Allora iniziamo questo momento di preghiera e di riflessione invocando l’aiuto di san Giuseppe.
Carissimo san Giuseppe, anche questa sera siamo fedeli all’appuntamento con te. Oggi, subito dopo la nascita di Gesù, desideriamo essere accanto a te nella tua abitazione provvisoria a Betlemme. Infatti, il paese del tuo antenato, il re David, è stato Betlemme.
Nelle immediate vicinanze del giorno del parto della tua sposa, la Vergine Maria, tu hai pellegrinato per giorni e giorni, fin là dove l’imperatore romano ha voluto che tu certificassi la tua presenza nella terra di Giuda, la tribù di origine del tuo casato. Tu, Giuseppe, sei discendente di David, il pastorello consacrato re, alla cui radice c’è una stirpe regale, di cui tu sei discendente.
Betlemme è un nome simpatico non solo perché ha dato i natali a Gesù, l’atteso Messia del popolo ebraico, ma anche perché ha il sapore e la fragranza del pane fresco, appena sfornato.
Per i suoi campi seminati a grano, questa cittadina ha ereditato il nome di Betlemme che significa “casa del pane”.
In quei campi ha spigolato Rut, questa giovane vedova straniera che diventerà la moglie di Boz, un tuo antenato, presente nella dinastia tramandata dagli evangelisti Matteo e Luca.
Per giustificare il nostro colloquio con te, o Giuseppe, mi piace ricordare quello che un importante filosofo, amico di Paolo VI, Jean Guitton, che già papa Giovanni XXIII aveva invitato, unico laico allora, come uditore al Concilio Vaticano II.
Jean Guitton ha scritto queste parole: Gesù è nato «in un solo tempo, in un solo punto, - e così - Cristo ha dato a quel tempo, a quel luogo, a quel punto, un valore infinito». Spazio e tempo si sono dilatati e hanno raggiunto anche noi: nella vita di fede non siamo spettatori di un passato, ma protagonisti di un presente. L'incarnazione, infatti, è la manifestazione suprema di Dio a noi, la vita di Gesù non è soltanto un evento storico particolare, passeggero come la nascita di un grande personaggio, ma acquista, invece, un significato universale e permanente per tutti gli uomini di tutti i tempi.
Dopo la visita degli umili, i pastori, tu, come capo famiglia, siedi accanto al piccolo Gesù e a Maria, in attesa dell’arrivo dei magi, i sapienti che vengono da lontano e porteranno i loro doni: il simbolico omaggio dei popoli, l’oro, l’incenso e la mirra, dono all’Emmanuele, il Dio fatto uomo.
Anche noi, caro San Giuseppe, all’inizio del nuovo anno vorremo portare davanti a te e a Gesù, il cofanetto delle nostre speranze.
Il tempo del nuovo anno, appena iniziato, è uno scrigno pieno di sogni, di desideri, di speranze, ma anche di opportunità offerte alla vita che non vorremmo sciupare.
Questo scrigno contiene successo, armonia nell’anima, pace familiare, qualche lacrima da versare, qualche consolazioni da godere.
Il tempo futuro è un ventaglio di elementi che la Provvidenza ci offre come opportunità.
Ogni avvenimento è una sollecitazione a far uscire nuove energie sepolte nelle qualità dei nostri talenti.
Tu, o san Giuseppe, hai visto i volti sorridenti dei pastori che ritornavano alle loro occupazioni contenti; e poi, dice l’evangelo: «dopo aver visto Gesù, riferirono ciò che del bambino era stato riferito loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette a loro dai pastori».
La facoltà di stupirsi è una grande risorsa nella nostra esistenza umana.
Non possiamo dimenticare che la vita sempre ci stupisce soprattutto perché è sempre maestra, che apre il campo della nostra esistenza e ci permette di entrare in un rapporto sempre più vivo con Dio.
O San Giuseppe, tu hai avuto la gioia di stringere tra le tue braccia Gesù, e rispecchiarti nel volto raggiante di luce della tua dolce amabile sposa, Maria, felice per il miracolo di una maternità singolare.
Ogni gioia ha il suo prezzo, anche la gioia di godere nel sentirsi amati ha il suo pedaggio da pagare.
L’hai pagato anche tu, o San Giuseppe, e a caro prezzo. L’hai pagato con la sofferenza del dubbio sulla fedeltà di Maria al tuo amore.
