Il popolo eletto è in esilio, lontano dalla sua terra, lontano soprattutto dal Tempio, dimora del suo Dio. Perché si trova in questa dura situazione? Il popolo è così oppresso e sfiduciato che non ha neppure più la forza di porsi questa domanda. Ma Dio veglia su di esso e gli manda un profeta a risvegliarlo dal suo torpore, a scuoterlo. Convocati i compagni di deportazione, Baruc rivolge loro la parola capace di toccare i cuori:
«Ascolta, Israele...» (Bar 3,9). L’invito all’ascolto è per Israele un richiamo fortissimo all’Alleanza con il suo Dio. È come se il profeta dicesse: «Anche se ti trovi in questa desolazione, tu sei caro a Dio, egli non ti ha dimenticato, perché ha stretto con te un patto eterno. Ascolta, dunque. Porgi l’orecchio e ritorna al tuo Dio».
«Perché, Israele? Perché ti trovi in terra nemicae sei diventato vecchio in terra straniera?» (Bar 3,10).
Israele ha abbandonato ha trascurato la Parola di Dio; per questo si trova in terra straniera, senz’altra prospettiva che la morte. Pur vivendo, è già come morto. Non c’è infatti vita veramente viva, se non è vissuta in alleanza con Dio, ascoltando la sua Parola, compiendo la sua volontà, che è sempre per il nostro bene e la nostra salvezza. Il profeta non inganna il popolo, ma lo aiuta ad aprire gli occhi sulla propria situazione e così ravvedersi, convertirsi, ritrovare la gioia:
«Se tu avessi camminato nella via di Dio, avresti abitato per sempre nella pace» (v. 13).
Ma anche ora, che sei lontano, ti è possibile ritornare. Da parte di Dio non ci sono ostacoli: Anzi, Egli attende sempre con benevolenza. Che cosa manca allora? Nulla, se non un briciolo di umiltà: «Impara dov’è la prudenza, dov’è la forza, dov’è l’intelligenza, per comprendere anche dov’è la longevità e la vita, dov’è la luce degli occhi e la pace» (v. 14).
Impara! Non voler essere maestro di te stesso, ma fatti discepolo. E qui il testo biblico riserva una stupenda sorpresa. Il profeta invita il popolo a contemplare l’immensità di Dio. Ecco la via dell’umiltà! Israele si era lasciato affascinare dalla falsa sapienza del mondo; sempre l’uomo si lascia attirare dalla sete di potere e di prestigio. Ma come finiscono i potenti di questo mondo? Che cosa sono le loro grandiose opere? «Come l’erba che al mattino fiorisce e germoglia, e alla sera è falciata e secca», direbbe il Salmista (Sal 90, 5-6). Nel volgere di una breve stagione anche i più imponenti imperi si sbriciolano. La storia lo ha ripetutamente dimostrato... I famosi giganti dei tempi antichi – dice il testo sacro – non sono riusciti nella loro impresa, perché nel loro orgoglio si opponevano a Dio (cfr. Bar 3, 26-27).
Chi dunque può raggiungere la sapienza e conoscere la via della felicità? Non la si può acquistare con denaro, non la si può raggiungere con le nostre capacità... Eppure non ci è preclusa: occorre solo umilmente desiderarla, attenderla come un dono, nulla preferire ad essa.
«Colui che sa tutto, la conosce,
Colui che manda la luce ed essa corre, l’ha chiamata, ed essa gli ha obbedito con tremore (vv. 32-33).
È l’umile obbedienza ad aprire il cuore per accogliere il dono.
«Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate ed hanno risposto: “Eccoci!”, e hanno brillato di gioia per colui che le ha create» (vv. 34-35).
Ci viene mai da pensare che la luce del sole, lo splendore della luna, lo scintillio delle stelle sono un sorriso di gioia rivolto al Creatore? Che le corolle dei fiori e tutte le bellezze del creato sono canto di gratitudine a Dio?
«La gloria di Dio – scriveva padre Giuseppe Dossetti – attraverso le stelle da lui chiamate per nome e che brillano e gioiscono per lui, è vera rivelazione, come è rivelazione la perfezione di un filo d’erba... Non faccio della poesia: dico delle cose elementari, comuni, per richiamare la mia attenzione a una realtà in mezzo alla quale vivo e della quale non tengo mai conto...» (La parola e il silenzio, Il Mulino, Bologna 1998, p. 229). Imparando dalle stelle, noi pure dovremmo sempre brillare di gioia, perché il Signore ci ha chiamati all’esistenza ad uno ad uno, ci conosce per nome, ci tiene tutti sul palmo della sua mano. E non solo.
«Egli è il nostro Dio, e nessun altro può essere confrontato con lui.
Egli ha scoperto ogni via della sapienza e l’ha data a Giacobbe, suo servo, a Israele, suo amato» (vv. 36-37).
Come ce ne ha fatto dono? Nel modo più impensabile e più meraviglioso: «Per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini» (v. 38)
La Sapienza che è venuta ad abitare in mezzo a noi è il Verbo di Dio, la Parola di Dio, Gesù Cristo. Chi l’accoglie, accoglie la Vita.
Il profeta, dunque, esorta ad accoglierla, a farne la nostra gloria: «Ritorna, Giacobbe, e accoglila» (v. 2).
Ciascuno di noi può sentirsi questo Giacobbe piccolo e povero, ma anche un po’ sconsiderato, che così spesso si dimentica del suo Dio, mentre da Lui riceve tutto, fino al dono del suo stesso Figlio nel quale, per noi nato, morto e risorto, Dio ci ha resi suoi figli, partecipi della sua stessa vita e della sua gloria. Veramente non poteva donarci di più. «Beati noi, perché ciò che piace da Dio ci è stato rivelato» (Bar 4,4). Beati, se l’accogliamo e di Lui viviamo.
O Dio,
Creatore del cielo e della terra, l’universo canta la tua gloria.
Anche noi uniamo la nostra voce
alla voce di tutte le creature,
dal filo d’erba alle fulgide stelle,
per esprimere il nostro amore
e la nostra gratitudine.
Tutto sussurra
nel silenzio
una lode melodiosa
a Te, che tutto benedici
e a tutto sorridi.