Santità è una parola impegnativa, suscita timore, perché la consideriamo come un’eroica conquista, un trofeo che, a fine vita, ci onorerà di una dignità eccellente.
Per tutti i battezzati la santità è pane quotidiano, è un integratore di energie alla portata di tutti i cristiani e Dio è contento nel veder crescere la misura di quel “di più di positivo” che riusciamo a far maturare nella nostra fragilità.
La resurrezione di Gesù è il grembo dell’immortalità innestata sulla gracile carne umana che, nel tempo della vita, consuma i suoi giorni alla ricerca del volto di Dio che risplende in pienezza nella luminosa figura di Gesù risorto.
La speranza cristiana non è solo l’auspicio che i desideri di immortalità che portiamo nell’anima si avverino, ma è constatare che queste aspirazione hanno il marchio di garanzia. Papa Francesco in una sua catechesi ha affermato che «La speranza cristiana è l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto». La risurrezione di Gesù, infatti, ha aperto un passaggio sul panorama dell’immortalità. La porta sull’infinito è aperta e ci aspetta.
A questo proposito il Papa si interrogava sul “che fare” per raggiungere la porta. La risposta è stata: «Camminare verso la porta! Sono sicuro che arriverò alla porta. Così è la speranza cristiana: avere la certezza che io sto in cammino verso qualcosa che è, non la voglia che così sia. Questa è la speranza cristiana. La speranza cristiana è l’attesa di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi».
Questa “balia” che ci allatta con i germi della risurrezione, è il sostentamento che ha nutrito e fatto maturare i frutti di cui già godono le persone defunte a noi care.
Per fede noi professiamo che la nostra risurrezione e quella dei cari defunti è stata inaugurata nel giorno della Pasqua di Gesù: il suo passaggio dalla morte alla vita. Ormai la storia ha registrato questo evento e tutta la creazione è attraversata da un sussulto di risurrezione. San Paolo nella lettera ai cristiani di Roma dice che «tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo. Ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli e la redenzione del nostro corpo».
Questo parto nell’immortalità non è una probabilità auspicabile ma è una realtà certa, garantita dalla risurrezione di Cristo.
Sperare, quindi, significa ascoltare i molteplici toni di voce dello Spirito, imparare a vivere l’attesa, come la maternità in una donna incita a sentire crescere nel grembo della vita questa insopprimibile nostalgia di vita perenne. Il messaggio è: imparare a vivere nell’attesa e così trovare la pienezza della vita.
Parlare di speranza e di immortalità in tempi come i nostri carichi di tensioni, di rabbia, d’insoddisfazioni, inondati di sconfitte, di speranze deluse sembra di seminare parole vuote sulla frontiera di illusioni.
Sappiamo che la speranza cristiana ha un passato; è stata una sorgente di energia e di forza per lottare; ha un futuro da sognare e progettare, ma soprattutto ha un presente da vivere, scegliendo dal granaio semi fecondi di opportunità. I semi del possibile per diventare sorgente per una vita donata e accolta.
Ogni persona illuminata dalla speranza, che non delude, possiede un oceano di occasioni che attendono cuori generosi per raccogliere e donare alle future generazioni frutti saporosi.