Oggi, 3 ottobre, il condottiero del nuovo popolo di Dio, il successore di Pietro, papa Francesco, ha convocato da ogni parte del mondo i vescovi perché ascoltassero le istanze delle nuove generazioni in una stagione di un forte cambiamento di epoca o un’epoca di forti cambiamenti e insieme alla luce dello Spirito, indicare i percorsi per raggiungere la terra promessa da Dio, in cui si saranno cieli nuovi e terra nuova, che non nasceranno per magia, ma per un cammino guidato dallo Spirito e costruito con le mani di uomini e donne. I giovani, abitanti del futuro con i loro pensieri e le loro speranze, sono forniti di un’energia spirituale che solo i giovani riescono a intuire, percepire e vivere. Questa rinnovata pentecoste ha bisogno di essere rimodellata ad immagine della Pentecoste, avvenuta cinquanta giorni dopo la risurrezione di Gesù nel cenacolo, il luogo dove Gesù ha consegnato alla Chiesa il modello di ogni eucaristia dove si impara a donare se stessi con amore per far crescere e maturare la redenzione nata dall’amore di Cristo per ogni creatura umana.
Oggi papa Francesco e i vescovi hanno invocato la luce dello Spirito Santo e sabato prossimo il Papa ancora con i giovani per aprire insieme lo scenario sulle loro attese, le loro istanze e quelle dei mondo d’oggi.
Infatti sabato prossimo alle ore 17 papa Francesco desidera vedere i giovani nell’aula Paolo VI per ampliare gli orizzonti e dare inizio al raduno in cui ci si possa guardare negli occhi ed esprimere le proprie aspettative e speranze, come pure le loro istanze e le esigenze.
Preghiera per un impegno pastorale nelle nostre realtà Ecclesiali.
Signore Gesù, Salvatore del mondo, in questo momento di preghiera siamo davanti a te sostenuti dalla tua famiglia terrena, Maria e Giuseppe, e convocati dalla tua parola, catturati dalla tua voce e conquistati dal tuo amore…
Proprio nella festa di san Giuseppe, lo scorso marzo, c’era già stato un incontro con i giovani, ma papa Francesco ha manifestato il desiderio di mantenere i giovani al centro delle attenzioni materne della Chiesa come autentici protagonisti della storia futura e, in questo momento, collaboratori dei vescovi presenti al Sinodo in un dialogo costante insieme ai Padri sinodali, per ascoltarli e accogliere le loro proposte che potranno confluire nel Documento finale del Sinodo stesso in cui sarà espressa la direzione di marcia per la costruzione del regno dell’amore e della giustizia.
È ammirevole come il Papa rilancia costantemente i ponti per un dialogo serrato e partecipato in cui i giovani in questa circostanza avranno la possibilità di offrire esperienze concrete, circa la loro vita, vissuta nello studio o nel lavoro, i loro sentimenti, come le speranze per il loro futuro e le loro scelta vocazionali nel ventaglio variegato degli stati di vita come la vocazione a formarsi una famiglia, consacrarsi a Dio in una congregazione o istituto religioso oppure sentire e scegliere la vocazione al sacerdozio.
Il titolo conduttore, il principe e l’artefice protagonista del sinodo dei giovani sarà un “Noi” con tre aggettivi assai importanti: noi: “unici, irripetibili, creativi”, unici perché creati ad immagine e somiglianza di Dio, con un inconfondibile DNA; Solidali come le cellule del nostro corpo umano, che agiscono in armonia e a servizio le une alle altre per il bene di tutto organismo; il terzo aggettivo Creativi, riguarda la creatività, che significa essere artisti nel realizzare la propria esistenza umana e spirituale.
Ognuno di noi è stato chiamato alla vita con uno scopo preciso, adeguato ai talenti ricevuti che si sviluppano soprattutto in un atteggiamento di attenzione al mio prossimo e realizza quella creatività che consiste nel saper gestire il nostro tempo, le nostre relazioni in un panorama ampio, dove ognuno ha dei diritti e coltiva degli obblighi.
In quel preambolo del pre-sinodo, un ruolo importante sono state e lo saranno ancora le testimonianze che emergono sullo sfondo della ricerca della propria identità, le relazioni e la vita come servizio e donazione al bene del prossimo.
In questo mese di ottobre al sinodo si udranno tante voce con culture e tradizioni diverse.
La radiografia di questi giovani sarà variegata poiché, nella gran parte, provengono da aree molto secolarizzate. I giovani delegati sono l’eco di un sentire religioso come l’Europa, gli Stati Uniti d’America.
Ci sono giovani che oggi non chiedono nulla alla Chiesa, perché non la ritengono un’interlocutrice significativa per la loro esistenza.
Alcuni, anzi, chiedono, espressamente, di essere lasciati in pace, poiché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante.
Lo strumento di lavoro, presentato lo scorso anno a tutte le diocesi, parlava anche dell’emergere di un nuovo scenario di religiosità, una religiosità poco istituzionalizzata e sempre più ‘liquida’, segnata da una radicale varietà di percorsi individuali anche tra coloro che si dichiarano appartenenti alla stessa confessione religiosa.
Questa varietà di atteggiamenti, questa società fatta come di coriandoli, definita “liquida”, in costante trasformazione come l’acqua di un fiume poiché non appoggia su fondamenta solidi.
Dal sondaggio dello scorso anno risulta che la richiesta dei giovani, molte volte “non nasce da un disprezzo acritico e impulsivo, un po’ spensierato ma è provocato da ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici, su cui i giovani chiedono alla Chiesa di rafforzare la sua politica di tolleranza zero contro gli abusi sessuali all’interno delle proprie istituzioni.
In quel documento di riflessione si notava tre realtà. La 1° l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani; 2° il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; 3° la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea.
Anche quando sono molto critici, in fondo, “i giovani chiedono che la Chiesa sia un’istituzione che brilli per esemplarità, competenza, corresponsabilità e solidità culturale”: una Chiesa “meno istituzionale e più relazionale”, capace di “accogliere senza giudicare previamente”, una Chiesa “amica e prossima”, una comunità ecclesiale che sia “una famiglia dove ci si sente accolti, ascoltati, custoditi e integrati”.
Da qui la necessità di uno stile di dialogo interno ed esterno alla Chiesa per affrontare alcuni nodi del nostro tempo, come il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo della donna nella Chiesa e nella società. Essere realmente a favore dei poveri, avere a cuore la questione ecologica, fare scelte visibili di sobrietà e trasparenza, essere autentica e chiara, e anche audace nel denunciare il male con radicalità non solo nella società civile e nel mondo, ma nella Chiesa stessa, le altre richieste del mondo giovanile alla comunità ecclesiale.
Pausa musicale Emmanuel e la preghiera
Il 14 di questo mese sarà canonizzato Paolo VI che ha molto amato i giovani. Egli con ardore giovanile nella lettera pastorale del 1955 alla Chiesa pellegrina in Milano ha scritto questa preghiera a Cristo Gesù unico necessario per la vita degli uomini.
TU CI SEI NECESSARIO
O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario:
per vivere in Comunione con Dio Padre;
per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi;
per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Tu ci sei necessario,
o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,
per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro,
Per scoprire la nostra miseria e per guarirla;
per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;
per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini,
i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.
Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori,
per conoscere il senso della sofferenza
e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario, o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione,
e per avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per imparare l'amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità,
lungo il cammino della nostra vita faticosa,
fino all'incontro finale con Te amato, con Te atteso,
con Te benedetto nei secoli.
I giovani, come speranza che illumina il futuro, sono sempre stati nel cuore della Chiesa. Nella Chiesa le giovani generazioni sono sempre stati considerati come «la pupilla degli occhi» per guardare con fiducia l’orizzonte del futuro.
La grande assemblea dei vescovi al termine del Concilio Ecumenico Vaticano II - indetto da san Giovanni XXIII e guidato da un altro santo papa Montini- tutti i vescovi del mondo hanno indirizzato a nome di Gesù, «il vivente, l’eternamente giovane» un messaggio carico di affetto, attenzione, fiducia.
In quel messaggio i vescovi dicevano: «È a voi, giovani e fanciulle del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete oppure perirete con essa.
La Chiesa, durante quattro anni del concilio, ha pregato, lavorato, elaborato testi e riflessioni per ringiovanire il proprio volto, per meglio corrispondere al disegno del proprio Fondatore, il grande Vivente, il Cristo eternamente giovane. E al termine di questa imponente «revisione di vita»; essa si volge a voi: è per voi giovani, per voi soprattutto, che essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l'avvenire, il vostro avvenire».
