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Mercoledì, 10 Giugno 2015 14:32

L'attività umana collaborazione con Dio

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La "Gaudium et Spes"

di Madre Anna Maria Cánopi

 

«Con il suo lavoro e con il suo ingegno l’uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita, ma… molti beni, che un tempo l’uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze» (n. 33). Affrontando il tema dell’attività umana, la costituzione conciliare Gaudium et Spes sottolinea la presenza di una contrapposizione nel modo di concepire e vivere il lavoro che, nell’età contemporanea, si è venuta accentuando e radicalizzando; una contrapposizione che richiama da vicino la dolorosa realtà del peccato originale.

Creato per essere cooperatore di Dio, anche nel lavoro l’uomo tenta, spinto dall’orgoglio e sedotto dalla sete del potere, di diventare autonomo da Dio e arbitro di se stesso. Di conseguenza, si spezzano facilmente anche i legami di amicizia con gli altri esseri umani e con lo stesso creato. Alla contrapposizione fondamentale segnalata dalla Gaudium et Spes, altre ne sono seguite con esiti non meno drammatici: la contrapposizione tra una sfacciata opulenza e una miserabile povertà, tra il superattivismo e la disoccupazione, un avanzatissimo progresso tecnologico e un barbaro sfruttamento del creato. Tutto questo causa inevitabilmente i gravi scompensi e i disagi sociali e ambientali di cui tutti siamo attoniti spettatori… Di fronte a tale situazione anche noi – come i padri conciliari – sentiamo sorgere dal profondo del cuore tanti interrogativi e ci domandiamo qual è il senso e il valore dell’attività umana (cf. GS 33).

Cercando una risposta che, seppure non esaustiva, possa almeno toccare il centro di una tematica tanto ampia e importante per l’uomo, il mio pensiero corre subito a san Benedetto e vorrei ricordare un episodio significativo della sua vita. Restituendo a un suo monaco il falcetto miracolosamente ricuperato dalle acque del lago in cui era caduto, gli disse: «Lavora e sta’ contento». Questo fatto narrato da san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (II, 6) rivela il concetto elevato che Benedetto aveva del lavoro per la vita dell’uomo. Esso è certamente innanzitutto un rimedio e una prevenzione contro i mali dell’anima e anche un mezzo onesto per guadagnarsi da vivere; perciò molto grave è la piaga sociale della disoccupazione che può giungere ad esasperare un uomo.

Tuttavia, il lavoro ha pure un valore positivo che non può essere dimenticato. Infatti, l’uomo, dotato di intelligenza e di creatività, nel lavoro esercita le sue facoltà e realizza la sua vocazione di cooperatore dell’opera creatrice e redentrice di Dio, dando «un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia» (GS 34). Inoltre, l’uomo non lavora solo per procurarsi quanto occorre per la sopravvivenza, ma anche per produrre ciò che rende decoroso l’ambiente in cui vive. Rientra nel lavoro, infatti, anche tutta l’attività artigianale e artistica. Nel lavoro l’uomo imita il Creatore che ha profuso nell’universo con gratuità un riflesso della sua bellezza. E questo forma in lui una mentalità nuova – una “cultura” nuova – non materialista o pragmatista ed egoista, ma aperta, attenta alla realtà, rispettosa degli altri, della storia, della natura, delle esigenze più profonde del cuore umano.

L’aspetto più importante del lavoro umano è, però, la solidarietà fraterna che esso esprime e suscita. Lavorare insieme fa comunione, educa alla socialità e alla generosità nel sostenersi a vicenda, specialmente quando il lavoro comporta fatica e sacrificio. Tutto questo dimostra l’intrinseca positività del lavoro umano. Considerato dal punto di vista cristiano, poi, esso acquista un valore ancor più profondo. Compiuto non per il guadagno o per un prestigio personale, ma in spirito di servizio a Dio e al prossimo, il lavoro diventa in certo modo un atto di culto, una liturgia. San Benedetto lo definisce opus manuum in correlazione con la preghiera che è Opus Dei. Il modello perfetto di una vita orante e operante è lo stesso Figlio di Dio: Egli si è incarnato in una situazione di povertà; accanto a Maria e a Giuseppe ha lavorato fino all’età di trent’anni come semplice carpentiere: tutto questo era già opera di redenzione, faceva già parte della sua missione non meno della sua successiva attività di Maestro dedito alla formazione dei discepoli e all’annunzio del Regno.

Nell’umile e duro lavoro, Gesù si preparò a portare la croce sulla quale avrebbe interamente consumato la sua giovane vita. È bello pensare che nel fanciullo obbediente a Maria e a Giuseppe c’era già il sì del Figlio obbediente per amore al Padre celeste fino all’immolazione (cf. GS 38). Per amore: questo è il segreto del valore di qualunque attività. La stessa azione compiuta con o senza amore cambia completamente. Reca gioia a se stessi e agli altri, se si ama; è di peso e fonte di tristezza e di noia, se non si ama. «Coloro pertanto che credono alla carità divina – dice ancora il testo conciliare – sono da Cristo resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani. Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita».

Durante la sua vita pubblica Gesù ha esplicitamente detto: «Io sono venuto per servire…» (cf. Mt 20,28) e proprio nell’umile servizio faceva consistere il cuore della sua missione. Cristianamente inteso, il lavoro è missione e deve essere perciò vissuto con matura responsabilità, con amore oblativo e con giusto equilibrio, evitando quegli eccessi che lo rendono opprimente, anziché grato e lieto servizio al Signore e ai fratelli. Occorre una saggia discrezione, in modo che le attività delle mani e quelle dello spirito si armonizzino: esse sono complementari e solo nella loro armonia c’è vera promozione dell’uomo, sia in vista della sua esistenza terrena che del suo destino eterno. Come dice ancora il documento conciliare: «Benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, è di grande importanza per il regno di Dio.

Infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» (n. 39).

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