Varie ricerche sociologiche ci mostrano che, se all’inizio degli anni 2000 il 70-80% dei giovani si dichiarava cattolico, negli ultimi anni la percentuale è scesa al 50% e in alcune aree del nord del Paese anche sotto questa quota. Oggi. dunque, circa il 50% di adolescenti e giovani si dicono cattolici. Circa il 25% è ateo o agnostico, e circa il 25% si dichiara cristiano senza altra specificazione oppure credente in un’entità trascendente. Lo scenario che ci si presenta è molto diverso rispetto agli ultimi decenni. In questa società liquida, per dirla con Zygmunt Bauman, anche la credenza religiosa è sempre più indefinita e la tentazione a cui cedono molti giovani è quella di costruirsi una religione “fai da te”, a proprio uso e consumo. Infatti, anche quando si dialoga con loro riguardo la pratica religiosa, affermano di fare molta difficoltà a partecipare ad esempio alla messa domenicale. L’allontanamento dalla vita sacramentale subisce un’accelerazione dopo i 15 anni con la celebrazione della Cresima, ribattezzata da qualcuno “il sacramento dell’addio”. Eppure, più di un terzo di loro afferma di pregare individualmente, in alcuni momenti della giornata, anche se parliamo spesso di una preghiera che esula dai “canoni tradizionali”. Lo spazio e il tempo che in passato era dedicato all’esperienza religiosa tradizionale oggi sembra appannaggio di nuove forme di “religiosità”. Pensiamo alla venerazione che i giovani hanno spesso per uno sport, un hobby, un’idea, uno stile di vita o nei confronti di personalità di spicco.
C’è poi, però, una fase della giovinezza (di solito dopo i 20 anni) che segna spesso un riavvicinamento. “A volte ritornano” potremmo dire, proprio perché per vari motivi sempre più giovani si avvicinano a quella fede abbandonata da adolescenti. Qualche seme, gettato in precedenza da genitori, catechisti, animatori, d’un tratto sembra germinare, con l’aiuto di varie mediazioni (amici, partner, colleghi, cammini di fede attraenti, volontariato, esperienza del limite e della propria fragilità). Un aspetto positivo riscontrato è comunque la presenza nella quasi totalità dei giovani di un atteggiamento profondamento riflessivo, fatto di dubbi e interrogativi. Dove ci sono domande, allora è possibile dare risposte. Su questa inquietudine bisogna far leva. Il cammino di fede dei giovani non si presenta più “lineare” come una volta, ma è fatto da alti e bassi, abbandoni e ritorni. Di conseguenza, tutti coloro che operano nella pastorale e a servizio di essa, ma anche chiunque abbia a cuore il futuro dei giovani, deve operare per intercettare le loro domande. C’è una grande ricchezza nel cuore e nella mente dei giovani, c’è tanta voglia di impegno e di solidarietà, desiderio di radicalità e di una vita senza compromessi. Questo allora il punto da cui ripartire, perché la fede possa rinascere nel vissuto dei giovani e trasformarlo dal di dentro. Che fede è, infatti, se non incide nella vita e non ne permea le scelte? E forse sta proprio qui la chiave perché, a sentir parlare i giovani di oggi, se c’è una parola che proprio non collima con la loro fede è “abitudine”. Loro, i millenials (come vengono chiamati), vogliono scegliere e se si lanciano in un cammino lo fanno perché ci credono veramente. C’è da sperare allora, anche se certamente non si potrà ritornare al tempo passato. Ma forse è meglio così, nella consapevolezza che i giovani credono ancora, ma tocca agli adulti individuare nuove strade per saper intercettare i loro bisogni e i loro desideri. Come prima? Più di prima? Poco importa, purché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza!