Nessun uomo, è il caso di sottolinearlo, nasce scevro da contraddizioni, e può davvero dirsi santo o peccatore, perché simili giudizi sono rimessi solo a Dio. Quel che si può invece certamente affermare è che Pier Paolo Pasolini - al di là di ogni forzatura - fosse pervaso da una intensa religiosità, un sentimento che si poneva al di fuori dalla grammatica del dogma e della liturgia, ma che restava ugualmente potente, forse proprio perché avvertito come un grido di dilaniante conflittualità interiore. Ateo e manifestamente anticlericale, Pasolini ha per l’intero corso della sua esistenza coltivato ed espresso attraverso le sue opere una drammatica eppure insopprimibile tensione verso il divino. «Io sono una forza del Passato - afferma all’esordio di una sua lirica - Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d'altare». «La storia della Passione - soggiunge ancora l’autore - è la più grande che io conosca, e i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti».
A parlare è proprio l’uomo degli scandali e dei film posti all’indice, che annota: «Nulla muore mai in una vita (…) Ciò che sopravvive sono quei famosi duemila anni di “imitatio Christi” (…) Io, per me, sono anticlericale (…), ma so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo. (…) Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del Bene». Ma più forti delle parole, sono le immagini de “La Ricotta”, “Accattone”, “Mamma Roma” e “Il Vangelo Secondo Matteo”, omaggi di inimmaginabile bellezza al messaggio di Cristo. Nella prima pellicola Pasolini riprende un grottesco set cinematografico nel quale un maldestro regista sta filmando un quadro dedicato alla Crocifissione: tutto intorno tecnici, attori e comparse calpestano la sacralità della scena, segnando lo stridente contrasto tra l’epoca del consumismo e della secolarizzazione, e la vicenda evangelica.
In “Accattone” e “Mamma Roma” i protagonisti sono gli ultimi delle periferie romane, i diseredati, i disperati, raccontati attraverso un costante rinvio iconografico alla figura di Cristo. C’è infine il verbo puro ed essenziale del “Vangelo Secondo Matteo”, ancora oggi uno dei più compiuti racconti per immagini della Passione, capolavoro assoluto in cui Pasolini penetra col suo sguardo fino alle radici più profonde del messaggio di Cristo. In questa ininterrotta tensione spirituale, trova posto anche la figura di San Giuseppe. Ce la consegna un piccolo ma prezioso bozzetto olio su tela dedicato da Pier Paolo Pasolini alla figura del Padre putativo di Cristo. Ripercorrendo la storia di questo pregevole frammento d’arte, scopriamo che l’autore, ancora giovanissimo, - era il 1942 - stava lavorando nella città friulana di Casarsa a un ciclo di affreschi che avrebbero dovuto adornare la chiesetta “Ecclesiae Reginae Martyrum Dicata”.
Ci troviamo dinanzi a un pannello preparatorio, appena uno schizzo, in cui predominano forme sfumate e contorni appena abbozzati, cromatismi sui toni dell’ocra e della terra di Siena. Eppure, l’immagine ci restituisce un’idea potente e vibrante di Giuseppe e Gesù. Entrambi si indovinano in cammino nel mezzo di un viale alberato. C’è un padre dal volto ancora giovane, che con capo chino e sguardo severo sorveglia il Messia-bambino, e standogli addossato gli trasmette la sua forte e amorevole guida. C’è un bambino che volge il volto da un lato, e con occhi curiosi, indagatori, si apre a osservare il mondo.
Giuseppe dispiega la mano nel gesto di mostrare al figlio quanto accada tra gli uomini, e con vigoroso cenno lo esorta a non temere, ad aprirsi al suo destino di incontro e sacrificio per l’altro. Sul retro del disegno, infine, la dedica “alla Giovinezza”, che nell’opera è insieme efficacemente incarnata dal Dio-bambino e da un Padre che è poco più di un giovane uomo. In questo minuto omaggio alla figura di Giuseppe sentiamo ancora una volta riecheggiare un sommesso e dolente richiamo all’Altissimo. è il dubbio irrisolto, l’eterna e silenziosa domanda che si agita nell’animo di un peccatore pervaso dal genio e insieme da un insopprimibile senso del sacro. «Dio, sei tu con me?». La risposta è in Pasolini stesso, incarnazione vivente dei tortuosi percorsi attraverso i quali, alle volte, Dio sceglie di esprimere il sublime prodigio del suo amore creativo.