Febbraio
«Febbraio finì la scorta e fece bruciare la tavola e la porta»
Febbraio per quanto sia il mese più corto dell’anno sembra interminabile per il gelo che attanaglia la campagna, per il freddo che è penetrato nelle case, per la penuria di cibo: le riserve alimentari cominciano a scarseggiare e i nuovi raccolti sono ancora lontani. Così raccontano i proverbi. Ma febbraio è anche il mese in cui la natura comincia a uscire dal letargo invernale, il grano mette le radici e forse negli ultimi giorni uno sprazzo di tepore indica vicina la fine del lungo inverno.
Campagna. I prati iniziano a risvegliarsi richiedendo attenzioni: nelle aree infestate dal muschio, si distribuisce una soluzione di solfato di ferro e/o solfato ferroso; si arieggiano le superfici erbose e si eseguono le concimazioni. Dove necessario si fa la trasemina.
Fruttetto e vigneto. Si effettua il riordino e la pulizia e si prepara il terreno per gli impianti primaverili. Hanno inizio le potature delle pomacee e dei fruttiferi in genere. Si prelevano le marze di un anno dalle drupacee per gli innesti. Si eseguono diserbi e concimazioni organiche.
Orto. Ci si dedica alla lavorazione del terreno e alla concimazione di base. Si rincalza il pisello seminato in autunno e si fa pregermogliare la patata destinata alla semina. Si prepara il terreno per l’asparagiaia. Si semina, in semenzaio in coltura protetta: lattuga e cappuccio primaverile, sedano, agretto, bietola da orto, carota, pisello, prezzemolo, ravanello, rucola; a dimora all’aperto: bietola da coste, cipolla bianca e colorata, lattuga e radicchio da taglio, spinacio, valerianella; in semenzaio riscaldato: basilico, sedano, melanzana, peperone, pomodoro; in vasetti riscaldati: anguria, cetriolo, melone, zucchina.
Giardino. Si potano siepi, rosai e piccoli alberi a fioritura invernale. è il momento di piantare alberi e arbusti, in particolare clematide e altri rampicanti, forsizia e rosa, e rampicanti come convolvolo e pisello odoroso. A metà mese si dividono i cespi delle erbacee perenni, come campanule, echinacee, astri ecc., per ottenere nuove piante in semenzaio riscaldato si seminano: begonia, bocca di leone, garofano, petunia, portulaca, salvia ornamentale.
«Quante mamme versano oggi lacrime, come santa Monica, perché i propri figli tornino a Cristo! Non perdete la speranza nella grazia di Dio!”. Queste parole sono state lanciate da papa Francesco, su Twiter in nove lingue. È un tipo di amore, quello di una madre per il proprio figlio, quello del dono e dalla solidarietà a lui molto caro. Un amore viscerale richiamato dal papa nel giorno in cui la Chiesa ricorda santa Monica, madre di sant’Agostino.
Il quotidiano Avvenire nella scorse settimane ha dato ampio spazio al dibattito sul fine vita, in merito alla discussione della legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, le Dat. Ho seguito il dibattito con attenzione e trepidazione. Sì, trepidazione, perché per chi lavora nell’ambito sanitario questa legge è tanto attesa. Certo, non credo che una legge possa toglierci tutti i problemi di coscienza nei singoli casi che incontriamo tutti i giorni, ma almeno ci può indirizzare e sostenere in certe decisioni difficili.
Ancora una volta le storie umane, di grande sofferenza e dolore, ci pongono di fronte a riflessioni importanti sul valore della vita e sul suo significato, sul perché si decida di intraprendere determinati percorsi. Quando si è colpiti da una malattia, una grave disabilità, qualunque essa sia, a prima vista pare impossibile se non insensato coniugarla con il concetto di salute. Ancora di più se si tratta di malattie rare, poco conosciute e di cui, allo stato attuale, non si conoscono terapie efficaci per guarirle, oppure di una patologia oncologica né chemio sensibile, né radio sensibile e neppure proponibile per un approccio chirurgico.
