Dopo sette anni per ordine superiore l’arcivescovo, spinto da tanti benpensanti, anche e soprattutto “devoti”, lo confina in un paesino di montagna, Barbiana: 100 abitanti, sparsi tra i boschi. Lui insiste e fa il prete anche, e, soprattutto, facendo scuola popolare, 365 giorni all’anno, 12 ore al giorno. Nel 1958 pubblica un libro che fa scalpore, “Esperienze Pastorali”. Il vescovo di Camerino, Frattegiani, che gli ha fatto la prefazione, viene deposto e inviato a Roma, e il libro viene messo all’Indice. Di lui ne dicono tante, anche calunnie, e perciò perfino Papa Giovanni lo giudica un po’ sconsiderato… Lui continua, a Barbiana: nel 1965 scrive una lettera ai cappellani militari, ricordando Gesù non violento e difendendo l’obiezione di coscienza. Lo processano al Tribunale di Stato. Con i suoi ragazzi, nel 1967 scrive un’altra lettera, “A una professoressa”. La pubblica a maggio, ma il 26 giugno muore di cancro. Pare tutto finito. E invece comincia allora. Capitò, 2000 anni orsono, anche a un Altro. Arriva il ’68 e tanti parlano di lui: biografie, antologie, discussioni, tesi di laurea… Fino ad oggi.
Qual è stato il suo segreto? Chissà…Cultura raffinata, ma messa al servizio della gente, rigore critico e autocritico, ma costruttivo, coerenza assoluta, limpidezza toscana e cristiana evangelica, integrità di convinzioni e una lingua tagliente come poche, capace di tradurre emozioni e comunicare idee contagiose. Hanno detto che la sua pedagogia era superata, ma le poche riforme positive che sono state fatte, nella scuola, hanno camminato sulle sue piste. È superata la sua lotta per liberare i poveri dalla sottomissione, prima culturale e poi tutto il resto? Oggi il 10% della popolazione possiede il 90% delle risorse, il 99% dei media, utilizza per sé il 95% dell’informazione e controlla il 100% del potere. È stato non violento, ma con la pazienza insieme dolce e terribile di chi semina speranza dove nessuno l’ha mai piantata. E’ stato uno di quelli, pochi, che hanno vissuto solo per rovesciare il mondo perché sia la casa di tutti gli uomini liberi, schiena dritta e fronte alta: di fronte agli altri e anche di fronte a Dio, che ne è contentissimo. Il suo segreto lo ha indicato lui: aver scoperto in tutti e in ciascuno Gesù Cristo vivo.
Prete, soprattutto prete di Gesù Cristo, e così anche maestro, intellettuale, tenero e paterno, pur sempre esigente e autorevole con i piccoli, pericoloso agitatore per i potenti e soddisfatti, nemico implacabile di tutti i tartufismi disposti ai compromessi, e dei carrieristi, ecclesiastici e laici. Ha preso sul serio il Vangelo e la sua Chiesa, mai il sistema clericale, che nei fatti lo ha sbattuto a Barbiana fino alla fine. Lì trovò i suoi ragazzi, inventò la sua scuola, fece il maestro e il prete fino in fondo. Come pochi, imitò Cristo povero, e maestro vero. Quando morì parvero vincere i suoi carnefici, di mondo e di Chiesa. Ma Dio gioca come vuole. Dieci anni dopo il giornale dei cattolici italiani lo commemorava con onore, e in quello stesso giorno, 25 giugno 1977, quasi un messaggio implicito, e nella stessa pagina annunciava che il cardinale Florit, che certamente non lo aveva capito, lasciava Firenze per limiti di età. Giovanni Battista Montini, pur da lontano, aveva stimato e aiutato don Lorenzo, anche concretamente. Ecco il poi: quasi 40 anni dopo il cardinale arcivescovo di Firenze, Piovanelli, suo compagno di scuola, dice che don Milani è “una gloria della Chiesa fiorentina”.
Se qualcuno pensa e dice che è superato vada a rileggersi i suoi scritti, che continuano ad uscire, o la sua splendida biografia, “Dalla parte dell’ultimo”, di Neera Fallaci, della Rizzoli. Se insiste ancora, vuol dire che ha qualche cosa da nascondere: i sassi fanno male, soprattutto se a tirarli dritti è un prete toscano che ha amato sopra ogni cosa Dio e i suoi ragazzi alla pari. Papa Francesco, in mezzo alla gente e ai piccoli ha qualcosa che pare venire anche da lui. Certo il suo modo di essere prete è stato “in uscita” verso gli ultimi. Certo il nucleo teologale della sua vita di prete è stato “l’avete fatto a me” di Matteo 25. Certo il Regno dei Cieli lo ha vissuto già in terra, Don Lorenzo Milani. Difficile che lo facciano “santo”, quaggiù: troppo ingombrante e forse ancora troppo vicino, ma capita a molti, leggendo la sua “lettera a Pipetta”, che non si riesca a finire senza qualche lacrima… Provare per credere!