Da pochi giorni, il 20 maggio scorso, è stato indetto l’anno ignaziano, un tempo di grazia singolare, per la Chiesa tutta e naturalmente per la Compagnia di Gesù, l’Ordine fondato da Ignazio di Loyola. Ricordiamo infatti un fatto che segna quella che è stata chiamata la sua “conversione”, avvenuta 500 anni fa: il futuro santo, piuttosto lontano dall’essere quello che sarebbe diventato, stava combattendo a Pamplona, in Spagna, contro i Francesi, quando fu colpito da una palla di cannone che lo atterrò.
Il giorno di Pentecoste, lo scorso 23 maggio, papa Francesco ha pubblicato una Costituzione apostolica dal titolo Pascite gregem Dei (Pascete il gregge di Dio). Le costituzioni apostoliche papali sono documenti importantissimi del Magistero, ma in questo caso si tratta di un documento noto solo agli “addetti ai lavori”, cioè agli esperti di Diritto ecclesiastico, perché promulga un rinnovato libro del Codice di Diritto Canonico, il Libro VI. La materia è da specialisti; ma alcuni accenni della Costituzione papale mi hanno indotto a riflessioni che mi piace comunicare.
Una nuova Santa che esalta l’umiltà della fede
di Francesco Marruncheddu
Diventa Santa, per volontà di papa Francesco, Margherita di Città di Castello, la piccola “cieca della Metola”. Una figura che, nonostante i sette secoli che la separano da noi (proprio quest’anno si celebra il settimo centenario della morte, avvenuta nel 1320), è più che mai attuale per il tempo che viviamo. Una giovane donna che nella sua vita ha sperimentato l’handicap, la malattia, la discriminazione, l’abbandono e il rifiuto.
Margherita nasce nel 1287 nel castello della Metola, presso il fiume Metauro, tra Marche e Umbria. Figlia di messer Parisio, nobile signore del castello, e di donna Emilia. Con la sua nascita, anziché allietare i genitori, senza volere, ne sconvolge la vita: si notano infatti da subito le malformazioni fisiche della bimba che appare zoppa e gobba e in seguito, rivela di non possedere nemmeno la vista. Battezzata nella Collegiata di Mercatello sul Metauro (allo stesso fonte dove qualche secolo più tardi avrebbe ricevuto il Battesimo anche la grande mistica cappuccina Santa Veronica Giuliani), viene considerata un peso dai genitori, che se ne vergognano e decidono così di rinchiuderla in una celletta attigua alla cappella del castello. Margherita viene comunque affidata alle cure spirituali e culturali del cappellano che trascorre gran parte della giornata con lei, soddisfacendo la vivace curiosità della bambina, ed introducendola alla conoscenza dei testi sacri e del latino. La bambina appare sveglia, intelligente e buona, dotata di una forte memoria, e fa tesoro di ogni istruzione, imparando a memoria tutti i Salmi che recitava con profonda fede. è desiderosa solo di affetto e di premure. Ma queste, da parte di Parisio ed Emilia, non arriveranno mai.
Mosso a compassione, il cappellano li spinge a recarsi nella non lontana Città di Castello, dalla quale arrivavano voci sui miracoli che avvenivano presso la tomba del Beato Giacomo. Potrebbe essere l’ultima carta da giocare, per tentare la guarigione. Ma il miracolo non avvenne. Indispettiti, i genitori decidono di abbandonare Margherita al suo destino, e promettendole di ripassare a prenderla, la lasciano fuori dalla chiesa e se ne vanno per sempre.
La piccola ha solo cinque anni. è raccolta dai poveri della città, ai quali fa tenerezza, e che le insegnano a mendicare. Margherita però esprime il desiderio di consacrarsi a Dio, ed è così accolta nel Monastero delle Benedettine. La giovane si distingue subito per una vita di altissima spiritualità, di preghiera e penitenza. Ma dopo un po’ le monache non sopportano quella presenza così alta ed austera, che sembra rimproverarle per la loro rilassatezza e mondanità, e con vari pretesti riescono a dimetterla dal loro convento. Viene però accolta da una coppia di sposi, Venturino e Grigia, che abitano in una bella casa in pietra nella stessa piazzetta del convento. Lui commerciante, lei laica domenicana, mantellata, buona mamma di famiglia.