Quante notti insonni hai passato con un interrogativo che ti crivellava l’anima come un sondino nella carne viva.
L’incontro con Dio non è una realtà che si possa copiare dagli altri, oppure standardizzata come una bambola di plastica, ognuno ha il suo percorso; per te, Giuseppe fu il bruciante cruccio del dubbio.
Passato il tormento e tranquillizzato dall’annuncio dell’angelo, è subentrato sulle tue qualità umane e sulle tue fragili spalle una missione così grande: gestire la paternità legale nei confronti di Gesù, il figlio dell’Altissimo, l’Ineffabile, il Creatore dell’universo.
Sabato prossimo è festa dell’epifania, sta a te, Giuseppe, fare gli onori di casa a questi personaggi che vengono dal lontano Oriente: in quella circostanza è iniziato il tuo compito di padre legale di Gesù.
Quando porterai al tempio di Gerusalemme il piccolo Gesù, anche là avrai gli onori espressi da due vecchi, carichi di anni, ma con degli occhi capaci di penetrare il futuro di Dio in quella creatura che riconsegni a Dio, datore di ogni vita. Questi due vecchi, sentinelle di una fede antica, Simeone ed Anna, rappresentano i custodi di un’umanità attenta al suono delle melodie che annunciano la presenza di Dio nel nostro vivere quotidiano.
A Nazareth, all’inizio della vita pubblica di Gesù, tu, o Giuseppe, sarai chiamato ancora in causa: i tuoi compaesani diranno: «ma non è costui il figlio di Giuseppe, il carpentiere?».
Giuseppe, tu sei stato incaricato dall’Altissimo a custodire la luce destinata ad illuminare ogni uomo che entra nel mondo, per questo ti chiediamo di aiutarci a dissipare le tenebre dai nostri cuori.
Aiuta a far trovare la luce a coloro che cercano Gesù con un cuore sincero. Suscita, soprattutto nei nostri cuori la volontà di seguire i passi di Gesù e a non dimenticare mai, anche nelle stagioni avverse della nostra vita che il tuo figlio Gesù è la dimostrazione di un amore infinito di Dio per ogni persona di buona volontà.
Il popolo ebraico iniziando l’esodo nutriva nel cuore una grande speranza: uscire dalla schiavitù per assaporare il profumo, inebriante e fuggevole, della libertà.
La libertà è sempre una pagina bianca da scrivere sulle piste di un deserto mai conosciuto e sempre da scoprire.
In quel viaggio Dio interviene con due elementi: un fuoco che illumina l’accampamento nella notte e una nube che protegge gli esuli durante il giorno. Quando la nube si alzava il popolo si metteva in cammino e quando le tenebre scendevano il fuoco abbracciava l’accampamento come un guardiano di “benedizione” che accompagnava il nuovo popolo eletto.
Il fuoco è luce, calore, energia, vita. La nube è protezione, segno di una sollecitudine divina, garanzia per una meta da raggiungere.
L’augurio per chi ci sta ascoltando e la nostra solidale preghiera è rivolta a Dio, affinché il fuoco dell’amore e la nube della benedizione accompagnino i giorni del prossimo anno e per tutti, come dice un salmo, sia un cammino pianeggiante e non aspro o in costante salita.
Canto natalizio Adeste fideles
In queste ultime settimane si è diffusa la notizia di una probabile canonizzazione di Paolo VI che, forse, nel prossimo ottobre potrebbe essere annoverato tra i santi, venerati nella preghiera e guardati come fonte di ispirazione per la nostra vita cristiana.
La Chiesa nel secolo scorso è stata guidata da papi eccezionali sia come magistero che come vita consumata nella santità e risplendente come luminosa testimonianza di fede.
Un grande coraggio, sostenuto dalla fede, fu l’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II da parte di Giovanni XXIII. Il Concilio è stato indetto con il paterno desiderio di far fiorire una presenza viva, vitale, primaverile di Cristo nella vita di molti cristiani ed è stato continuato con altrettanto coraggio e molta e accorata determinazione da Paolo VI.
Tra le luci che hanno tracciato e illuminato il cammino del popolo di Dio per oltre mezzo secolo nel 1900 c’è stato il magistero di Paolo VI.
Giambattista Montini, è stato un credente appassionato ed innamorato di Gesù e della sua Chiesa che ha vissuto con passione il travaso evangelico di un difficile cambiamento d’epoca.
