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Mercoledì, 29 Marzo 2017 11:51

Il sepolcro vuoto è culla della speranza

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Aprile: mese della Pasqua

di Mario Carrera

«La speranza è la balia della vita cristiana». Mi piace questa definizione perché sono persuaso che  la fede e la carità ricevono linfa ed energia per offrire alla nostra carne mortale un frammento di eternità attorno al quale costruire un’esistenza come persone libere dalle molteplici schiavitù che attentano la vita. Le nostre schiavitù non portano le catene ma sottili e invisibili fili che mortificano le qualità grandi presenti in ogni vita. Per la nostra fede Cristo, il risorto, è il vincitore non solo della morte fisica ma di tutti i condizionamenti che  appesantiscono il cammino della santità.

Santità è una parola impegnativa, suscita timore, perché la consideriamo come un’eroica conquista, un trofeo che, a fine vita,  ci onorerà di una dignità eccellente.

Per tutti i battezzati la santità è pane quotidiano, è un integratore  di energie alla portata di tutti i cristiani e Dio è contento nel veder crescere la misura di quel “di più di positivo” che riusciamo a far maturare  nella nostra fragilità.

La resurrezione di Gesù è il grembo dell’immortalità innestata sulla gracile carne umana che, nel tempo della vita, consuma i suoi giorni alla ricerca del volto di Dio che risplende in pienezza nella luminosa figura di Gesù risorto.

La speranza cristiana non è solo l’auspicio che i desideri di immortalità che portiamo nell’anima si avverino, ma è constatare che queste aspirazione hanno il marchio di garanzia. Papa Francesco in una sua catechesi ha affermato che «La speranza cristiana è l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto». La risurrezione di Gesù, infatti, ha aperto un passaggio sul panorama dell’immortalità. La porta sull’infinito è aperta e ci aspetta. 

A questo proposito il Papa si interrogava sul “che fare” per raggiungere la porta. La risposta è stata: «Camminare verso la porta! Sono sicuro che arriverò alla porta. Così è la speranza cristiana: avere la certezza che io sto in cammino verso qualcosa che è, non  la voglia che così sia. Questa è la speranza cristiana. La speranza cristiana è l’attesa di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi».  

Questa “balia” che ci allatta con i germi della risurrezione, è il sostentamento che ha nutrito e fatto maturare i frutti di cui già godono le persone defunte a noi care.  

Per fede noi professiamo che la nostra risurrezione e quella dei cari defunti è stata inaugurata nel giorno della Pasqua di Gesù: il suo passaggio dalla morte alla vita.  Ormai la storia ha registrato questo evento e tutta la creazione è attraversata da un sussulto di risurrezione. San Paolo nella lettera ai cristiani di Roma dice che «tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo. Ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli e la redenzione del nostro corpo».  

Questo parto nell’immortalità  non è una probabilità auspicabile ma è una realtà certa, garantita dalla risurrezione di Cristo. 

Sperare, quindi, significa ascoltare i molteplici toni di voce dello Spirito, imparare a vivere l’attesa, come la maternità  in una donna incita a sentire crescere nel grembo della vita questa insopprimibile nostalgia di vita perenne. Il messaggio è: imparare a vivere nell’attesa e così trovare la pienezza della vita. 

 Parlare di speranza e di immortalità in tempi come i nostri carichi di tensioni, di rabbia, d’insoddisfazioni, inondati di sconfitte, di speranze deluse  sembra di seminare parole vuote sulla frontiera di illusioni.

Sappiamo che la speranza cristiana ha un passato; è stata una sorgente di energia e di forza per lottare; ha un futuro da sognare e progettare, ma soprattutto ha un presente da vivere, scegliendo dal granaio semi fecondi di opportunità. I semi del possibile per diventare sorgente per una vita donata e accolta. 

Ogni persona illuminata dalla speranza, che non delude, possiede un oceano di occasioni che attendono cuori generosi per raccogliere e donare  alle future generazioni frutti saporosi. 

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