Come 53 anni fa, ancora oggi con questo sinodo dei giovani, iniziato oggi, la Chiesa rifà sentire la sua voce dicendo che essa, la Chiesa madre tenera «è desiderosa che la società che voi vi accingete a costruire rispetti la dignità, la libertà, il diritto delle persone: e queste persone siete voi.
Essa è ansiosa di poter espandere anche in questa nuova società i suoi tesori sempre antichi e sempre nuovi: la fede, che le vostre anime possano attingere liberamente nella sua benefica chiarezza. Essa ha fiducia che voi troverete una tale forza ed una tale gioia che voi non sarete tentati, come taluni i dei vostri predecessori, di cedere alla seduzione di filosofie dell'egoismo e del piacere, o a quelle della disperazione e del nichilismo; e che di fronte all'ateismo, fenomeno di stanchezza e di vecchiaia, voi saprete affermare la vostra fede nella vita e in quanto dà un senso alla vita: la certezza della esistenza di un Dio giusto e buono.
È a nome di questo Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, ad intendere l'appello dei vostri fratelli, ed a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti della violenza e dell'odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!
La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore. Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e l'amico dei giovani. Ed è appunto in nome di Cristo che noi vi salutiamo, che noi vi esortiamo, che noi vi benediciamo. (7 dicembre1965)
Ora il sinodo per i giovani invita i vescovi, i giovani e tutti noi a riflettere su questi tre verbi: “Riconoscere, interpretare, scegliere” che segnano il perimetro della piattaforma di lavoro per il Sinodo e anche la direzione di marcia del domani delle comunità ecclesiali.
Su queste piste hanno già camminato tutte le diocesi del mondo e si sono interrogate sulle modalità per ascoltare la voce, le istanze dei giovani e come lanciare dei ponti per potersi incontrare con il mondo giovanile. Nei lavori dei mesi scorsi, ma anche in questo tempo del sinodo qui a Roma, mi sembra doveroso per noi interpellare il capo cantiere, ascoltare il suo silenzio operativo per aiutarlo ad entrare come protagonista nel laboratorio in cui si sta progettando una nuova epoca che va crescendo davanti a noi.
In questa oasi di preghiera desideriamo coinvolgere anche il papà terreno di Gesù, san Giuseppe, al quale san Giovanni XXIII aveva affidato alla sua protezione il Concilio Vaticano II. E non dobbiamo dimenticare che san Giuseppe è patrono della Chiesa universale.
La figura di san Giuseppe in questi ultimi tempi, anche per la devozione di papa Francesco al papà terreno di Gesù, si è affacciata sul palcoscenico della devozione popolare con grande rilievo. Non possiamo sottacere le caratteristiche di san Giuseppe che emergono dalle pagine del racconto evangelico che fanno di lui una persona importante, un esecutore fedele e puntuale dei desideri di Dio, disponibile a stracciare tutti i sogni e i progetti umani sul suo futuro fidanzato e sposo di Maria per entrare con dignità nel progetto di Dio.
La sua presenza nella vita della Chiesa ha sempre esercitato un ruolo umile e silenzioso al servizio del bene comune.
Il riconoscimento delle sue funzioni nel piano della salvezza ha sempre rispettato questa sua caratteristica: essere deputato a uffici comprimari esercitati con discrezione. La fine del secolo scorso e l’inizio di questo nuovo millennio è stato caratterizzato da una riscoperta di un mandato da protagonista della figura di san Giuseppe: gli è stato riconosciuto ed esalato l’esemplare sostegno nell’attività della Chiesa universale.
San Giovanni XXIII, l’abbiamo ricordato pocanzi, ha messo sotto la protezione di san Giuseppe l’assemblea dei vescovi per il Concilio Vaticano II.
Paolo VI, nel suo pellegrinaggio in Terra santa ha fatto della casetta di Nazareth il focolare a cui riscaldare la nostra carità e a cui ispirare costantemente lo stile della nostra vita cristiana.
San Giovanni Paolo II gli ha dedicato un’Esortazione apostolica con un titolo: «Custode del Redentore». Benedetto XVI, che dal battesimo portava il nome di Giuseppe, lo ha onorato in tanti modi. Papa Francesco non solo ha anche voluto iniziare il suo pontificato proprio nella festa di san Giuseppe, ha voluto che il suo nome fosse invocato in ogni celebrazione eucaristica.
