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Sabato, 04 Marzo 2017 14:17

Una “porpora”a servizio del bene della gente comune

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Il cardinal Piovanelli

di Antonio Lovascio

L’amore  e la cura per gli anziani, la venerazione per i genitori, una famiglia contadina  dell’alto Mugello. L’attenzione per i poveri e per gli emarginati condivisa con La Pira, un impegno missionario senza confini. C’è molto del carisma guanelliano nella figura del card. Silvano Piovanelli, così come ci viene riproposta a pochi mesi dalla morte (9 luglio) nell’ultima intervista, contestualizzata nella biografia “Il parroco cardinale”, scritta da Marcello Mancini e Giovanni Pallanti per le Edizioni San Paolo con la prefazione del segretario mons. Luigi Innocenti. Che racconta cosa gli bisbigliò all’orecchio Papa Francesco il 21 febbraio 2014, giorno in cui aveva invitato Piovanelli per il suo novantesimo compleanno a concelebrare la Messa in Santa Marta: «Sei un uomo fortunato.

Il cardinale Silvano è veramente un uomo di Dio, un uomo buono». Dalle 19 agende (1996-2015) con gli appuntamenti del Vescovo, don Luigi ha riesumato tracce sugli “incontri del venerdì”, senza preavviso, con i preti. Sulle visite di personaggi come Madre Teresa di Calcutta, monsignor Camara, Arafat,  Walesa, Gorbaciov, Corazon Aquino, di artisti del cinema come Benigni e Zeffirelli. Sul percorso di accostamento alla fede dello scrittore Giorgio Saviane, che, ultraottantenne, volle fosse proprio “don Silvano” a prepararlo alla Cresima, ricevuta una mattina presto nella cappella privata dell’arcivescovado. 

Uomo del dialogo, che Giovanni Benelli scelse come suo primo collaboratore fin dal 1979, due anni dopo il suo arrivo a Firenze. Piovanelli, affiancando il Cardinale nella Visita Pastorale incominciò a ripetere: «Dobbiamo camminare insieme». Sempre pronto a confrontarsi con le Istituzioni, ha creduto che la Comunicazione sociale fosse «un momento privilegiato per trasmettere i messaggi umani e cristiani che contano». Per questo - realizzando un progetto di Benelli – nel 1983 fondò il settimanale “ToscanaOggi” affidandone la direzione al prof. Alberto Migone (un caporedattore generoso ed illuminato come don Mario Carrera trasformò poi un gruppo di giovani in un vero e proprio laboratorio giornalistico) e successivamente incoraggiò la nascita di Radio Toscana. «Un padre e un fratello per tutti, un prete povero e umile, promotore di comunione e di pace», come lo ha definito l’attuale arcivescovo di Firenze cardinale Giuseppe Betori. 

Le opere di Misericordia e di Carità sono sempre state i «cardini» della sua vita sacerdotale ed episcopale. Mi ricordo che in pieno Sessantotto, durante la vicenda dell'Isolotto nella quale ebbe un ruolo di “mediazione”, quando dalla Redazione fiorentina di “Avvenire” lo cercavo telefonicamente nella canonica di Santa Verdiana a Castelfiorentino per sapere se fosse ancora possibile ricucire lo strappo (purtroppo mai rimediato) tra il cardinale Florit e la comunità di don Mazzi, il più delle volte mi sentivo rispondere: «Il proposto è a far visita ai malati della Casa di riposo»  Quotidianamente portava loro il conforto della Comunione!  

Già molto prima dell’avvento di Papa Francesco aveva imparato «a vivere in mezzo alla gente». Con don Facibeni nel quartiere operaio di Rifredi; ma soprattutto nei 19 anni intensamente passati in Valdelsa, una “periferia” agricola contrassegnata da un difficile clima politico e sociale: lì certo non mancavano “mangiapreti”. «Fare il parroco - ha sottolineato nell’intervista  - aiuta enormemente anche a fare il vescovo. Per me è stata una cattedra importante: il contatto con i fedeli, la scoperta quotidiana di tanta gente buona e santa. Con testimonianze confortanti anche da chi era lontano e non frequentava la chiesa».

Stile assorbito da una straordinaria formazione spirituale e biblica acquisita non nelle aule accademiche, ma da Maestri come il  Card. Dalla Costa - che l’ha ordinato presbitero - e monsignor Enrico Bartoletti, di cui è stato vicerettore al Seminario minore; ai quali va il merito di aver illuminato una ricca “costellazione” di sacerdoti: don Lorenzo Milani compagno di ordinazione, don Renzo Rossi, don Danilo Cubattoli, don Averardo Dini. Piovanelli era molto legato a queste figure, ma guardava con fiducia ai preti più giovani, incoraggiandoli nel loro servizio. Li trattava come fratelli. Come emerge dalla biografia-intervista di Mancini e Pallanti, che oltre al testamento spirituale propone alcune lettere inedite, tra cui quelle di don Milani, che aiutano a cogliere nella sua pienezza lo spessore del priore di Barbiana.

Giustamente nella narrazione dei 18 anni di attività episcopale di Piovanelli (1983-2001) viene evocato il Sinodo diocesano: ha segnato davvero un cambiamento nella storia della Chiesa fiorentina, con le numerose iniziative pastorali, culturali e caritative tuttora vive, a partire dalla Catechesi aperta anche all’Arte e dalla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale creata per elevare la preparazione del clero e formare laici. Grande curatore d’anime,  anche dopo aver lasciato la guida dell’Arcidiocesi (2001) ha saputo immergersi nella modernità raccogliendo le sfide tecnologiche del nostro tempo. Per questo veniva chiamato dai vaticanisti “il cardinale che usa power point”: teneva conferenze ed esercizi servendosi di slides e fino alla primavera scorsa dal suo computer inviava personalmente a suore di clausura, Istituti religiosi, parroci, amici di tutta Italia le sue meditazioni domenicali. Apprezzate come quelle del cardinale Martini, suo prezioso ed esemplare punto di riferimento. Don Silvano e padre Carlo Maria accomunati pure dall’ultimo desiderio: «Voglio essere ricordato come un prete».

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