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Mercoledì, 17 Dicembre 2014 13:38

San Giuseppe accetta la divina maternità

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Dono Doni nella chiesa di Sant'Andrea a Spello

di Maria Gloria Riva

Lo attribuiscono a Dono Doni, l’affresco originalissimo presente a Spello nella chiesa di Sant’Andrea. Si tratta del tema, rarissimo nell’arte, dell’accettazione della divina maternità della Madonna da parte di San Giuseppe, l’uomo giusto di cui la Scrittura ci narra con pochissime ed essenziali parole. 
Giuseppe, venuto a conoscenza della maternità della sua promessa sposa, volle ripudiarla in segreto. Gli apocrifi narrano quello che il Vangelo tace e cioè lo sconcerto, il tormento e il dubbio. Altri mistici, come la Valtorta, indagano invece tra le pieghe dell’animo di questo prescelto da Dio, facendo emergere la grande fede e la rettitudine.
La rarità del soggetto nell’arte fa pensare ad alcuni che l’affresco di Spello non riguardi san Giuseppe ma che raffiguri l’incontro di San Gioacchino e Sant’Anna alla Porta Bella (altro racconto apocrifo della vita di Maria). Gioacchino, sacerdote, non avendo avuto figli viene cacciato dal tempio e si rifugia fra i pastori. La sofferenza è grande e, pur lontani, lui e la moglie Anna pregano insistentemente per avere un figlio. Finalmente un angelo appare ad Anna e le assicura una maternità tutta particolare, una figlia che renderà gloriosa la stirpe di Davide. Gioacchino per ispirazione divina torna dalla moglie. I due s’incontrano alla Porta Bella del Tempio e Anna è già incinta. La commozione è grande.
Nell’affresco di Spello se la Vergine Immacolata che campeggia nella parte alta dà ragione di questa attribuzione, Maria è la figlia miracolosamente concessa ai due sposi; dall’altra parte, l’assenza della Porta Bella, immancabile in questo tipo di iconografia, e la straordinaria somiglianza della Vergine bambina con la donna dell’abbraccio in primo piano fa pendere la bilancia a favore dell’altra interpretazione:  San Giuseppe che accetta la divina maternità di Maria.
I profeti e le sibille che stanno a lato della Vergine Immacolata ci vengono in aiuto. Il primo profeta a sinistra, è Davide. Lo si riconosce dallo strumento musicale che sbuca da dietro il ginocchio, davanti a lui una lapide recita un testo latino abbreviato: Tecum principium in die virtutis tuæ in splendoribus Sanctorum ex utero ante luciferum genui te. Juravit Dominus et non pænitebit eum. Si tratta di un versetto del Salmo 110 (o 109) cantato (anche) nell’ufficio della Vergine: «A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato. Il Signore ha giurato e non si pente».
Davide addita la Vergine, riconoscendo in lei il compimento delle promesse del Signore.
Il secondo Profeta, probabilmente Balaam, guarda Davide in volto, volendo quasi correggerlo. La sua lapide così recita: Orietur stella ex iacob et exurget homo de israel et confringet omnes duce alienigenarum et erit omnis terra possessio eius. Si tratta della parafrasi di un passo del libro dei Numeri al cap 24,17 ss. dove si narra di un profeta pagano, Balaam appunto, che chiamato a maledire Israele lo benedice, lanciando degli oracoli messianici che la Chiesa proclama proprio a Natale:  Una stella è sorta da Giacobbe e un uomo da Israele, colpirà tutte le potenze straniere e tutta la terra sarà in suo possesso. 
È interessante che Balaam indichi, non la Vergine in Cielo, ma quella in terra, abbracciata a Giuseppe. Dicendo implicitamente a Davide: ecco lo scettro che spunta da Giacobbe, è lì, nel grembo della Vergine Maria.
Dall’altro lato troviamo due sibille. Quella più al centro è la Sibilla Samia, la quale sembra voler destare la sua compagna a un’evidenza grande, il suo cartiglio – infatti- recita: Ecce veniet dives et nascetur de paupercula  et bestie terrarum adorabunt eum (Ecco, viene ricco e nasce da una poverella e le bestie della terra lo adoreranno). L’allusione alla nascita di Cristo in una mangiatoia è chiara. Anche la sibilla Samia sembra alludere alla scena sottostante dove l’altra sibilla, invece, non guarda.
Quest’ultima, la sibilla libica, mostra un cartiglio con un passo abbreviato, il cui originale canta il sorger della luce di Cristo: Ecce veniet deus et illuminabit condensa tenebrarum et solventur nexus sinagoge et desinent labia homini et videbunt regem viventium et tenebit virgo illum in gremio domina gentium et regnabitur misericordia et uterus matris eius erit statera cunctorum (Ecco Dio verrà ad illuminare le fitte tenebre e saranno sciolti i lacci della sinagoga e si zittiranno le labbra dell’uomo e vedranno il re delle genti. E la Vergine lo terrà in grembo, lei signora delle genti, e regnerà la misericordia e l’utero della Madre di lui sarà la bilancia di tutti).
 
Alla luce di questi oracoli la scena sottostante sembra proprio riguardare Cristo più che la Vergine Maria. Possiamo dunque riconoscere nei due sposi non Sant’Anna e San Gioacchino, ma san Giuseppe e la Vergine Maria. È perciò commovente guardare all’abbraccio purissimo eppure affettivamente intenso di San Giuseppe alla sua Vergine Sposa che reca in sé un segreto arcano.
Un abbraccio che certo non è compreso da coloro che stanno attorno ai due novelli sposi come testimoni. Il gruppo di uomini e di donne che vorrebbero ripudiata la sposa e salva la dignità dello sposo. Giuseppe invece, sorreggendo Maria, guarda significativamente verso terra. Confessando così l’incapacità umana di comprendere un mistero così grande e mostrandosi, di fronte agli uomini, umile di cuore e grande nella fede.
 
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