Sono con te, quando ti nascondi per la vergogna del male compiuto, sono con te nella quotidiana fatica di guadagnarti il pane con il sudore della tua fronte, sono con te mentre soffri nelle doglie del parto; sono con te, quando avanzi nella notte, quando acque tempestose sommergono la fragile imbarcazione della tua vita; sono con te, quando ti trovi ad attraversare sterminati deserti.
Ripercorrendo la storia della salvezza, siamo giunti, con Mosè, alle soglie della terra promessa. Prima di entrarvi, il popolo è invitato a prendere una decisione: «Scegliete oggi chi servire», dice loro Giosuè (Gs 24). E questo significa: scegliete oggi con chi stare, con chi stringere alleanza. Il popolo, unanime, risponde: «Noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio» (Gs 24,18).
La fatica della traversata del deserto non ha indebolito, ma irrobustito la fede del popolo; lungo il cammino ci sono state, sì, ribellioni, dubbi, cadute, ma la fiamma della fede è ancora viva.
Come continuare a tenerla accesa e ravvivarla sempre di più?
La preghiera: è questo il tesoro del popolo in cammino nel lungo pellegrinaggio della storia. E c’è, nella Bibbia, un libro di preghiere che ci insegna a entrare in comunione con Dio, in dialogo con lui. È il libro dei Salmi. Questo libro di preghiere è come uno scrigno di perle preziose. Tra tutte ne brilla una, piccola, ma luminosissima. È il salmo 23 (22): il salmo del buon Pastore, un salmo ricco di immagini simboliche, perché più delle parole le immagini traducono i sentimenti del cuore. È un Vangelo in miniatura: vi è contenuto il mistero dell’Incarnazione, della Passione e morte, la Pasqua e il tempo della Chiesa, fino a sfociare nell’eternità.
«Il Signore è il mio pastore». Il Salmista – e ognuno di noi si può identificare con lui – inizia la sua preghiera con una professione di fede. Il Signore è Colui che si prende cura della mia vita, Colui che a tutto provvede. Anzi, è Lui stesso tutto quello che io cerco, di cui ho bisogno. Con Lui ho tutto.
Un’atmosfera di fiducia illimitata si diffonde da questo salmo. Quanto è dolce quell’andare con il pastore lungo i pendii assolati, tra gli anfratti da dove fresche sorgenti d’acqua si fanno strada per scorrere a valle! Quanto è dolce pascolare, dissetarsi, riposare, riprendere il cammino verso sempre nuove e sorprendenti mète! Neppure quando il sentiero si fa impraticabile, neppure quando si procede sull’orlo di un precipizio c’è da temere. Il pastore sa come guidare il gregge nei passaggi difficili e come sostenerlo nella fatica. Egli ha cura di ognuna delle sue pecore, ha cura di me, come se fossi la sua unica. E per amore del suo Nome – ossia per la forza intrinseca del suo essere Amore – egli mi ama fino a dedicarsi totalmente a me, fino a far consistere la sua gloria nel rendermi partecipe della sua pienezza di vita.
Il Signore è il mio pastore. Questa suggestiva immagine, segno di forte e tenero amore e di profonda comunione, sembra oggi sorpassata, perché siamo ormai nella civiltà della tecnica, delle macchine e dei motori. Ma nessun’altra la può adeguatamente sostituire. Pastore e gregge, pastore e pecorella sono in simbiosi; vivono condividendo tutto, dall’alba al tramonto, dal tramonto all’aurora, passando anche per l’oscurità della notte, per le tenebre della morte, che più non impaurisce: perché Tu, Signore, sei con me.
Anche se vado
per una valle oscura,
non temo alcun male,
perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza (v. 4).
Tu sei con me! È la nota più alta del salmo, è il suo cuore sempre pulsante. Con queste parole il Salmista – ognuno di noi – risponde all’«io sono con te» incessantemente ripetuto da Dio all’uomo, quasi a ritmare ogni passo del suo cammino.
«Chi va col Signore – ha detto Papa Benedetto XVI commentando questo salmo – anche nelle valli oscure della sofferenza, dell’incertezza e di tutti i problemi umani, si sente sicuro. Tu sei con me: questa è la nostra certezza. Il buio della notte fa paura…, eppure l’orante procede sicuro, perché sa che il Signore è con lui. Quel tu sei con me è una proclamazione di fiducia incrollabile, e sintetizza l’esperienza di fede radicale; la vicinanza di Dio trasforma la realtà» (5 ottobre 2011).
Forse non a caso i primi a ricevere l’annunzio della nascita di Gesù – il vero buon Pastore – furono i pastori che vegliavano in quella santa notte nelle campagne attorno a Betlemme. Il neo-nato Pastore comincia fin dalla greppia a radunare tutti i pastori e tutte le pecore attorno a sé.
Nell’antica liturgia battesimale i neofiti erano chiamati agni novelli, nuovi agnelli del gregge di Cristo risorto. Emergendo dalle acque del fonte rigenerati a nuova vita e segnati con il sigillo dello Spirito, essi passavano alla mensa eucaristica.
E la mensa è l’immagine simbolica della seconda parte del salmo. Rimane però ancora anche l’immagine del pastore, poiché è proprio Lui che prepara la mensa e offre se stesso quale pane di vita e calice di salvezza. L’olio profumato che tonifica e fa splendere il volto, il calice che fortifica e riempie di allegrezza il cuore sono dati a profusione nel banchetto del Signore, e sono primizia di un convito di festa senza fine.
Il salmo ha perciò anche un intenso significato escatologico. Esso assume un particolare "sapore" quando lo si canta nella liturgia delle esequie per accompagnare l’anima del defunto incontro al mite buon Pastore e affidarglielo perché lo conduca a ristorarsi, dopo il faticoso cammino di questa vita, alle acque dolci e tranquille che sgorgano dal tempio della Gerusalemme celeste.
Il nostro pellegrinaggio terreno è, in fondo, come una continua transumanza, un passare di regione in regione, attraverso i sentieri del tempo, per giungere a trovare i pascoli «sui monti alti di Israele», sui monti alti come il cielo dove la felicità sarà piena perché saremo per sempre con il Signore (cf. 1 Ts 4, 17), immersi nel suo amore e noi stessi trasfigurati, resi luce nella sua viva fiamma d’amore.