Nel panorama aperto e ampio del magistero di Paolo VI c’è una pagina mirabile, quasi una sorgente luminosa che ha fatto camminare la Chiesa alla luce di una fiaccola evangelica nei percorsi variegati e complessi della società moderna.
Paolo VI ha sparso nei campi della cultura moderna «i semi del Verbo» come scintille di luce per illuminare le bellezze dell’anima che ogni persona, ogni paese, vivente in ogni latitudine porta nel suo patrimonio culturale.
Per noi che guardiamo con simpatia e fiduciosa confidenza a san Giuseppe, nel magistero di Paolo VI c’è una pagina significativa trasparente e luminosa come specchio, che costituisce la sintesi, l’anima del suo pontificato è il discorso che Paolo VI ha tenuto a Nazareth nel suo pellegrinaggio in Terra santa proprio in questa stagione: era il 5 gennaio del 1964.
In quel discorso Paolo VI ha paragonato la casa di Nazareth ad una cattedra di insegnamento, ad una università di sapienza evangelica.
Mi pare che in quel circostanza papa Montini abbia fornito l’alfabeto e le regole grammaticali per realizzare una vita autenticamente cristiana.
Paolo VI con la sua caratteristica voce, appassionata e sorretta da convinzioni profonde, con commovente ingenuità di un bambino, ha affermato: «Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth».
Anche in questo nostro appuntamento mensile nella casa di san Giuseppe idealmente siamo sempre con occhi attenti a scrutare e quasi a rapire i sentimenti di Giuseppe e Maria nei confronti di Gesù.
Allora, davvero, all’inizio di quest’anno, ci proponiamo di frequentare la casa di Nazareth come l’antica fontana del villaggio a cui attingere l’acqua necessaria per vivere.
In quella circostanza diceva Paolo VI: «La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo». E poneva a fondamento del nostro vivere la fede in Gesù, quasi pilastri per la nostra esistenza cristiana, quattro verbi. Ecco i quattro verbi: «Nella casa di Nazareth si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio».
In quel luogo disperso tra le colline della Palestina tutto diventa occasione di ammirazione. E proprio questo ambiente che ci permette di conoscere chi è il Cristo. «Qui scopriamo - dice testualmente Paolo VI - il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo».
A Nazareth tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, diceva Paolo VI in primo luogo ci è insegnato il silenzio.
«Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, (il silenzio) è atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Proprio questa nostalgia e bisogno del silenzio sono stati ribaditi da papa Francesco.
Il papa appunto nell’omelia della messa del 1° gennaio scorso, parlando dalla Madonna, Madre di Dio, ha ricordato che «Abbiamo bisogno di rimanere in silenzio guardando il presepe. Perché davanti al presepe ci riscopriamo amati, assaporiamo il senso genuino della vita. E, guardando in silenzio, lasciamo che Gesù parli al nostro cuore: che la sua piccolezza smonti la nostra superbia, che la sua povertà disturbi le nostre fastosità, che la sua tenerezza smuova il nostro cuore insensibile».
Inoltre auspicava la necessità di «Ritagliare ogni giorno un momento di silenzio con Dio per custodire la nostra anima; custodire la nostra libertà dalle banalità corrosive del consumo e dagli stordimenti della pubblicità» e preservare «dal dilagare di parole vuote e dalle onde travolgenti delle chiacchiere e del clamore».
Prendendo lo spunto dalle parole del brano evangelico, in cui si diceva che la Vergine Maria «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore».
Maria, come tutte le mamma, raccoglieva nello scrigno dei ricordi tutto quello che passava davanti ai suoi occhi e giungeva ai suoi orecchi: «Custodiva. Semplicemente custodiva».
Il silenzio e il custodire sono come due mani incrociate sul petto per abbracciare la folla di nobili sentimenti che il suo cuore di ogni mamma sente cantare a lode del proprio figlio.
Custodire parole di amore non è una cosa inutile, ma è immagazzinare gli anticorpi che neutralizzeranno nella vita gli assalti della paura.
Nel cuore di ogni madre ci sono gli antidoti per riscattare l’aridità delle fede che molte volte attraversa i nostri giorni.
Papa Francesco proprio lunedì scorso, 1° gennaio, ha invitato a ripartire dal presepio «guardando alla Madre», che è immagine della Chiesa-madre che «è esattamente come Dio vuole noi suoi figli e come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita».
