«Entrando nel mondo, Cristo dice: “Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10, 5-7).
Con acutezza intuitiva così interpreta il passo un monaco medievale: dopo il peccato originale, Dio – che è Padre, Figlio e Spirito Santo – tiene un consiglio intratrinitario per vedere come recuperare l’uomo decaduto. In uno slancio d’amore oblativo, il Figlio si offre: «Eccomi, vado io»: e scende sulla terra, per cercare tra rovi e spine la pecorella smarrita e riportarla nell’ovile celeste.
Questo «eccomi» è il filo segreto che lega tutti gli eventi della vita di Gesù, è il motivo che determina ogni suo passo, ogni suo gesto, ogni sua parola.
Gesù nasce quando giunge la pienezza dei tempi, in obbedienza al disegno del Padre.
A dodici anni, quando entra nell’età adulta della fede, si ferma nel tempio, perché deve occuparsi delle cose del Padre suo: non rimane a Gerusalemme per una scelta arbitraria, da adolescente desideroso di autonomia, no, egli è là per un “dovere” legato alla sua missione.
Nella sua vita pubblica più volte Gesù mette in luce il suo legame fortissimo con il Padre, al punto da farne il modello e l’insegnamento per i suoi discepoli.
Quando uno dei dodici gli chiede di insegnare loro a pregare, la prima parola che esce dalle sue labbra è proprio “Padre”, e al centro della preghiera spicca l’affermazione: «Sia fatta la tua volontà». Ricordo ancora con quanta insistenza l’abate Mariano Magrassi, commentandoci il Padre Nostro, sottolineava l’aspetto “festivo” di questa richiesta. Non andrebbe mai pronunziata – diceva – come chi obbedisce forzatamente, quasi stringendo i denti, ma vorrebbe fare tutt’altro. No! Sia fatta la tua volontà deve esprimere lo slancio di un’anima che si sente in sintonia con la volontà di Dio. Corrisponde all’eccomi di Maria all’annunzio dell’angelo, risposta pronunziata come il sì nuziale di una vergine e non come l’obbedienza a un comando opprimente. Egli ci raccontò a tal proposito un fatto accaduto in una scuola elementare francese. La maestra aveva dettato il Padre nostro; correggendo poi i quaderni, rimase stupita di un “errore”. Giunta a «Que ta volonté soit faite», sia fatta la tua volontà, una bambina aveva scritto: «Que ta volonté soit fête », la tua volontà sia festa! La pronunzia era uguale, ma quell’errore coglieva il vero significato della preghiera. Sì, ogni volontà di Dio sia festa per noi!
Gesù stesso ci mostra al vivo questo atteggiamento, quando, esultando di gioia nello Spirito Santo, esclama: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Lc 10, 21). È questa la più bella «lezione d’amore» che Gesù diede ai suoi e dà a tutti noi: non volere mai niente di diverso da quanto vuole il Padre, essere sempre in pieno accordo con lui che è amore. Questa è la fonte della gioia e della pace. Perciò Gesù aggiunge: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11, 29).
Queste parole, pronunziate nell’esultanza dello Spirito, vennero sigillate da Gesù stesso nel momento culminante della sua missione. Infatti, nell’imminenza della passione e morte, ancora in compagnia dei suoi discepoli, si ritirò in preghiera nell’orto degli ulivi. Là, in una notte d’angoscia, mentre dal suo volto il sudore scorreva come gocce di sangue, dal suo cuore sgorgò ancora la preghiera rivolta al Padre: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42).
Per Gesù era giunta l’«ora» tanto attesa. In quel combattimento fino al sangue rinnovò il suo «eccomi» di piena disponibilità al volere del Padre. Per questo, quando andarono ad arrestarlo, egli si consegnò senza opporre resistenza e abbracciò la croce come si abbraccia una sposa, pronunziando il sì della nuova ed eterna alleanza.
Per mezzo delle sofferenze – così dice l’autore della lettera agli Ebrei – ci ha salvati e ci ha fatti una cosa sola con lui: lui il capo, noi il corpo.
Gesù non si è vergognato di chiamarci fratelli, anzi, dopo aver compiuto la sua missione redentrice, salì al Cielo dicendo: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato» (Eb 2, 13).
Si dice che si comprende solo ciò di cui si fa esperienza. La persona che non ha mai sofferto non sa comprendere quelli che soffrono, non sa com-patire. In trent’anni di vita nascosta e in tre di vita pubblica, Gesù è entrato pienamente nella nostra situazione; per questo egli è in grado, come nessun altro, di venire in aiuto a noi che, in vario modo, siamo sempre nella prova. E l’aiuto – la salvezza – che egli ci dona è del tutto “speciale”. L’obbedienza di Cristo non solo ci ha salvato in modo radicale, ma ci ha anche comunicato la grazia di corrispondere alla volontà di Dio, di diventare da «salvati» cooperato di salvezza. Come? Passando noi pure attraverso l’umiliazione, la croce e la morte all’uomo vecchio, per entrare con lui nel regno della gloria: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato» (Gv 17, 24).
Tutto Gesù ha compiuto in nostro favore: egli è l’uomo per noi. Come risposta d’amore, sapremo riprodurre in noi i suoi tratti? Da figlio unigenito del Padre, egli si è fatto nostro fratello primogenito: la vocazione iscritta nel nostro cuore è assumere la sua fisionomia, fino a irradiare la luce del suo volto divino.
Signore Gesù, Figlio di Dio,
che sei venuto
come nostro fratello
per insegnarci
a compiere la volontà
del Padre,
metti anche nel nostro cuore
l’«eccomi»
dell’amore oblativo
che ti inchiodò
al legno della Croce,
affinché, presentandoci
al Padre,
possiamo sperimentare
anche la gioia del tuo:
«Eccomi, sono risorto
e sono sempre con te!».