Margherita, che non aveva mai conosciuto l’affetto ed il calore di una famiglia, crescerà così come una loro figlia, insieme alla prole dei coniugi, senza discriminazioni per le sue inabilità fisiche. Monna Grigia la inserisce tra le laiche domenicane e la porta con sé quando si reca a trovare i poveri, i malati e i carcerati, portando aiuto, consolazione, affetto. Tutte cose che le erano state negate. Cresciuta, veste anche lei l’abito delle Mantellate Domenicane, consacrandosi al Signore come terziaria.
Si confessa ogni giorno, si comunica spesso e prega assiduamente. Predilige le persone più in difficoltà, e tra queste i condannati a morte, che visita notte e giorno, attraversando, cieca, le strade della città senza sbagliarsi, aiutandosi con il bastone e un senso dell’orientamento che sapeva di miracoloso. Gli abitanti di Castello incominciano a conoscerla e ad apprezzarla, e la fama della sua santità ben presto si diffonde fuori dalle mura turrite della città.
La giovane diviene inoltre punto di riferimento anche per molti sacerdoti e religiosi che si rivolgevano per consiglio a lei, dotata di una scienza divina che non le proveniva dagli studi, ma da Dio stesso. Forma i giovani alla vita cristiana e alla dottrina, e nel contempo pratica aspri digiuni e penitenze, indossa il cilicio, si flagella, per compartecipare alla Passione di Gesù. è devota della Sacra famiglia e di San Giuseppe.
La preghiera è il centro della sua giornata, e spesso appare come in estasi, nella Chiesa di San Domenico, dalla quale parte tutti i giorni, per andare ad esercitare la carità.
Il 13 aprile 1320, Margherita muore in casa di monna Grigia e, appena diffusa la notizia, molta gente accorse a San Domenico chiedendo ai frati di non seppellirla sotto terra, ma di esporla in chiesa, dove ancora riposa il suo corpo, sotto l’altare. Numerosi miracoli avvengono ben presto sulla sua sepoltura e sono raccontati nelle varie biografie.
Il 19 ottobre 1609 è beatificata da Papa Paolo V. Un culto ininterrotto nasce e cresce non solo tra i tifernati (abitanti della zona) ma si espande allargandosi ben oltre i confini regionali, a varie parti del mondo. Inoltre, dal 1988, è protettrice dei non vedenti e portatori di handicap nelle diocesi di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado e di Città di Castello, e patrona di tante associazioni di volontariato, come ad esempio nella città di Sassari. Nel 2000 era stato intanto ripreso il processo diocesano verso la Canonizzazione. Tutto questo spinge, nel 2019, il Vescovo, mons. Domenico Cancian, insieme ai Vescovi dell’Umbria e di Urbino, a chiedere al Papa la Canonizzazione “per equipollenza”, ovvero senza ulteriore indagine e richiesta di miracolo. Il Santo Padre, udita la Congregazione delle Cause dei Santi, ha provveduto a canonizzarla il 24 aprile scorso, estendendo dunque a tutta la Chiesa il suo culto ed il suo esempio. «Il vissuto virtuoso della Beata – si legge nel decreto firmato dal Papa – si caratterizza soprattutto per il fiducioso abbandono alla Provvidenza, come partecipazione gioiosa al mistero della croce, soprattutto nella sua condizione di disabile, rifiutata ed emarginata. Questa conformità amorosa al Cristo era accompagnata da intense esperienze mistiche. La sapientia cordis così maturata si irradiava negli altri».
Un esempio luminoso, e con una problematica che ha precorso i tempi. Nel medioevo erano infatti lontani ancora la sensibilità e l’attenzione verso i portatori di handicap, verso la disabilità e l’emarginazione sociale, e Margherita ha saputo rompere lo steccato di questa emarginazione con la sola forza di Dio e la luce della fede.