La figura di San Giuseppe nella Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi di Caravaggio è un giallo nel giallo. L’opera, un olio su tela di cm 268 di altezza e 197 di larghezza, fu realizzata da Caravaggio per l’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, un oratorio che dal 1564 era affidato alla Compagnia di san Francesco, di qui la presenza non usuale dei due Santi nel Presepio. Lorenzo, con un ricco manto liturgico, tiene la graticola mentre Francesco è in atto di preghiera.
La chiesa di San Giuseppe dei falegnami, con l’annesso oratorio, sorge nel cuore di Roma, addossata quasi alle pendici del colle capitolino, sul lato opposto a quello della celebre cordonata di Michelangelo. Ha la facciata che guarda sul Foro romano, a fronte dell’Arco di Settimio Severo. Si presenta alta sopra un’altra struttura muraria, tanto che per accedervi bisogna salire una lunga scala su di un lato. Una volta le scalinate erano due, su entrambi i lati, ma una fu eliminata quando, negli anni ’30 del Novecento, fu sistemato l’accesso al Foro. Il luogo è forse più noto proprio per l’edificio inferiore, il celebre Carcere Mamertino dove la tradizione vuole sia stato rinchiuso san Pietro.
Giandomenico Tiepolo (Venezia 1727-1807) è pittore e incisore d’eccellenza, anche se meno noto al grande pubblico del suo celebre padre Giambattista. È indubbio che Giambattista ha segnato, in senso decisamente positivo, il figlio, facendogli raggiungere livelli tecnici ed espressivi ottimi. Giandomenico entrò a 13 anni nella bottega del padre, dove sarebbero entrati anche i fratelli più piccoli, Lorenzo e Giuseppe. A soli 19 anni otteneva la sua prima commissione: le stazioni della Via Crucis per la Chiesa di San Polo a Venezia, dalle quali, successivamente, ricaverà delle incisioni all’acquaforte. Infatti il lavoro di pittore e quello di incisore sono sempre andati di pari passo nel corso di tutta la sua vita.
Michelangelo fu uomo di corte, al pari di Raffaello e di tutti gli artisti che apparvero nel firmamento italiano in quella felice epoca che ha nome Rinascimento. I papi del Cinquecento sembrano assai più preoccupati della cose “mondane” che dei problemi dello spirito. La sola eccezione è rappresentata dal Papa olandese Adriano VI, il cui pontificato si è concluso nel giro di un anno, con grande sollievo di molti artisti di quel tempo e dello stesso Michelangelo, se è vero quello che scrive il Vasari: Papa Adriano «già aveva cominciato a ragionare di voler gettare per terra la cappella del divino Michelangelo, dicendo ch’ell’era una stufa d’ignudi; e sprezzando tutte le buone pitture e statue, le chiamava lascivie del mondo e cose obbrobriose e abominevoli».
Dal 13 maggio al 13 ottobre 1917 la Madonna appare ai tre pastorelli sopra un Quercus ilex, comunemente chiamato leccio. La simbologia di quest'albero affonda le radici nell'antichità. La quercia, in generale, era per i greci l'albero sacro a Giove. A motivo della sua longevità e della sua robustezza, fu considerata da sempre parabola dell'eternità.
Per l’universo cattolico Pier Paolo Pasolini ha indiscutibilmente rappresentato una delle figure più controverse del ‘900. Da un canto l’intellettuale toccato dalla grazia divina del genio, dall’altro il protagonista di scandali e violente polemiche, di epocali processi - “morali” - ai suoi costumi privati - e giudiziari - alle sue opere. Da ultimo, la creatura segnata da una tragica e ancora oggi misteriosa fine.
Ha scritto il Beato Giovanni Paolo II che «l’arte è conoscenza tradotta in linee, immagini, suoni, simboli che il concetto sa riconoscere come proiezione del mistero della vita», che sa andare oltre le apparenze, aprendo il profondo dell’anima per innalzarlo verso l’alto. L’arte è un tentativo dell’uomo per offrire una risposta alla nostalgia di bellezza, alle inquietudini dell’anima, alla voglia di luce. L’artista non è mai appiattito sugli orizzonti bassi, ma è sempre un cercatore del divino.
Anche l’ingegner Aristide Leonori ha messo il genio del divino nelle sue progettazioni; un genio che fioriva dalla coltivazione di una forte interiorità.
La lunimosità, calda e con intense vibrazioni di colore, è data da un complesso di 20 finestre decorate e da 17 vetrate istoriate, che si aprono, le une e le altre, scandite da piacevoli ritmi geometrici: le finestre, dipinte con colori tenui (Giuliani, su disegni del Cisterna, 1922) nelle altre pareti della navata centrale, che risulta in tal modo leggera e quasi aerea e dà slancio ed eleganza a tutto l’interno, e ai lati dell’abside; le vetrate istoriate sulle pareti delle navate laterali. Nelle vetrate istoriate che si aprono nelle pareti delle navate laterali, sono narrati gli attributi e i fatti principali della vita di San Giuseppe.