La storia cammina con passi lenti, le verità evangeliche fioriscono e fruttificano sempre pur non rispettando le stagioni degli uomini, ma obbediscono alla stagioni di Dio. Gli antichi Padri delle Chiesa, che hanno vissuto con le prime generazioni cristiane, furono i primi e sicuri interpreti del messaggio evangelico, enucleando il senso dei nuovi cardini su cui si muoveva la storia portata da Gesù. I primi due capitoli dell’evangelo di Luca e di Matteo avevano il compito di aprire il sipario sulla vita e sul messaggio di Gesù con l’intento di aprire a livello universale una nuova era della storia umana.
I Padri della Chiesa nei loro scritti hanno indagato su una storia oggettiva, valutando il processo culturale e spirituale sulla popolazione. C’era un mondo pagano in agonia e un modo cristiano nascente e una nuova storia da descrivere e decifrare.
[Con il passare delle generazioni, alla storia oggettiva si è andata accostando anche una storia soggettiva considerata come arte. Una rappresentazione approssimativa che, pur fondandosi su realtà storiche concrete, non sono interpretati e divulgate con criteri scientifici, ma sull’ala delle devozioni, il popolo descrive nel filone delle verità oggettive, interpreta e attua come riflesso delle verità evangeliche che vanno incarnandosi nelle tradizioni popolari. Sono verità antiche interpretate e attuate in realtà sociali nuove].
Anche tutta la teologia di san Giuseppe si è andata elaborando sulla piattaforma del mondo giudeo-palestinese vissuto da san Giuseppe in modo che la sua stessa vita fosse illuminata sia nella fase precedente al matrimonio con Maria che dopo lo sposalizio.
È incontestabile il fatto che la vita di san Giuseppe è densa di senso del divino, originale e unica per la sua persona dopo quella di Gesù e di Maria. La matrice divina in san Giuseppe si trova nel fatto che Dio sin dall’eternità ha registrato la piena accettazione, libera e responsabile al piano divino.
«La divina Provvidenza tra gli infiniti piani della sua attività a favore dell’umanità ne ha scelto uno, e, per effetto della sua divina onnipotenza, ha disposto in modo che tutto concorresse al compimento di questo piano».
Il piano della Provvidenza era indirizzato alla venuta del Messia. Cristo diventa il centro dell’universo e in lui c’è la sintesi di tutto il piano della salvezza.
In questo piano di preparazione entrano in gioco i Patriarchi e i profeti che costruiscono le pietre miliari di una storia di salvezza. In questa storia secolare Dio scrive sentieri diritti nei tornanti della storia umana. Ad ogni tornante, nel panorama nuovo gli occhi vedono sempre l’ultimo dei patriarchi: Giuseppe che registrerà nella storia umana il nome di Gesù, «discendente del re Davide». Giuseppe segna il culmine dell’Antico Testamento e apre alla nuova era della luce e della salvezza portata da Gesù.
Nell’introduzione all’Esortazione apostolica “Il Custode del Redentore” san Giovanni Paolo II scrive: «Ritengo, infatti, che il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con tutta l'umanità, di ritrovare continuamente la propria identità nell'ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell'Incarnazione.
Proprio a questo mistero Giuseppe di Nazareth “partecipò” come nessun'altra persona umana, ad eccezione di Maria, la madre del Verbo incarnato. Egli vi partecipò insieme con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l'eterno Padre “ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef 1,5)».
Gesù nell’evangelo afferma che l’uomo e la donna di fede attraverso la riflessione e lo studio sanno far scaturire dalle parole rivelate verità conosciute e nascoste. Il sinodo dei giovani apre il panorama delle virtù evangeliche e possono trovare nel papà terreno di Gesù, san Giuseppe un modello di collaborazione profonda al piano di Dio, Giuseppe si è inserito scommettendo, giocandosi la vita, con la garanzia interiore di non ingannarsi o di essere ingannato. Si è fidato di Dio, san Giuseppe è riuscito ad inserirsi nel piano divino, scommettendo sulla potenza di Dio dimostrata nel passato in una storia che lentamente Dio andava scrivendo nelle vicende del suo popolo eletto.
Nelle vicende di Gesù e di Maria, san Giuseppe ha trasformato i suoi sogni vivendo e mantenendo i piedi per terra, e così ha fatto fiorire e fruttificare nel suo animo i progetti misteriosi di Dio- Padre.
