L’apostolo Paolo usa parole molto forti per esprimere il mistero della vita cristiana: tutto si riassume nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione, ricevuto nel Battesimo. Infatti, con l’immersione nell’acqua ognuno è come se fosse morto e sepolto con Cristo (cfr Rm 6,3-4), mentre, quando riemerge da essa, manifesta la vita nuova nello Spirito Santo. Questa condizione di rinascita coinvolge l’intera esistenza, in ogni suo aspetto: anche la malattia, la sofferenza e la morte sono inserite in Cristo, e trovano in Lui il loro senso ultimo. Oggi, nella giornata giubilare dedicata a quanti portano i segni della malattia e della disabilità, questa Parola di vita trova nella nostra Assemblea una particolare risonanza.
In realtà, tutti prima o poi siamo chiamati a confrontarci, talvolta a scontrarci, con le fragilità e le malattie nostre e altrui. E quanti volti diversi assumono queste esperienze così tipicamente e drammaticamente umane! In ogni caso, esse pongono in maniera più acuta e pressante l’interrogativo sul senso dell’esistenza. Nel nostro animo può subentrare anche un atteggiamento cinico, come se tutto si potesse risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze. Altre volte, all’opposto, si ripone tutta la fiducia nelle scoperte della scienza, pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina in grado di guarire la malattia. Purtroppo non è così, e anche se quella medicina ci fosse, sarebbe accessibile a pochissime persone.