Il mosaico, che si presenta come un grande dipinto terminante superiormente ad arco,
è l’elemento qualificante dell’intera ristrutturazione. L’immagine mostra il Santo,
sulla destra, nel gesto di offrire due pani ai poveri
La canonizzazione di San Luigi Guanella è stata celebrata, nella “sua” basilica di San Giuseppe al Trionfale, con la ristrutturazione della cappella a lui dedicata, consistente in un vano rettangolare al fondo della navata destra. Tale rifacimento, affidato alla Domus Dei, è un omaggio della Pia Unione di San Giuseppe, particolarmente legata al luogo perché ne illustra la genesi. La cappella originale fu realizzata negli anni 1970-71, quando fu ricostruita la crociera della basilica, e decorata nel 1972. La cappella originariamente si presentava come quella che, a tutt’oggi, è al fondo della navata sinistra, e che è dedicata a San Pio X. La cappella era arricchita da un rilievo sul frontale, due pale laterali e l’altare addossato alla parete di fondo con sopra il ritratto dell’allora Beato Luigi Guanella, realizzato dal pittore romano Aristide Capanna. Nella ristrutturazione sono stati conservati il rilievo del frontale e i due dipinti laterali, mentre l’altare è stato avanzato e completato nel retro in armonia con la parte anteriore e, sulla parete di fondo, è stato realizzato un mosaico con nell’interno il tabernacolo.
I mosaici che “illuminano” l’abside, il catino absidale e l’arco trionfale che lo precede,
risalgono agli anni 1963-64 e sono stati eseguiti dai Fratelli Toniutti di Bollate (Milano)
della Scuola del Mosaico di Spilinbergo, su cartoni dei fratelli Pio e Silvio Eroli di Roma
I mosaici che ornano la facciata sono tre e sono collocati entro le lunette sopra i tre portali, risalenti alla costruzione della facciata, mentre i mosaici furono messi in opera nel 1937. Eseguiti dallo Studio Vaticano del Mosaico, presentano due angeli nelle lunette laterali e San Giuseppe col Bambino in quella centrale. Le figure sono colte tutte a mezzo busto per ottemperare le esigenze di visibilità in relazione allo spazio.
Il mosaico centrale presenta San Giuseppe che tiene, tra le braccia, il Bambino infante che allunga le manine quasi ad accarezzare la barba bianca del vecchio padre terreno. La dolcezza affettiva del gesto e dell’incrocio degli sguardi perfettamente si inserisce nell’ambientazione, offerta da un bosco rigoglioso, con in primo piano la pianta di melograno con i suoi frutti simbolo della Chiesa, che si apre su un lago dalle verdi sponde. La luce calda del giorno, ammorbidita quasi dal filtro degli alberi, avvolge i due protagonisti. Un bordo rosso perimetrale, appena visibile, accentua l’effetto di profondità.
L’arte non è una cosa puramente individuale, è un’istituzione sociale come la lingua,
l’architettura, la musica. è lo sviluppo di una tradizione che si modifica e cerca linguaggi
nuovi per offrire sempre un messaggio di bellezza, in particolare nell’arte sacra
Siamo quasi alla conclusione di questi «inserti» in cui abbiamo raccontato il pellegrinaggio storico della basilica di San Giuseppe al Trionfale. Abbiamo scritto le vicende del passato che hanno creato le condizioni favorevoli per l’inizio dei lavori.
Pur avendo solo cento anni la chiesa del Trionfale si presenta con dignità, raffinatezza e grazia come sintesi di un’opera d’arte che abilita e favorisce la preghiera. In questa fase conclusiva, dobbiamo condividere l’affermazione che «l’architettura è essenzialmente un’arte cooperativa»: infatti, l’ingegner Aristide Leonori è stato il tecnico e don Guanella è stato il mentore di alcune caratteristiche. Non dimentichiamo che è di don Guanella l’idea delle colonne marmoree delle cave di Baveno, sua l’iniziativa nel recuperare le porte smesse del duomo di Milano. L’arte, la pastorale e le esigenze dell’ambiente hanno consegnato alla storia una chiesa, ma soprattutto un’anima al popolo. Ammirando la basilica di San Giuseppe abbiamo la registrazione di un frammento importante della storia di questo Quartiere. L’uomo dimenticando ed escludendo Dio dalla sua vita non può fare altro che nutrire sentimenti di malvagia rivalità. Nella progettazione dell’ingegner Leonori emergono due elementi costitutivi: la lode a Dio e la dignità restituita agli abitanti poveri del Quartiere.