«Ci sono tanti argomenti, ricorda papa Francesco, per giustificare se stessi quando non si fa l’elemosina. “Ma come, io dono dei soldi e poi lui li spende per bere un bicchiere di vino?”. Un bicchiere di vino è l’unica felicità che ha nella vita, va bene così. Al contrario di lui, sei più fortunato, con una casa, una moglie, dei figli, cosa ti fa dire “occupatevi voi di lui?”».
In una città della Sicilia, tempo fa, un cartello invitava i clienti a non dare l’elemosina agli zingari davanti all’entrata: non c’era alcun intento razzista, spiegavano i responsabili, ma solo quello di tutelare il supermercato e i clienti, che infastiditi dai questuanti, iniziavano a non frequentarlo più.
Anche nella stazione ferroviaria di una città della Svizzera italiana la Polizia Cantonale ha affisso manifesti con la scritta «Non donare denaro per strada: rischi solo di riempire le tasche di qualche organizzazione criminale». è vero: c’è sempre la possibilità che le elemosine siano involontariamente destinate a persone non realmente bisognose, sottraendole così a quei soggetti che vivono situazioni di autentico disagio. È chiaro che tra un’elemosina data per strada e un intervento di sostegno a situazioni di disagio attraverso un’elargizione ad organizzazioni riconosciute, con progetti chiari e significativi, è da preferire la seconda soluzione, anche per ragioni di giustizia sociale. Ma non è da sminuire la possibilità di un intervento caritativo diretto per risolvere una situazione eccezionale e difficile.
Lo scopo di iniziative anche simili è quello di arginare il fenomeno del racket dell’elemosina, perché può finire per ledere proprio le fasce deboli, principalmente gli anziani, che vengono molestati dai professionisti dell’elemosina.
Ma allora: come distinguere i veri indigenti dai furbi e i profittatori? Perché certamente sui nostri marciapiedi come nei treni, davanti ai centri commerciali come sul sagrato delle nostre chiese non stazionano solo imbroglioni vestiti da accattoni, ma veri poveri, gente disperata che altro non tiene se non il cappello teso per chiedere una moneta.
L’elemosina non è «la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno», ma è «un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto». è l’ammonimento costante di papa Francesco.
Non è tanto un comportamento improntato all’elargizione semplice e/o automatica di denaro, ma piuttosto praticare un percorso fatto di relazioni d’aiuto, che può voler dire anche offrire le necessarie indicazioni (indirizzi, orari, attività ecc.) sui servizi, pubblici e privati, specializzati o organizzati a cui rivolgersi, senza volersi sostituire o sovrapporre nella risposta ai bisogni.
Ognuno può formarsi un proprio “stile” nell’abitudine all’elemosina, ma è sempre meglio essere aperti all’aiuto che, con mille scuse, chiudere il cuore a tutti. Era lo stile dei Santi.
Con la precisazione suggerita dal nostro don Guanella: «Se un uomo per solo senso di pietà fa elemosina e nel darla non pensa in nessun momento a Dio, l’opera buona di costui è buona nell’ordine di onestà naturale e non nell’ordine di carità sovrannaturale. I cosiddetti filantropi del tempo nostro, che sono quella gente che fa del bene ma per mire unicamente umane, questi non potranno in perpetuo rassomigliare la propria misericordia a quella di Dio, perché ne sono infinitamente distanti».