Con il capitolo 4 della Genesi, lo scenario cambia radicalmente. Le porte del Paradiso sono chiuse e custodite, sulla terra Adamo ed Eva conducono la loro vita nella tribolazione. La gioia del lavoro, infatti, è diventata per Adamo fatica per guadagnare il pane con il sudore della fronte, mentre Eva dà alla luce i suoi figli nel travaglio del parto. Ma un dolore ancor più grande patisce nel suo cuore a causa della lotta fratricida. Il primo peccato, il peccato delle origini è diventato un torrente inarrestabile, un fiume minaccioso che tutto travolge (cf. Rm 5,17).
E Dio resta assente? Non interviene? È forse ignaro di quanto accade? Ha forse dimenticato la sua creatura prediletta? Impossibile! Come canta un Salmo, Egli segue il cammino dell’uomo, sa quando si alza e quando cade, conosce tutti i suoi passi, penetra nel segreto del suo cuore (cf. Sal 139). Dall’alto, dunque, il Signore veglia e vede che ovunque sulla terra regna la morte: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre» (Gen 6, 5).
Queste parole ci fanno riflettere, ci mettono davanti la situazione del genere umano di ogni epoca e luogo: l’uomo va sulla terra senza direzione, smarrisce l’orientamento, il suo cuore si perverte; il peccato tende sempre ad aumentare, fino a diventare una valanga travolgente. Oggi, il Signore, volgendo il suo sguardo sulla terra, non trova certo una situazione migliore di quella delle origini. Ne siamo ben consapevoli. E di fronte a tale panorama di peccato e di morte, qual è la reazione di Dio? Il testo biblico prosegue con una frase del tutto inattesa, forse la più triste di tutta la Sacra Scrittura: «E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: “Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti”» (Gen 6, 6-7).
Il Signore si pentì di aver creato l’uomo e l’universo intero. Questo pentimento si presenta come la dichiarazione di un totale fallimento. Dio sembra dire a se stesso: «Non c’è più nulla da fare. Tutto è perduto».
Il versetto successivo, però, riserva una sorpresa. Esso inizia con un «ma», che indica un cambiamento in atto. Qualcosa è intervenuto, per cui la situazione si capovolge. Tutta la storia sacra è segnata da questi «ma» che operano dei capovolgimenti inattesi e sbloccano situazioni che erano senza via d’uscita.
«Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore» (Gen 6, 8). In mezzo a tanta malvagità e squallore, lo sguardo del Signore vide Noè «cresciuto – dice Romano il Melode – come una rosa tra le spine»; egli era retto e integro, non deviava a destra o a sinistra, ma «camminava con Dio» (Gen 6, 9). A Dio basta questo «piccolo resto» per pentirsi di essersi pentito e riprendere da capo la storia dell’umanità con il perdono e la salvezza. La strada, però, deve passare attraverso la via dolorosa della purificazione: ecco il diluvio universale, le cui acque purificatrici saranno lette dai Padri della Chiesa come simbolo delle acque battesimali, non dunque acque di morte per la morte, ma per la vita.
Prima di aprire le cataratte del cielo, Dio ordina a Noè di costruire un’arca in cui mettersi in salvo con tutta la sua famiglia, introducendovi anche ogni specie di essere vivente, maschio e femmina. Quest’arca – nota ancora Romano il Melode nel suo bellissimo inno su Noè – non è un rifugio qualunque; costruita secondo il modello che Dio stesso ha indicato, essa è come un «grembo materno che porta i semi delle generazioni future», è «come una casa ad immagine della Chiesa», vale a dire un luogo di comunione. Lì dentro – dichiarò Dio – «ti custodirò, tu che mi acclami con fede: “Salva tutti, per l’amore che ci serbi, o Redentore dell’universo”».
Noè con la sua vita buona fu il primo grande intercessore della storia della salvezza. La sua vita integra fu una potente preghiera che commosse il cuore di Dio e lo indusse a perdonare tutto il genere umano. Egli è figura di Cristo, l’unico Giusto, che, inchiodato sul legno della Croce – vera Arca – ci ottenne la salvezza eterna.
Per centocinquanta giorni e notti le acque del diluvio scrosciarono senza interruzione, travolgendo tutti gli esseri viventi e sommergendo anche i monti più alti, mentre in tanta inondazione l’arca galleggiava.
Poi, il Misericordioso mandò un vento di pace su tutta la terra; le acque cominciarono a scendere, le vette dei monti a riemergere. Noè aprì l’arca, osservò il cielo e fece uscire un corvo, che non tornò; lasciò volare una colomba che tornò, perché ancora alta era l’acqua sulla terra; dopo sette giorni di nuovo la inviò ed essa tornò verso sera portando nel becco un ramoscello di ulivo. Era giunta l’ora di uscire dall’arca. Come primo atto Noè offrì a Dio un sacrificio di lode e di ringraziamento, il cui profumo salì gradito al Misericordioso che rispose dal cielo con il segno dell’arcobaleno stipulando con tutta l’umanità e con tutto il creato un’alleanza di pace: «Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra… e non ci saranno più le acque per il diluvio…» (Gen 9, 13ss)
Questo segno è prefigurazione di Colui che, inchiodato al legno della Croce, vera arca, unirà cielo e terra e stringerà la Nuova ed eterna Alleanza tra Dio e l’uomo: Gesù, nostra Pace. «Il mondo – scrive Dietrich Bonhoeffer – anela a vedere l’arcobaleno di pace della divina grazia risplendere dopo la tempesta. E noi sappiamo che dietro tutte le nostre preoccupazioni si è levato l’arcobaleno della pace divina: noi sappiamo che c’è chi custodisce la nostra vita» e può fare di noi «degli uomini della sua incomparabile pace», uomini che di questa pace vivono e questa pace irradiano.