Le feste del Natale e l’inizio del nuovo anno ci invitato a ripartire avendo sempre negli occhi la Madre di Gesù. Papa Francesco suggeriva che «Per andare avanti, occorre tornare indietro: ricominciare dal presepe, dalla Madre che tiene in braccio Dio».
Vogliamo in questo momento di pausa musicale con il suo dell’organo far riecheggiare e far fiorire nell’intimo i sentimenti suscitati dall’ascolto.
Stacco musicale musica d’organo
Ritorniamo ancora a Paolo VI sempre a Nazareth «Comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale».
In quel discorso alla vigilia della festa dell’Epifania del 1964, Paolo VI ha toccato uno degli argomenti fondamentali della convivenza sociale: il mondo del lavoro.
La famiglia di Nazareth nella filigrana di una vita semplice, ha una lezione da offrirci sul mondo del lavoro. «Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! - ha detto Paolo VI - Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine».
Da quel laboratorio artigianale Paolo VI ha mandato un saluto agli operai di tutto il mondo e desiderava mostrare loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore».
Preghiera per il mondo dei lavoratori
Pausa musicale
Abbiamo lasciato alla spalle un anno di vita e ancora nel cuore canta la lode di ringraziamento a Dio, datore della vita, e nell’anima abbiamo un gruzzolo di speranze che consegniamo a Gesù, alla Vergine Maria e a San Giuseppe affinché li riempiano di benedizione, di energia spirituale per vivere i trecentosessantacinque di quest’anno 2018 come un progetto nel cantiere della nostra vita per edificare un’esistenza.
Affetti, progetti, riflessioni, sogni, ambizioni, lavoro, amicizie casuali o relazioni profonde come pure i numerosi appuntamenti quotidiani diventeranno parole e fatti nel diario della vita.
Ogni giorno, aprendo gli occhi appassionati per la vita ci apparirà un panorama di grazie e una giornata da offrire a Dio come una perla. Questa perla, come simbolo della vita, a volte, sarà lucente e preziosa come un gioioso sorriso, altre volte, rabbuiata da preoccupazioni che richiederanno uno scatto di reni per affrontare la fatica per percorrere strade in salita.
Importante è che ad ogni risveglio riscopriamo la voglia di salutare il nuovo giorno con gli occhi da innamorati della vita: occhi carichi di sogni, di meraviglia e di stupore per donare ad ogni alba la voglia di benessere per se stessi e per il prossimo che incontreremo lungo la giornata.
Ogni giorno è una porta aperta su un futuro da costruire in collaborazione con Gesù in un globale progetto di amore. Ogni giorno è una chiamata a sostenere il sogno di Dio per noi. Un sogno che Dio ci consegna in modo che la nostra vita sia sostenuta nel camminare sulla strada dell’onestà, lealtà e responsabilità. Dio ci dona il tempo dell’esistenza per sviluppare i nostri talenti, ma anche per saper frequentare i poveri dai mille volti, sentire l’affanno degli scarti della società e riuscire a portare il profumo della santità di Dio, alzando in alto le lampade luminose in modo da saper leggere negli occhi del prossimo il desiderio di grandi speranze da realizzare e tristezze da consolare.
L’altra notte o l’atra sera tutti abbiamo provato un’emozione nel varcare la soglia del nuovo anno. Abbiamo lasciato alle spalle il vecchio e abbiamo abbracciato il nuovo.
Come accennavo pocanzi entriamo in quest’anno con un bagaglio di sogni, di speranze e di nascosti desideri. Ma non dimentichiamo che non si varca mai la soglia d’ingresso di un nuovo anno senza un bagaglio di memorie. Abbiamo sulle spalle la bisaccia del pellegrino che custodisce «la somma di tutto quello che è successo prima di noi e di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi», il bene compiuto, gli errori commessi, i semi di speranza che abbiamo fatto fruttificare.
Pensando alla persone che incontreremo vogliamo avere sempre davanti agli occhi il monito che «ogni persona è una patrimonio è un tesoro per la società in cui viviamo».
Dice san Paolo che «nessuno di noi vive per se stesso» ma ognuno è stato mandato da Dio con un compito da svolgere e un patrimonio spirituale, morale e sociale da seminare e coltivare per migliorare il mondo nel quale viviamo.
Il dono del tempo, come spazio dell’esistenza terrena, Dio lo concede come un segno perenne della sua bontà nei nostri confronti. Dio arriva, e manifesta la sua presenza di amore con la concretezza dei fatti e con i doni che lo Spirito Santo dall’Alto diffonde come luce nel nostro spirito.
