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L’amore per i cari defunti va oltre la barriera del tempo

Il vento della preghiera riaccende la luce della grazia e della comunione con Dio. La vita eterna è «l’attimo di amore senza fine». È un attimo infinito in cui Dio ci avvolge con il suo abbraccio di amore. Nel linguaggio umano dobbiamo ricorrere all’esperienza dei nostri occhi quando guardano la tenerezza di due innamorati, o come un bambino attaccato al seno della madre che fissa i suoi occhietti negli occhi della madre per avere oltre al latte il conforto del suo sorriso e della sua benevolenza. Il catechismo della Chiesa cattolica afferma che il Purgatorio non è tanto un luogo, ma una condizione di fremente nostalgia nel possedere in pienezza quella luce che momentaneamente abbiamo perso a causa della nostra fragilità e dei nostri peccati. Il nostro rapporto con i defunti non cessa al momento della loro morte, ma il sacramento del battesimo, che ci unisce a Cristo risorto, mantiene saldi questi vincoli di comunione. Il nostro amore per i nostri cari defunti va oltre la barriera del tempo. Il nostro cammino di conversione, di preghiera, di digiuni e di opere buone a vantaggio dei nostri fratelli e sorelle bisognose, è come un vento che soffia sul fuoco dell’amore di Dio che abbraccia e riscalda i nostri cari defunti e permette loro di partecipare alla gioia della luce divina.

Cinquant’anni fa le cronache hanno raccontato il desiderio di Paolo VI di celebrare l’Eucaristia nel Cenacolo, ma non gli fu permesso. Papa Montini, comunque, si fermò alla soglia dell’aula del Cenacolo e consumò il suo desiderio di rinnovare la comunione con Gesù in pochi istanti. Uno sguardo velato di tristezza che nascondeva il desiderio d’imitare l’apostolo Giovanni, quello di chinarsi sul petto di Gesù e ascoltare i palpiti del suo cuore misericordioso, ma non gli è stato permesso.

di Mario Carrera

«C’è in me una sorgente molto profonda. In quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più di sovente è coperta di pietra e di sabbia: in quel momento Dio è sepolto». Sono parole della giovane ebrea Etty Hillesum, scritte nel campo di concentramento di Auschwitz, che mi sono risuonate nella memoria sentendo parlare papa Francesco della gioia del prete. Quest’avventura del dono totale di sé a Dio e al prossimo come sorgente di gioia a volte sembra un po’ appannata.