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Giovedì, 04 Agosto 2016 13:32

Una vita vissuta con la porta aperta al dialogo

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A cento anni è morto Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII

di Gianni Gennari


Loris Capovilla il giorno 26 maggio ha fatto ritorno alla Casa, quella Casa nella quale il mondo è chiamato ad avvicinarsi con l’annuncio, fatto dall’evangelista Giovanni che «Dio lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unico per la sua salvezza». Pareva immortale, e don Loris sorrideva quando qualcuno lo faceva notare. Possedeva una memoria prodigiosa, una vivacità incredibile, una energia di vita, di speranza, di prossimità per tutti.

Amato – parlo per me – da più di 50 anni, anche in momenti difficili della vita. Quando nel 1967 Paolo VI lo volle arcivescovo di Chieti, lui mi chiese di accompagnarlo da segretario per qualche settimana, in attesa che a fine estate arrivasse don Gianni Bianchi, veneziano, che arrivò, ma sarebbe presto tragicamente scomparso in una tragedia di montagna sul Passo Gardena. Quello di Chieti, allora, non fu un incarico facile per “Don Loris”, anche per le resistenze forti, nel clero e soprattutto nei politici di rango da quelle parti, in specie un trio famoso dell’allora partito di governo: Gaspari, Natali, D’Antoni.

E infatti durò poco. Prima a Loreto, poi a Sotto il Monte, fino ad oggi. Agli amici, da sempre, un pieghevole a fine anno: documenti, ricordi, preghiere…Fino al 2009! Per caso ritrovo l’ultimo, con data “Die 24 Decembris MMIX”. Consuete 8 facciate. Sulla prima la pacificante immagine: “Benignitas et Humanitas” di Papa Giovanni, poi una pagina su “Cristo è dono” e 4 su “Tantum Aurora est…Sull’ultima con sorpresa questo titolo: “FARE AMICIZIA CON LA MORTE”. Una lunga citazione del 2007: aveva rilasciato una intervista al settimanale catalano “El Ciervo”, e aveva risposto ampiamente alla domanda “Come vede la sua morte”.

Eccone alcuni brani, che già allora parlano di questo “oggi” misterioso in cui l’aurora e il tramonto cedono il posto alla Luce totale: «L’Angelo della morte mi sta appresso da sempre, e non è uno scheletro con la falce in mano: è un raggio di luce che squarcia le tenebre. La mia ora non può tardare. Ci penso ogni giorno, talvolta con un pizzico di malinconia, e mi dispongo al giudizio senza presunzione e senza timore. Non sono così stolto da ritenermi un giusto. Conosco quanto basta il consuntivo finale. Ripeto sovente: “Ho terminato la corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede” 2Tm. 4,7 (…) Nutro fiducia sulle sorti del pianeta Terra. Continuo a proporre attenuanti alle colpe dell’umanità, non per inclinazione al vituperato buonismo, ma per dovere di giustizia temperata dalla misericordia. Sul dipartirmi dal mio amato romitorio e dalle persone care mi investe l’infiammato amore di San Francesco per tutte le creature: “Vorrei condurvi tutti in Paradiso”; e mi conferma nella fede il credo di Papa Giovanni.

“La mia giornata terrena finisce, ma il Cristo vive e la sua Chiesa ne continua l’opera nel tempo e nello spazio”». Segue questa finale che parla dell’oggi: «Vedo nitidamente la sosta di alcune ore del mio frale sul pavimento della cappella di Camaitino e la messa con un solo celebrante, senza alcun altro orpello, né suono di campane, il silenzioso percorso verso il solatio e spoglio cimitero montanaro; vedo la bara scendere nella nuda terra e sento le voci degli accompagnatori dirmi piamente addio col volto rigato dalle lacrime e il sorriso sulle labbra, consapevoli che tutto è bello e nuovo nel fulgore del Risorto. Tutto è grazia. +Loris Francesco Capovilla, 24/XII/2009 A.D». Lui vedeva: un solo celebrante, nessun orpello, né suono di campane…Era il 2009: la “nitidezza” non era possibile. Poi tante cose, anche per lui, e il dono che «è Cristo» gli ha donato il segnale, rosso del colore del sangue, della testimonianza fino alla fine di un “servo” del Vangelo, in perpetua “uscita” verso tutti, a cominciare dai più lontani, e senza offesa per i vicini, salvo che qualcuno sentendosi vicino voglia atteggiarsi a padrone del Regno la cui legge suprema è la “salvezza” e il nucleo reale è quel “Lo avete fatto a me!” di Matteo 25. È proprio così: Addio! Carissimo don Loris!

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