La crisi e l’aridità costituiscono un momento di verifica del cammino spirituale finora intrapreso, ed anche la presa di coscienza di una profonda verità, che cioè la realtà di Dio, resta un mistero reale e sfuggente non riducibile alle nostre suggestioni. Contrariamente a quanto riteneva un filosofo ateo (Feuerbach) la vita spirituale non è proiezione dei propri bisogni interiori; se fosse così sapremmo sempre condurla a nostro piacimento e la crisi non ci toccherebbe mai. L’aridità ed il buio invece mettono a confronto con il mistero di Dio che non si lascia ridurre ai nostri criteri: «La prova migliore che si tratta proprio di Dio è che, spesso, egli è assente quando lo cerchiamo e presente quando non lo cerchiamo, o forse, non vogliamo nemmeno che sia presente» (Giovanni della Croce). Per questo non è frutto della nostra immaginazione; in tal dipenderebbe completamente da noi.
Nella vita spirituale il momento di deserto interiore costituisce spesso anche l’invito a passare ad un gradino più alto. Th. Green ha dedicato a questa fase della vita spirituale un libro dal titolo significativo, Quando il pozzo si prosciuga, leggendo il “quando” secondo due modalità differenti. “Quando il pozzo si prosciuga” potrebbe essere reso anzitutto “nell’eventualità che il pozzo si prosciughi” come un imprevisto casuale, ed in questo caso si cercano regole e accorgimenti per affrontare una tale calamità. Il secondo significato, che l’autore predilige e che costituisce il filo conduttore del libro, è che nel cammino con il Signore per forza di cose ad un certo punto il proprio pozzo si prosciugherà, e a questo momento ci si deve preparare, per essere pronti a ricevere un’altra acqua di vita, donata da Lui. L’aridità è l’invito di Dio a «passare più avanti», per riprendere la parabola evangelica (Lc 14,10); Egli scuote con ciò la nostra pigrizia, che farebbe volentieri il nido nella tappa raggiunta, e toglie le consolazioni che caratterizzavano quel gradino della vita spirituale. Lasciando quel posto ci si può introdurre in una comunione più profonda con Lui: «Dio può permettere, per motivi che Egli solo conosce e sempre per il nostro maggior bene, che il pozzo sia secco. Ma Egli è tanto buono, che facendo noi il nostro dovere di solerti giardinieri, manterrà i fiori anche senza il soccorso dell’acqua e farà crescere le virtù» (Teresa d’Avila).
Questo è dunque il criterio: non si tratta di autocommiserarsi per la mancanza di acqua, ma preoccuparsi delle virtù, sono esse a costituire il frutto e la verifica della vita spirituale. Se le virtù fioriscono, vuol dire che la preghiera va bene, anche se attraversa aridità e desolazioni. Quando il cammino è posto nella verità di una relazione autentica e concreta:
- Il senso di inadeguatezza può aprirsi al riconoscimento sincero dei limiti personali e diventare perciò momento di riconciliazione più generale con la propria fragilità.
- La propria sofferenza può diventare possibilità di vicinanza con il dolore che si nota attorno a sé; in altre parole si impara a diventare tolleranti con le fragilità ed i limiti degli altri, proprio perché si è imparato ad essere tolleranti con se stessi.
- La solitudine può diventare opportunità di un rapporto più intimo e personale con la persona di Gesù Cristo sentendosi, come Lui, sempre più parte di un progetto più grande, anche nel momento della prova.
Circa le difficoltà particolari che si presentano in un certo periodo della vita può risultare di aiuto:
- Riconoscere a quale livello potrebbe trovarsi la causa della propria situazione, se si tratta di stanchezza fisico - psicologica oppure spirituale.
- Va poi considerato il modo con cui la persona sta gestendo tutto ciò, se in fondo ha il coraggio di affrontare il problema o se sta cercando motivi per fuggire.
- Cercare di individuare alcune prospettive nuove che aiutino a ridurre o eliminare la forza di quei conflitti, di quelle asperità interiori che provocano uno spreco di energie vitali.
[per un approfondimento cfr G. Cucci, La forza dalla debolezza, Adp, cap. V]