Abbiamo avuto modo di pregare di più, di pensare di più e di lamentarci di più nel buio di una pandemia paralizzante. Abbiamo ripetuto l’espressione del salmo 12 che fa gridare: «Sino a quando, Signore, la mia anima proverà affanni e la tristezza continuerà ad essere la severa regina del mio cuore?».
«Sino a quando, Signore?»: è la supplica costante della vita nel tempo del “silenzio di Dio” e nei tempi bui. È un grido che gronda ansia di dolore per un futuro incerto.
In questo cielo plumbeo del corona-virus mi ha colpito questa espressione che ci dà occasione di riflettere su ogni vicenda avvolta dal buio: «L’oscurità è il fratello anziano della luce». “Il fratello anziano” rappresenta l’esperienza che ci interpella, che ci racconta dell’oscurità; in effetti, è la prima onda che muove il desiderio struggente della luce.
Anche Dio ha avuto questo desiderio di luce. Quando creava il mondo, sul finire della notte ha raggiunto i confini del buio facendo esplodere la luce.
Nel mondo ebraico il giorno inizia la sera, appunto, con l’oscurità.
Il primo versetto della Bibbia inizia proprio così: «La terra era informe e deserta e le tenebre coprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque».
L’alba arriva come un dono inaspettato.
Anche noi in questa pandemia vediamo illuminarsi l’orizzonte e questo ci invita a guardare il futuro con gli occhi carichi di una memoria affettiva illuminata dalla speranza. Così anche il buio dell’interrogativo: «Sino a quando?» possiede il seme della speranza.
Nelle scorse settimane, come un sibilo angosciante, il “perché” del flagello della pandemia, che ha spezzato esistenze e sicurezze, ha seminato lutti e ha smascherato anche tante presunzioni di onnipotenza che ci hanno fatto scivolare nell’illusione di poter vivere anche senza Dio. Questo disagio strisciante accanto ai laboratori degli scienziati ci suggerisce di aggiungere uno spettro suppletivo per cogliere nel complesso meccanismo della vita una vibrazione spirituale, cogliere così nel metabolismo umano quella particella divina che ci permette di guardare la vita come la vede Dio e, solo allora, potremo vedere che nulla è profano nel mondo e che la fede non è solo alzare gli occhi verso Dio, ma guardare la terra con gli occhi stessi di Gesù che ha assaporato l’amarezza delle nostre lacrime e con straordinaria passione è arrivato a consumare ogni briciola di umanità nel fuoco dell’amore.
All’inizio di un nuovo anno sociale siamo un po’ come dei pionieri chiamati a percorrere strade nuove. Davvero, c’è una vita da ricominciare, con slancio e fiducia.
Come nell’eco del grido del salmo 12 «Sino a quando, o Signore?» c’è un invito di Gesù al coraggio: «Non abbiate paura».
Una annotazione: nella Bibbia questo invito “ad aver coraggio” e a “non avere paura” è ripetuto per ben 365 volte.
“Aver coraggio” e “non avere paura” è il buon giorno quotidiano di Gesù.
Quest’anno ne dovremo avere di coraggio! Auguri!