Ancora una volta le storie umane, di grande sofferenza e dolore, ci pongono di fronte a riflessioni importanti sul valore della vita e sul suo significato, sul perché si decida di intraprendere determinati percorsi. Quando si è colpiti da una malattia, una grave disabilità, qualunque essa sia, a prima vista pare impossibile se non insensato coniugarla con il concetto di salute. Ancora di più se si tratta di malattie rare, poco conosciute e di cui, allo stato attuale, non si conoscono terapie efficaci per guarirle, oppure di una patologia oncologica né chemio sensibile, né radio sensibile e neppure proponibile per un approccio chirurgico.
di Graziella Fons
I giorni della nostra vita hanno l’andamento di un fiume che scende verso valle, oppure possiamo paragonarli ad un blocchetto di assegni, che possiamo spenderli come vogliamo, ma l’ultimo ha già stampigliato il nome del destinatario: Dio. È il pedaggio al Datore della Vita.
Per il terremoto di Messina 1908, don Guanella offerse la sua opera. Per il terremoto delle Marsica, il 15 gennaio del 1915, nella zona di Avezzano, don Guanella andò di persona e soccorrere i terremotati e, soprattutto, con don Bacciarini, presente nei luoghi della desolazione, organizzò un’assistenza sul luogo e ospitò nella sue case di Roma Trionfale e san Pancrazio centinaia di profughi soprattutto anziani e orfani. Un’isola di benessere la costituì anche a Ferentino, dove decine di terremotati hanno potuto trovare assistenza materiale e morale. L’esperienza paurosa del terremoto è drammatica poiché è un rovesciamento della vita.
Don Guanella è andato più in là di san Francesco, ha detto che la morte non solo ci è consanguinea come sorella, ma è madre di vita.
È sul metro di questa madre che noi dovremmo misurare i passi della vita. Recentemente papa Francesco ha nominato mons. Vincenzo Paglia presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Subito nel cuore del presidente dell’Accademia della vita è riecheggiato l’eco affettuosa della “sorella morte” e ha pubblicato un volume sulla dignità del vivere e del morire.
Un fenomeno spiacevole che si va sempre più diffondendo è il poco rispetto per le persone anziane. Il modo migliore di prevenire abusi e maltrattamenti è con tutta probabilità quello di investire sulla cultura, sul tema del valore che noi attribuiamo alla persona in genere, anche a livello sociale.
Penso si debba ripartire dall’idea che oggi l’anziano ha ancora un elevato “valore” sociale.. La società e le istituzioni focalizzano sempre più le loro attenzioni su altre età della vita, ed è encomiabile. Tuttavia l’anziano dovrebbe tornare a essere universalmente considerata una componente sociale essenziale. Da questa piattaforma di valori condivisi, potranno poi scaturire politiche socio-assistenziali e investimenti pubblici.
Quando si dice di una persona che è un “galantuomo”, si vuol rilevare quel grappolo di virtù umane che rendono positiva un’esistenza. Il beato cardinal John Henry Newman nel descrivere la qualifica di galantuomo diceva: «Essere galantuomo significa mostrare considerazione per gli altri, è l’equivalente di amare il prossimo come se stessi». Nella vita di ciascuno di noi abbiamo conosciuto persone, uomini e donne, meritevoli di questa definizione.
Un plebiscito per quest’attestazione, con certezza lo possiamo attribuire a don Vincenzo Savio, vescovo di Belluno-Feltre il 31 marzo 2004 all’età di cinquantanove anni. La sua giovane età, ma, soprattutto, la testimonianza del suo entusiasta zelo apostolico hanno promosso un coro di simpatia nei pochi anni in cui è stato vescovo nella diocesi Belluno-Feltre. Perché ne scriviamo? Perché don Vincenzo, come si faceva chiamare anche da vescovo, nelle ultime settimane della sua malattia mortale ha voluto che la porta dell’arcivescovado fosse aperta così che i suoi diocesani potessero dargli un “Addio”, così, “consegnarlo a Dio”, al momento della sua morte. Ci fu una grande partecipazione alle vicende della sua salute, soprattutto, per benefica e incoraggiante prospettiva pastorale che aveva suscitato nei tre anni della sua missione episcopale.