Giuseppe è stato accanto a Gesù come educatore e gli ha insegnato il mestiere del vivere umano. Ora dobbiamo pregare san Giuseppe perché aiuti i partecipanti al sinodo affinché possano individuare la chiave di lettura per un “discernimento” e aiutarli a elaborare strategie pedagogiche per accompagnare i giovani a costruire la propria esistenza.
Preghiamo che san Giuseppe faccia giungere ispirazioni e telegrammi a tutti i padri sinodali e ai partecipanti alle diverse commissioni.
L’altro giorno nel duomo di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini ordinando i diaconi, ministri e servitori della Parola di Dio, ha detto che la parola di Dio dev’essere accolta come si accoglie un telegramma.
Il telegramma è personale nel suo indirizzo e nel messaggio.
Oggi con il computer ci sono i messaggi e-mail, il telegramma ha perso immediatezza e la sorpresa. Comunque, l’incontro personale e l’urgenza costituiscono sempre punti di forza in ogni opera educativa. In particolare, per incontrarsi in modo autentico con Dio bisogna aggiungere anche lo stupore dell’incontrarsi con fiducia, darci del tu con Gesù come un amico e vivente e anche sentirsi collaboratori di Dio, vivere in compagnia di Dio, avvolti da un affetto paterno, sentendo così l’urgenza di essere testimoni credibili del suo amore e cirenei della gioia per tutte le persone che incontriamo.
Un altro tema assai importante per scoprire la volontà di Dio e giungere all’incontro con Gesù, è necessario avere accanto una figura di accompagnatore che ci aiuti a scrivere sul cuore la parola “ti amo”.
Come in ogni avventura di innamoramento è necessario respirare a due polmoni.
I polmoni con cui si respira e si vive la parola amore – diceva don Tonino Bello – sono “evocazione e scommessa”. L’evocazione significa portare alla mente il passato con le sue ombre, ma, soprattutto, con le sue trame di un tessuto luminoso in cui Dio ha disegnato le meraviglie della sua creazione, ma anche della nostra vita, degli incontri di persone e, su queste luci abitate da ricordi e da volti umani, scommettere sul futuro.
Nei sondaggi sulle tematiche del sinodo dei giovani, la famiglia continua a rappresentare un riferimento privilegiato nel processo di sviluppo integrale della persona. Dalle migliaia di risposte al questionario “on line” dal mondo giovanile emerge come la figura materna sia il “riferimento privilegiato” dei giovani, mentre appare un’assenza o un’evanescenza dei padri, in particolare nel nostro mondo occidentale. Questo vuoto della presenza paterna rende evanescente e sbiadito anche l’esercizio della paternità sia nella famiglia come nella crescita a livello spirituale.
Mentre acquistano un ruolo determinante i nonni. Dobbiamo constatare che gli adulti non sono interessati a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza alle giovani generazioni, anzi - dico dal sondaggio - che li sentono più come competitori che come potenziali alleati. In questo modo il rapporto tra giovani e adulti rischia di rimanere soltanto affettivo, senza toccare la dimensione educativa e culturale
Nel suo pellegrinaggio a Nazareth, Paolo VI nella basilica dell’Annunciazione nella sua omelia ha descritto la casa dove Gesù è stato educato da Maria e Giuseppe come un laboratorio di qualità umane e spirituali. Ha descritto la famiglia di Nazareth come «scuola dell'iniziazione per comprendere la vita di Gesù. La scuola del Vangelo. Qui - ha detto Paolo VI - si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare nel senso profondo e misterioso di quella semplice, molto umile, bella manifestazione del Figlio di Dio.
Quasi insensibilmente, forse, qui impari anche a imitare. Qui impari il metodo con cui possiamo capire chi è Gesù Cristo. Qui comprendiamo la necessità di osservare il quadro della sua permanenza in mezzo a noi: i luoghi, il tempio, i costumi, la lingua, la religiosità che Gesù soleva rivelare al mondo. Tutto parla. Tutto ha un significato. Tutto ha un doppio significato: uno esterno, che rileva e poteri di percezione immediata possono trarre dalla scena evangelica di chi guarda dall'esterno, che solo studiare e criticare il vestito filologico e storico dei libri sacri, che nel linguaggio biblico è chiamata la "lettera", una cosa preziosa e necessaria.