Alcune ricerche condotte in questo senso hanno mostrato come la crisi possa diventare una ricchezza inattesa nel momento in cui ci si “arrende” ad accoglierla, accettando di lasciare l’aspetto efficiente ma forse anche più superficiale della vita, e accogliendo quello che conta davvero. Sembrerebbe una cosa idealista, eppure è quanto emerge dal percorso compiuto da più di 500 handicappati nelle loro biografie.
Chi non è mai stato colpito da handicap o da incidenti gravi può forse riuscire ad evitare situazioni tragiche o comunque drammatiche; chi è pesantemente segnato dalla sofferenza si trova invece tale interrogativo riproposto per tutto il giorno: 24 ore su 24 è costretto a confrontarsi con la crisi, con il vuoto di senso, e a cercare di elaborarlo. Le fasi evidenziate nel corso di questa ricerca hanno e non hanno una loro logica interna. Hanno una logica perché tutte le vicende pur caratterizzate da una estrema varietà passavano attraverso precisi “stadi”, mostrando come un percorso di fondo che le accomuna.
D’altro lato non era presente una logica perché il passaggio da uno stadio all’altro non costituiva una necessità, molti si fermavano al primo, oppure arrivati più avanti ad un certo punto regredivano ai livelli inferiori; non era possibile né prevedere né indicare perché, ad un certo punto, la persona passasse alla fase successiva. Infine, e questo forse è il punto che colpisce di più, nonostante il progredire degli stadi del cammino, il problema scatenante restava immutato, anzi spesso peggiorava, non era possibile alcuna sua “soluzione”. La cosa più importante in queste fasi, e che faceva realmente la differenza, è che la persona non si isoli chiudendosi nei propri pensieri, alimentando la fiducia ed il confronto: «Nonostante tutto, parlare della situazione reale costituisce un aiuto illuminante, in quanto mette in relazione la constatazione razionale e lo stato emotivo.
Qui la disponibilità di chi è colpito rappresenta una premessa decisiva: egli deve inviare il segnale di voler parlare; solo così è possibile la scoperta personale della verità» (Schuchardt). Questo accompagnamento è prezioso soprattutto quando emerge la rabbia e la protesta nei confronti di quanto accaduto: l’aggressività può esplodere all’improvviso nella maniera più inaspettata e sorprendente ed avere perciò con facilità esiti drammatici ed imprevedibili, fino alla tragica conclusione con il suicidio. In questo passaggio delicato è ancora più decisivo che la persona non sia lasciata sola, se essa trova un riscontro anche aggressivo verso qualcuno ciò può aiutarla ad elaborarlo con più efficacia, senza scandalizzarsene o spaventarsi di questa reazione, che può invece condurre a esiti differenti. Come nota san Tommaso la rabbia è anzitutto un grido di vita, di forza, è il fondamento della speranza. Per questo l’aggressività non va mai spenta, essa va piuttosto ascoltata e integrata con gli altri aspetti dell’esistenza della persona.