Molte volte la presenza della Spirito non combacia con quello che noi vorremmo, ma è innegabile che pur nelle sofferte pieghe delle regole della natura, Egli continua ad esserci accanto per donarci quella silenziosa energia che ci permette di vincere le avversità.
Cristo Gesù non è il maestro che lascia gli scolari senza guida e indicazioni o abbandona i feriti della vita senza soccorso. Egli, nello stile di Dio-Padre, Creatore e Signore del mondo, è il buon samaritano presente nella vita quotidiana e costantemente al timone della nostra imbarcazione per indirizzarci al porto della speranza con il compito di aiutare a far nascere un mondo umanamente vivibile.
I pastori sono diventati nei giorni scorsi i protagonisti del presepio e hanno popolato i sentieri deserti di Betlemme che conducevano alla grotta del Redentore Gesù.
Gesù nel suo ministero da grande ha utilizzato l’immagine del “pastore” per raffigurare lo stile di Dio-Padre; prima nei secoli precedenti alla sua venuta nel condurre la storia del popolo ebraico verso la terra promessa e poi con Gesù che si presenta come il buon pastore che è costantemente in cerca della pecorella smarrita affinché non si perda. Lo smarrimento conserva sempre una scintilla di speranza, l’essere perduto è lo scivolare nell’abisso del nulla e della solitudine più assoluta.
Quando Gesù arriva su questa terra si fa maestro, operaio , vignaiolo, medico e, soprattutto, samaritano sempre pronto a tendere la mano per aiutare le persone a rialzarsi dopo una caduta. Gesù anche all’inizio di quest’anno con la sua nascita e soprattutto con la sua risurrezione ci ha garantito una linfa vitale che nasce dalla sorgente della risurrezione di Gesù.
Idealmente la nascita di Gesù a Natale ha congiunto il cielo con la terra, la resurrezione di Gesù da morte ha congiunto la terra con il cielo: ha congiunto il finito con l’infinito e l’infinito di Dio è penetrato nell’intimo della nostra essenza umana.
Essere al seguito di Gesù non ci dispensa dal vivere il nostro tempo, anche quando questo tempo è segnato dal male e scandito dal dolore e dalla morte; anzi, il quoziente della nostra santità sarà dato dalla partecipazione e dalla collaborazione al dono di amore, in modo che, con il nostro vivere appassionato e fiducioso potremo aiutare Dio ad essere accolto nella fede e ospitato con amore affinché il calore dell’amore di Dio raggiunga tutti uomini e donne.
Anche all’inizio di quest’anno 2018 dobbiamo pregare affinché gli uomini e le donne possano sentire nel profondo dell’anima la presenza dell’Eterno e così con verità chiamare Dio con il nome di «Padre», allora sarà il momento del parto definitivo e così entreremo tutti nel corteo della gioiosa danza dei figli di Dio.
Il dono della vita, la nostra presenza nell’Umanità ma soprattutto il nostro essere cristiani ci sollecita a vivere la nostra esistenza su questa terra come protagonisti, partecipi di avvenimenti che si vanno sviluppando con il contributo del nostro ingegno e della fermezza e solidità di una speranza incrollabile che poggia su Cristo, il Salvatore che ha vinto la nemica ultima della vita: la morte.
Prego e preghiamo affinché Dio ci concede di vivere con serenità i nostri giorni con la consapevolezza che Gesù continua ad aver fiducia in noi come ambasciatori della sua misericordia. Perché continua ad aver una illimitata fiducia in noi.
Non perdiamo la consapevolezza che ad ogni alba, il Dio paziente e misericordioso rilancia sempre le sue proposte e noi della grande famiglia internazionale della Pia Unione del transito di an Giuseppe sarà accanto a voi, ascoltatrici e ascoltatori di Radio Mater, con la nostra preghiera solidale affinché una carezza divina vi accompagni e vi doni coraggio per affrontare ogni circostanza faticosa.
Anche se qualche volta, a sera, ci troveremo a mani vuote, non scoraggiamoci e non dimentichiamo che Dio, l’Onnipotente continua a deporre nel nostro animo un credito di fiducia e ci ripete: «Forza, non è mai troppo tardi per ritornare ad amarmi e ad amarvi tra voi».
Allora davvero con tanta cordialità e gratitudine per la vostra benevole attenzione un Buon Anno 2018!