Nel diario della vita mutano gli umori, gli entusiasmi, gli affetti; cambiano le prospettive, le mete che la vita vorremmo che ci assegnasse.
Le dimensioni dello stadio in cui giochiamo la vita sono sempre uguali; può cambiare la squadra e i moduli del gioco, ma tutto è sempre movimento, cambia solo il grado di partecipazione.
Solo quando si perde la voglia di partecipare e di mettersi in gioco, abbassiamo le vele della nostra imbarcazione e la vita si ferma davanti ad un panorama immobile, paralizzato, come in uno stagno pietrificato sia nei colori e nelle forme.
Ognuno di noi è chiamato a mettersi in cammino e varcare le frontiere.
Ed ad ogni varco anche il nostro corpo è chiamato a pagare un pedaggio, un tributo di sofferenza dall’infanzia all’adolescenza, dalla presunzione di essere al centro dell’attenzione al precipizio della solitudine e dell’inutilità nella vecchiaia.
Questi passaggi ci insegnano che le nostre esistenze si evolvono in una dinamica di incontri-scontri, necessari per saper rivitalizzare il patrimonio di un’eredità ricevuta. È la logica evangelica del chicco di grano che dal suo disfacimento genera una nuova vita.
Oggi dobbiamo constatare che questi cambiamenti sono meno sofferenti e più morbidi; rimangono “adolescenti” sino a trent’anni con un prolungamento di vita nella casa paterna. Questa permanenza prolungata ha molteplici cause (gli studi prolungati, la mancanza di lavoro, il precariato che rende il futuro un po’ sfuocato e ingigantisce la paura del cambiamento), e così, di fronte a questo panorama, i giovani sono rallentati nel loro cammino di autonomia. Oggi, insomma, i giovani incominciano a sperimentare la libertà e la responsabilità molto più tardi prolungando di fatto un’adolescenza psicologica di insicurezza.